Franco Siddi, Segretario generale della Federazione
Nazionale della Stampa Italiana (Fnsi) denuncia
le storture e i pericoli di una legge che impedisce
ai cittadini di essere tempestivamente informati
su inchieste riguardanti aspetti fondamentali
della cosa pubblica, con il pretesto di proteggere
un “ambito privato” che i giornalisti non intendono
assolutamente violare
Franco Siddi, quali sono i punti “traumatici” della legge detta “sulle intercettazioni” per quanto riguarda la libertà di stampa e il diritto-dovere dei giornalisti di informare i cittadini?
Questo disegno di legge penalizza e vanifica il diritto di cronaca, impedendo a giornali e notiziari, news media inclusi, di dare notizie delle inchieste giudiziarie – comprese quelle che riguardano la grande criminalità - fino all’udienza preliminare, cioè per un periodo che in Italia va dai 3 ai 6 anni e, per alcuni casi, fino a 10. Le norme proposte violano il diritto fondamentale dei cittadini a conoscere e sapere, cioè ad essere informati.
E’ un diritto vitale irrinunciabile, da cui dipende il corretto funzionamento del circuito democratico e a cui corrisponde – molto semplicemente – il dovere dei giornali di informare.
Si parla molto, da parte dei promotori della legge, di difesa della privacy, di protezione del cittadini dalle intrusioni dei media. Ma nella realtà quali sono i rischi per il cittadino di veder violato il proprio ambito privato ?
La privacy non c’entra niente. Questo diritto è sacro e i giornalisti non ne rivendicano la violazione per principio. Essa ha una sua disciplina e una sua strumentazione di controllo.
Se c’è bisogno di intervenire lì, si può e si deve ragionare. Ma nessuno ha voluto prendere in considerazione l’idea della Federazione della Stampa di un Giurì per la lealtà dell’informazione, che entro tre giorni, attraverso organismi indipendenti, si pronunci sui casi di reale violazione della privacy.
Nessuna attenzione è stata posta neppure alla proposta di un’udienza stralcio che, al momento del deposito degli atti, stabilisca, con intervento della difesa e dell’accusa, quali atti diventano pubblici.
In che modo e in quale misura i limiti posti agli inquirenti nell’uso delle intercettazioni, e i divieti riguardanti la diffusione di notizie sulle indagini concorrono a creare un “doppio vuoto”, ostacolando l’accertamento della verità e privando l’opinione pubblica di un quadro preciso di situazioni anche molto gravi?
Nel testo viene imposto il divieto di pubblicare il contenuto, anche per riassunto, di tutti gli atti d’indagine, anche se non più coperti da segreto, fino alla chiusura delle indagini. Si tratta di previsioni che nulla hanno a che fare con la pubblicazione delle intercettazioni e che intervengono in modo sproporzionato impedendo di fatto il diritto di cronaca giudiziaria sancito dalla Costituzione italiana e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Il divieto di pubblicazione non è giustificato né dalla protezione dell’attività investigativa, perché si tratta di atti non più coperti da segreto, né dalla tutela della riservatezza delle persone, perché si tratta della notizia di atti d’indagine tipicamente oggetto del diritto di cronaca giudiziaria.
A proposito di privacy, i personaggi “pubblici”, soprattutto quelli che si trovano molto in alto nella piramide del potere – politico ed economico – non dovrebbero accettare di sottoporsi al controllo dei media, in nome della trasparenza? O dei potenti è lecito solo raccogliere le loro dichiarazioni autopromozionali?
Assolutamente sì, per la prima domanda. Assolutamente no, per la seconda. L’America fa scuola, dal Watergate a Bill Clinton, e così anche la Gran Bretagna se si pensa alla battuta sconveniente del premier Brown a proposito di una vedova che lo aveva appena incontrato in campagna elettorale o alle telefonate dei reali inglesi. Sicuramente in un Paese serio nessuno ha paura della stampa libera e irriverente; né la considera nemica da punire a qualsiasi costo; né pensa di dover urlare “al lupo al lupo”; né di mettere al bando giornali e giornalisti minacciandoli con azioni di “strangolamento” o con atti di censura.
Certo non siamo al regime del 1925, e credo che abbiamo gli anticorpi per non arrivarci, ma il clima è quello del 1923, quando si tentò di introdurre un primo decreto contro gli “abusi dei giornali”, che davano le notizie non condivise da Mussolini o solo critiche sul suo governo. Oggi, sta cambiando l’ordine dei valori morali e si stanno modificando con l’inganno e la “pre-potenza” i paradigmi del bene pubblico e della moralità pubblica.
La Fnsi ha già preso posizione su questa legge. Quali iniziative sono prevedibili nel prossimo futuro in difesa del diritto all’informazione?
Da venerdì 11 giugno in edicola escono giornali listati a lutto o con simboli distintivi critici e di contrasto al Ddl per illustrarne limiti e penalizzazioni del diritto dei cittadini alla completa e leale informazione. Sono state, inoltre, previste manifestazioni davanti alle sedi istituzionali e una giornata di silenzio il 9 luglio.
In più, una grande mobilitazione contro il disegno di legge Alfano è stata lanciata per la giornata del primo luglio a Roma, a piazza Navona, e in altre località d’Italia: un’iniziativa nel segno della Costituzione, per dar voce ai soggetti e ai temi che verrebbero oscurati se passasse un provvedimento che colpisce al tempo stesso il lavoro dei giornalisti e il diritto dei cittadini di conoscere le vicende del Paese. Già è prevista, per la stessa data del primo luglio, anche una ‘notte bianca’ della Fnsi, dell’Associazione di Stampa dell’Emilia-Romagna, dell’Anpi e dell’Amministrazione cittadina a Conselice, il Comune del Ravennate dove c’è l’unico monumento italiano alla libertà di stampa.
FOTO: Il Segretario generale Fnsi Franco Siddi durante il suo intervento
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