Dagli Stati Uniti alla Germania, dall’Irlanda
all’Italia. Migliaia di casi coperti
dal silenzio, nascosti sotto una coltre
di omertà e ipocrisia. La Chiesa fa un passo
indietro e condanna i responsabili degli abusi
sessuali: è vero pentimento o solo
preoccupazione per la perdita di credibilità?
E’ la vigilia di Pasqua del 1989 quando don Giorgio Carli, prete per mestiere, adocchia Alice, una bambina di nove anni che frequenta la parrocchia di San Pio X a Bolzano. Alice è una bambina allegra, simpatica e curiosa, una delle più piccole del gruppo di ragazzini che frequentano le lezioni di catechismo propedeutiche alla Prima comunione. Ogni settimana don Carli, prete giovane e dinamico, accompagna i suoi piccoli allievi nei loro primi contatti con Dio, spiegando loro il Vangelo e i sacramenti. Fa quello che ogni prete dovrebbe fare, insomma, se non fosse che con Alice decide di intraprendere quello che lui definisce un «percorso educativo individuale». Questo percorso, spiega don Carli alla piccola Alice, è destinato solamente alle persone speciali: «sei un frutto prezioso» le dice il prete, «io ti darò il seme e tu presto sarai un albero. E’ Dio a volere questo».
Inizia da qui la terribile storia di molestie e di abusi che Alice, venti anni dopo, racconta in oltre cinquecento pagine di deposizione, fitte di dettagli raccapriccianti, di paure e di sofferenze, dolori e ferite dell’anima. Leggendo alcuni estratti di questa confessione si rimane colpiti dall’abilità del prete di insinuarsi nella mente della bambina, piegando il significato delle parabole religiose a ignobili allusioni sessuali: «guarda», le dice il prete aprendo la patta dei pantaloni, «si alza e si abbassa. Proprio come nel discorso del seme, che da una cosa piccolina può nascerne una più grande». Con le sue attenzioni e i suoi gesti premurosi, don Carli riesce in breve tempo ad instaurare con la bambina un rapporto di fiducia e di dipendenza. Alice fa tutto quello che il prete le dice di fare, compreso mentire ai suoi genitori: «meglio star zitti», si raccomanda, spiegandole che qualcuno si sarebbe potuto risentire di tutto quel tempo che dedicava solo a lei. In fondo, le ripeteva don Giorgio, essere speciali comportava dei sacrifici: se Abramo era disposto a uccidere suo figlio per assecondare la volontà di Dio, cos’erano a confronto una piccola bugia e un po’ di tempo in meno con i suoi genitori?
Alice, in effetti, dovette sentirsi davvero preziosa, soprattutto quando don Carli le chiede di prendere il messale in mano. A nessun bambino era concesso un simile privilegio, quindi non se lo lasciò ripetere due volte. Il messale era molto pesante e il prete le intimava di non farlo cadere, altrimenti Dio si sarebbe arrabbiato moltissimo. Così, mentre Alice è immobile e il suo corpicino è tutto teso nello sforzo di reggere quel librone pesante, don Giorgio si approfitta di lei che non può muoversi, immobile sotto lo sguardo severo di Dio.
Alice viene violentata e abusata per almeno altri cinque anni. Per altri quindici ha tenuto sepolti dentro di sé quei ricordi terribili. Poi, un giorno, ha deciso di raccontare tutta la verità. In questa vicenda, però, la verità è valsa a poco. Dopo tre diverse fasi processuali, quando ormai la vicenda giudiziaria volge al termine, nonostante le responsabilità siano state accertate e le testimonianze riconosciute autentiche, don Carli continua indisturbato a celebrare la messa e a insegnare il catechismo a tutti quei bambini che si apprestano a fare la Prima Comunione. Infatti, grazie alla legge n. 251 approvata il 5 dicembre 2005 dal governo Berlusconi, nota come legge ex Cirielli, i reati di don Carli sono caduti in prescrizione.
Nella vicenda di Alice (il nome è di fantasia, naturalmente) stupisce l’abilità del prete di circuirla, di assoggettarne la mente alla sua volontà, di piegarla ai suoi desideri.
Don Carli mette in atto una tecnica tipica dei pedofili che operano all’interno della Chiesa: usa lo strumento di Dio, dei Vangeli, dei sacramenti. I preti, poi, sono gli unici capaci di sostituirsi veramente ai genitori. La loro è una qualifica superiore a quella di una madre e di un padre: la figura genitoriale, infatti, è una figura naturale, mentre quella del prete, intermediario tra Dio e i fedeli, è ufficiale, sovrannaturale.
Nei suoi racconti, Alice parla di stupri talmente violenti che la costringevano a tamponare il sangue con pezzi di carta. Una volta arrivata a casa, poi, li buttava nel water e nessuno si accorgeva di niente. Mi chiedo, però, come sia possibile non notare nulla di strano in una bambina che pochi minuti prima aveva subito simili abusi.
In questi casi i bambini diventano estremamente furbi, perché si sentono colpevoli. Sono loro che si devono proteggere, nascondere dai genitori. Sono loro ad aver sbagliato. Una volta un bambino, interrogato a proposito di un fatto di pedofilia, mi ha detto di volersi costituire dai Carabinieri, di voler andare in carcere. Io, stupito, gli chiesi perché: voleva essere punito per aver avuto rapporti con un prete.
Ad un certo punto, Alice trova il coraggio di confessare la storia del “percorso formativo” a un altro parroco e alla sua insegnante di religione. Entrambi, però, fanno finta di non capire. In un caso del genere, quale pena spetta a chi, pur sapendo, non denuncia fatti così gravi?
Nel caso di don Ruggero Conti, nel quale sono parte civile come presidente e avvocato dell'associazione antipedofilia La Caramella Buona, ho chiesto l'incriminazione per favoreggiamento del vescovo Gino Reali per aver coperto gli abusi del parroco. Il vescovo era da anni al corrente delle violenze perpetrate ai danni dei bambini che frequentavano la chiesa della Natività di Maria Santissima, a Roma. Se consideriamo che egli è un pubblico ufficiale, Gino Reali avrebbe dovuto riferire quanto accadeva. Poiché il vescovo non ha denunciato i fatti dei quali era al corrente e poiché l’articolo 40 del Codice penale afferma che «non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo», Gino Reali deve essere processato per concorso esterno nella commissione del reato di violenza sessuale ai minori.
Chi chiude gli occhi di fronte a simili abusi è colpevole tanto quanto chi li commette. Con una sola differenza: il pedofilo è un essere ripugnante perché ha una tendenza sessuale aberrante, rivolta a soggetti non consenzienti. Egli ha un atteggiamento sessuale di prevaricazione su un altro essere umano che vigliaccamente sceglie in una figura minore, in un bambino, in una persona incapace di scelte. Si tratta in ogni caso di una deviazione sessuale. Il vescovo non è malato, non è spinto ad agire dalla sua perversione, ha la facoltà di esercitare la forza dell’autocontrollo. Semplicemente tace per omertà e paura dello scandalo. Tace perché la pedofilia è peccato, non reato. Basta andare da un parroco qualsiasi ed essere assolti per aver avuto rapporti con un bambino.
Lo stesso non si può dire per una donna che ha deciso di abortire, la quale per essere assolta deve rivolgersi al vescovo. Come dire che, su una scala di valori, l’aborto è più grave della pedofilia.
Dal racconto di uno dei ragazzi abusati da don Ruggero, emerge che il parroco faceva leva sui loro momenti di fragilità, cercava di individuare le loro debolezze, di sfruttare situazioni familiari spesso molto disagiate.
Don Ruggero ricorreva a piccoli regali, ricariche dei cellulari, felpe, indumenti. Era estremamente abile a raccogliere fondi per la parrocchia e per questo aveva sempre le tasche piene di soldi. E’ un personaggio con un grande carisma, che riesce a farsi benvolere regalando soldi alle famiglie che ne hanno bisogno. Una volta, ad un ragazzino che rifiutava di farsi toccare, don Ruggero offre addirittura 50 euro. I precedenti tentativi di ricatto non erano valsi a nulla: solo con quella banconota è riuscito a comprarsi il suo corpo e il suo silenzio.
Papa Benedetto XVI ha condannato i preti pedofili, dichiarando che essi devono essere portati di fronte alla giustizia. Secondo te la Chiesa è veramente intenzionata a cambiare atteggiamento nei confronti dei preti colpevoli di abusi sessuali?
Viene da chiedersi se il pianto del Papa, le continue affermazioni di pentimento, l’aver convocato tutti i parroci italiani non facciano parte di una strategia per recuperare credibilità. C’è una seria intenzione di cambiare le cose? Io ho qualche dubbio.
A noi che siamo coinvolti nel processo di don Ruggero arrivano continuamente lettere di minaccia: non sono lettere in difesa di don Ruggero, ma della pedofilia. Alla fine, infatti, si legge sempre: «amore libero verso i bambini». La pedofilia è una lobby molto forte, alcuni anni fa era stata addirittura indetta dai pedofili tedeschi “La giornata dell’orgoglio pedofilo”. Quello che più mi spaventa e mi preoccupa è che comincio a sentire alibi culturali o pseudo culturali che giustificano la pedofilia.
Il discorso degli alibi culturali, secondo me, pertiene più all’ambito letterario che a quello sociale e psicologico. E’ vero, la tragedia greca parla di cose mostruose come la pedofilia e l’incesto, ma non per giustificarle, quanto più per scongiurarle. Edipo non la fa franca come don Carli, finisce i suoi giorni a vagare senza meta, cieco e solo…
Altro esempio molto usato è quello dell’antica Grecia: si tende ad accreditare il desiderio sessuale verso i bambini facendo ricorso ai casi di rapporti sessuali tra i maestri e i loro allievi. Di questi fenomeni, in realtà, sappiamo molto poco. Di certo non sappiamo quanti anni avevano, ma risulta difficile pensare che degli allievi di filosofia avessero dieci anni.
Secondo te c’è una differenza tra i casi di pedofilia che si verificano tra le mura domestiche e quelli che avvengono nelle chiese?
Nel caso dei preti pedofili possiamo pensare che i comportamenti deviati nascano dalle restrizioni sessuali alle quali devono sottostare. Eppure la pedofilia non può dipendere esclusivamente da privazioni sessuali.
I padri di famiglia che abusano dei figli sono sposati. In entrambi i casi sembra esserci un tentativo di esercitare la propria autorità, il proprio dominio.
A tuo avviso un atto di abuso ne genera necessariamente un altro?
Dicono di sì, ma di scientifico non ho mai trovato nulla. Anche avere un modello genitoriale violento può determinare nel figlio la propensione all’abuso nei confronti di un soggetto più debole.
Quando ero più giovane ho seguito il processo del cosiddetto Mostro di Greccio, un uomo piccolo, magro, con la faccia cattiva. Il mostro aveva sei figlie femmine e uno maschio: aveva abusato di tutte le figlie e il maschio, avendo come modello quel padre, aveva fatto lo stesso con le due sorelle più grandi.
C’è nella società qualche messaggio sbagliato, che veicola e giustifica la prevaricazione nei confronti di chi è più debole?
Assolutamente sì. C’è un messaggio di non rispetto nei confronti dei bambini e delle donne, del corpo debole della società. C’è una vera e propria incultura verso i bambini, ritenuti esseri incapaci di scegliere. Io provengo da una società meridionale, che ama i bambini, ma li ama senza considerarli soggetti con i quali relazionarsi.
I bambini, invece, hanno una grandissima capacità di comunicare. E soprattutto hanno bisogno di sentire nella famiglia una protezione, un rapporto affettivo di dialogo, non di costrizione e punizione.
|