home | noi | pubblicita | abbonamenti | rubriche | mailing list | archivio | link utili | lavora con noi | contatti

Giovedí, 22/10/2020 - 15:07

 
Menu
home
noi
video
pubblicita
abbonamenti
rubriche
mailing list
archivio
link utili
lavora con noi
contatti
Accesso Utente
Login Password
LOGIN>>

REGISTRATI!

Visualizza tutti i commenti   Scrivi il tuo commento   Invia articolo ad un amico   Stampa questo articolo
<<precedente indice successivo>>
Giugno-Luglio/2010 - Interviste
Carceri
Nel Far West della ’ndrangheta
di a cura di Michele Turazza

“La ’ndrangheta vera non è solo quella che spara o che fa le estorsioni. La ’ndrangheta era, è quella dei soldi, degli investimenti, della politica, dell’economia, del potere. Hanno il controllo del territorio non perché abbiano più uomini per le strade, né perché siano militarmente superiori allo Stato. Ce l’hanno perché hanno il controllo delle persone. Della loro paura. Delle loro incertezze. Della loro mancanza di futuro in quella terra. Della loro solitudine. Della loro ignoranza. Hanno il controllo del loro modo di pensare. Del loro modo di vivere. Ma questo è un discorso troppo complesso, troppo impegnativo, così poco televisivo che si crede non valga la pena di essere affrontato”.
Nel 1995, Francesco Cascini, fresco di nomina, viene assegnato alla Procura della Repubblica di Locri. Un giovane di 25 anni in trincea, che deve far applicare la legge nella terra delle contraddizioni, delle paure, dell’omertà, strozzata dalla morsa dell’organizzazione criminale più potente, la ’ndrangheta. Storia di un giudice (Einaudi, 2010) è il racconto dell’esperienza calabrese di Cascini, che attualmente dirige l’Ufficio per l’Attività ispettiva sugli Istituti penitenziari presso il ministero della Giustizia.

Perché ha scelto di fare il magistrato requirente e come arrivò la designazione alla sede di Locri?
Non è stata una scelta determinata dalla vocazione. Mi piaceva studiare, mi piaceva il diritto. All’inizio più il civile. I giovani magistrati hanno poche alternative: sSud e Procura.

Quale fu il primo impatto con la Calabria ed in particolare con la realtà di Locri?
L’impatto è quello con una realtà piena di contraddizioni. Bellezza e orribili costruzioni non finite. Coraggio e paura. Voglia di vita e assenza di speranza. Desiderio di normalità e abitudine alla violenza.

Lei scrive: “La repressione penale interviene quando in un mondo fatto di regole qualcuno le viola e viene punito per questo. Ma se il mondo è al contrario e si regge su regole diverse, se sono le regole stesse ad essere illecite, se tutto si muove intorno a blocchi di potere così forti da sostituirsi a quelli ufficiali, allora cambia tutto. In un mondo così inquinato si rischia di perdere la testa”. Dott. Cascini, ha mai pensato di non farcela? Come è riuscito, giovane qual era durante il suo primo incarico, a vincere, o perlomeno, a governare la paura?
Ho spesso pensato di non essere in grado di affrontare quel lavoro. Fare il giudice, prendere delle decisioni è già una cosa molto difficile. La complessità aumenta quando sei giovane, quando sei inesperto, quando sei solo, quando hai paura, quando sei in Calabria. Mi sono esattamente reso conto di quanta paura avessi, solo quando me ne sono andato. Fino a quando ero lì si mischiava alla adrenalina, ai processi, alla necessità di andare avanti, di fare le cose.

Perché, pur potendo presentare la domanda, rinunciò più volte al trasferimento di sede?
Credo di aver rinunciato per curiosità. Due anni a Locri servono a malapena a capire dove ci si trova e anche i cinque che ho fatto sono pochi. Sapevo che non sarebbe servito a molto ma volevo capire un po’ di più. Devo ammettere, poi, di essere rimasto anche affascinato da quella terra e di avere avuto dei veri amici che mi hanno aiutato a decidere di restare.

“Siamo funzionari dello Stato che devono applicare con rigore le regole e la legge. Qualcuno del tutto correttamente osservava che se saltano questi principi c’è il rischio di diventare uguali ai criminali, di combattere una guerra senza regole, di arrogarci il diritto di stabilire soggettivamente quel che è giusto e quel che è sbagliato”. Perché il magistrato deve poter interpretare la legge, le regole, prima di applicarle?
Fino a quando saranno degli uomini, e non delle macchine, ad amministrare la Giustizia, le regole avranno bisogno di essere interpretate. L’interpretazione, che pure ha le sue regole giuridiche, è però solo una parte del difficile compito dei magistrati e soprattutto dei pubblici ministeri. Spesso ci si trova a dover scegliere quanto e come andare avanti in una certa indagine e questo è l’aspetto più delicato della funzione.

Visto che la ‘ndrangheta è caratterizzata da una sostanziale assenza di collaboratori di giustizia che possano contribuire a farla conoscere e quindi ad indebolirla, quali sono gli strumenti investigativi più efficaci contro questa organizzazione criminale?
E’ evidente, dalle tante indagini fatte, che le intercettazioni svolgono un ruolo fondamentale. Altrettanto importanti sono le indagini sul denaro e sui patrimoni.

Leggendo il suo libro si rimane colpiti dall’impotenza nell’ottenere risultati concreti dalle indagini sui crimini dei cosiddetti colletti bianchi (e quindi, pubblica amministrazione, assunzioni fittizie di braccianti agricoli, ospedale di Locri, ambienti massonici). Perché questo muro di gomma?
E’ molto difficile mettere dentro un processo dei fenomeni criminali. Per quanto riguarda il muro di gomma, quello è parte integrante di una società come quella della Locride.

A cosa pensò quando i cCarabinieri di San Luca le raccontarono che la notte del 31 dicembre di ogni anno debbono barricarsi in caserma perché fuori festeggiano sparando anche contro gli edifici pubblici (Municipio, scuola...) e cioè contro ciò che rappresenta lo Stato?
Pensai che in condizioni come quelle non c’era nessuna speranza che qualcuno potesse riconoscere le Istituzioni come vicine, collaborare, denunciare. Lo scrivo: se lo Stato si nasconde, il minimo che si può attendere è che si nascondano anche tutti gli altri.

Quali sono le potenzialità di questa terra e della sua gente?
Sono enormi. La Calabria ha grandissime risorse umane e naturali. Dovremmo tutti riflettere sulla grave ingiustizia che impedisce a tante persone di vivere e lavorare nei luoghi in cui sono nati e di contribuire alla crescita della loro terra

Ha mai avuto la sensazione di essere in guerra in questo... mondo al contrario?
Molto spesso, ed è una cosa che mi ha sempre messo a disagio. Un giudice non dovrebbe essere chiamato a combattere e comunque, se così fosse, non dovrebbe mai farlo da solo.

Secondo lei lo Stato potrà vincerla, un giorno, questa guerra?
Ecco appunto. Si può vincere solo se a combatterla non sono solo i giudici e le Forze di Polizia (tra l’altro poche e con pochi mezzi). Si vincerà, se si avrà il coraggio di ridare speranza alla Calabria e ai Calabresi. Si vincerà, se in quella terra si riconosceranno i segni della presenza concreta di una democrazia moderna ed efficiente. E’ una strada lunga e difficile, ma non impossibile da percorrere.

FOTO: Francesco Cascini

<<precedente indice successivo>>
 
<< indietro

Ricerca articoli
search..>>
VAI>>
 
COLLABORATORI
 
 
SIULP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
SILP
 
 
Cittadino Lex
 
Scrivi il tuo libro: Noi ti pubblichiamo!
 
 
 
 
 

 

 

 

Sito ottimizzato per browser Internet Explorer 4.0 o superiore

chi siamo | contatti | copyright | credits | privacy policy

PoliziaeDemocrazia.it é una pubblicazione di DDE Editrice P.IVA 01989701006 - dati societari