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Giugno-Luglio/2010 - Contributi
L’armadio della vergogna
di Giancarla Codrignani

Tutti dovrebbero ricordare la scoperta, nel 1994 a Roma, a palazzo Cesi, sede della Procura generale Militare, di quello che fu chiamato l’“armadio della vergogna”, l’armadio con le ante voltate contro il muro contenente i fascicoli delle stragi commesse dai nazisti e dai fascisti, tra l’8 settembre del 1943 e il 25 aprile del 1945, non contro i partigiani in lotta, ma contro decine di migliaia di civili inermi: bambini, donne, anziani.
Si tratta di 695 fascicoli che furono inviati alle Procure militari territoriali perché svolgessero le indagini di competenza e avviassero i processi. Sepolti dentro un armadio.
Che l’occultamento non fosse stato casuale risulta evidente dal Registro generale che contiene ben 2.274 fascicoli, di cui 1.265 risultano inviati nel 1965 alle Procure locali e archiviati sommariamente per impossibilità di reperire i responsabili.
Una qualche ragion di Stato ha impedito che quei crimini fossero perseguiti: la Germania, allora non più nemica ma alleata, rappresentava il bastione difensivo contro l’Unione Sovietica, erano i tempi della guerra fredda e Roma giudicava inopportuno rievocare le stragi naziste.
Oltre a quelli riscoperti, ci sono altri 273 fascicoli rimasti a disposizione della Procura generale a Roma per un’indagine “storico-giudiziaria” che ha dato nuovi contributi conoscitivi, ma che ne ha anche omesso tuttora la trasmissione alle Procure locali per nuove inchieste. Nel 2003 fu istituita una Commissione d’inchiesta, dai cui lavori sono derivati circa 80.000 documenti sugli eccidi finora rimasti sconosciuti.
Questa Commissione, che indagava sull’occultamento dei fascicoli relativi alle stragi nazifasciste, ebbe non poche difficoltà a reperire i materiali amministrativi che, come il ministero degli Esteri e della Difesa, conservano i propri archivi non solo senza riversarli nell’archivio centrale dello Stato, ma senza renderli consultabili neppure da una Commissione parlamentare.
Nasce da queste strettoie, inconcepibili in altri Paesi che hanno reso consultabili pubblicamente i documenti relativi a tutta la storia della Seconda guerra mondiale, anche la difficoltà di istruire i nuovi processi a carico dei responsabili degli eccidi. Ovviamente non si tratta di intenti postumi di vendetta per esigere la carcerazione di persone che, quand’anche siano identificabili e sopravvivano, sono almeno ottuagenarie. Si tratta della verità e della storia.
In primo luogo deve essere considerata la rilevanza del numero delle vittime civili che, dopo le indagini sui fatti denunciati dai fascicoli, riguardano all’incirca 15.000 persone.
E’ necessario sapere, a prescindere dalla stessa necessaria valutazione giudiziaria, la verità dei fatti, sia delle volontà che hanno indotto alle stragi, sia del nascondimento delle carte che certificavano l’ampiezza, perfino numerica, della strategia omicida del nazismo e del fascismo.
Come chiede il sen. Walter Vitali - con altri parlamentari del Pd - nel suo disegno di legge “Norme a tutela della memoria dei crimini nazifascisti”, è necessario arrivare ad elaborare un’Anagrafe delle vittime e un Atlante delle stragi nazifasciste, oggi tuttora auspicati ma assenti dalla storiografia italiana.
A quasi sessant’anni dalla feroce occupazione nazista e dalla complice violenza omicida della Repubblica di Salò, i testimoni diretti stanno venendo meno e sarebbe necessario che si procedesse con urgenza alla raccolta delle testimonianze dei superstiti, e anche al recupero dei documenti privati ancora giacenti presso famiglie che forse li ritengono ininfluenti.
Le nuove tecnologie favoriscono la conservazione di documentazione inedita, come dimostrano le esperienze storiche contemporanee: si possono acquisire testimonianze nuove anche senza catalogarle criticamente subito, con mezzi che sarebbero modesti se non fosse che, anche da parte di Enti locali e Istituti specializzati, mancano anche le possibilità del minimo sostegno economico.
Sarebbe bene che lo Stato in prima persona fosse portatore dell’esigenza di dare al Paese la pienezza del diritto di cittadinanza, integrandolo - oltre al doveroso riconoscimento dell’azione dell’antifascismo di lunga durata e della lotta di resistenza - con la consapevolezza collettiva della fatica che è costata recuperare la dignità di essere popolo ad opera sia di quanti seppero per questo morire, sia di tante vittime che subirono per violenza il martirio.
Compito non ancora assolto dallo Stato, di cui dobbiamo sempre farci carico: in primo luogo nel sostenere le non sufficientemente valorizzate iniziative parlamentari, a partire dal disegno di legge del sen. Vitali, e nel cercare di realizzare ogni genere di informazione alternativa. Il compito di resistere non è finito: la democrazia avrà sempre bisogno della storia...

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