Nel 1969 si concludeva l’esperienza delle “gabbie salariali”. A distanza di 40 anni si torna ad affrontare una questione che pareva superata partendo dalla constatazione del persistente divario economico tra nord e sud d’Italia e dall’effettivo minor potere d’acquisto in determinate zone del Paese.
La situazione economica, con tutte le dovute cautele che i raffronti storici impongono, offre oggi lo spunto per riflettere su uno schema organizzativo dei salari che forse non tutti ricordano.
L’accordo sul conglobamento retributivo del 12 giugno 1954 (presidente del consiglio era Mario Scelba) venne stipulato per riorganizzare il sistema delle retribuzioni e prevedeva le cosiddette “gabbie salariali”.
L’Italia venne divisa in 14 aree di retribuzione, le “gabbie” appunto; ma la situazione economica era estremamente variegata tanto che si registravano differenze significative nello stesso nord (Milano zona zero, Treviso zona sette).
Il meccanismo andava ad incidere sui cosiddetti “differenziali retributivi” riducendoli al massimo nella misura del 29% tra la quattordicesima zona e la prima che comprendeva naturalmente le città del triangolo industriale (Milano, Genova e Torino).
Una prima revisione di questo sistema avvenne nel 1961 (presidente del consiglio Amintore Fanfani) con la riduzione delle aree da 14 a 7 e lo spostamento del limite del differenziale retributivo dal 29 al 20%. E’ lo stesso anno in cui con l’enciclica Mater et magistra Papa Giovanni XXIII apre nuove prospettive politiche per i cattolici. Le gabbie salariali manifestarono i loro limiti in modo crescente: l’elemento che ne dimostrò l’inadeguatezza fu principalmente la loro parziale adesione/comprensione rispetto alla realtà territoriale.
L’assunto iniziale (il diverso costo della vita tra nord e sud) venne assorbito dalla incapacità di fotografare con chiarezza le diversità presenti nello stesso territorio per via dell’eccessiva rigidità insita nello schema imposto ed a causa dell’incompleta analisi delle esigenze economiche personali e familiari.
Tra il 1968 ed il 1969 Cgil Cisl ed Uil si impegnarono in due vertenze, le pensioni e l’eliminazione delle gabbie salariali; la questione delle pensioni era esplosa durante il 1968 a seguito delle proteste dei pensionati a seguito di un accordo stipulato col governo, e viene ricordata dai sindacati confederali come una dimostrazione di capacità recettiva delle istanze della base.
Il presidente del Consiglio nel 1969 era Mariano Rumor in un Paese dove emergevano tutte le problematiche mai affrontate e dove il sindacalismo confederale si confrontava con nuove istanze proposte spontaneamente ed in modo non organizzato.
Il 18 marzo 1969, dopo una lunga serie di scioperi il presidente di Confindustria Angelo Costa sottoscrisse l’accordo per eliminare le gabbie salariali; la parificazione dei salari si sarebbe attuata nei tre anni e mezzo successivi. Il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale era Giacomo Brodolini, il grande fautore dello Statuto dei Lavoratori che purtroppo non poté vederne la nascita nel 1970.
A distanza di pochi anni la nuova proposta di applicazione delle gabbie salariali lascia intravedere un tessuto sociale ed economico che non appare stabilizzato: si ampliano le diversità, e non sono soltanto quella tradizionale tra profitti e salari.
Una delle principali obiezioni opposte alle gabbie salariali fu il loro carattere eminentemente discriminatorio, proprio perché acuivano le diversità in aperto contrasto con l’art. 36 della Costituzione.
Il dettato costituzionale prevede per ogni lavoratore una retribuzione “oltre che proporzionata alla quantità ed alla qualità del suo lavoro in ogni caso sufficiente a consentire un’esistenza libera e dignitosa a lui ed alla sua famiglia”.
Occorre poi riflettere sull’attuale forma di contrattazione e sul rilievo che sembra crescere in ambito decentrato, anche con l’uso di strumenti quali la defiscalizzazione. Il principio di inderogabilità delle norme contrattuali viene del resto affrontato in tutta Europa e in Italia nell’accordo quadro del 22 gennaio 2009 si è esplicitamente prevista la possibilità di stipulare patti in deroga alle norme dei contratti nazionali di lavoro.
Non ultimo va considerato l’eventuale ampliamento che verrebbe proposto anche alla sfera della contrattazione pubblica, che non faceva parte della precedente applicazione.
In conclusione anche se nel futuro il dibattito sulle gabbie salariali si trasformerà in quello relativo ai “salari differenziati” oppure ai “differenziali retributivi” esistono l’incognita di una penalizzazione (ancora una volta) per il sud d’Italia ed un possibile contenzioso circa alla struttura giuridica della contrattazione.
massimobuggea@libero.it
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