Il tema della sicurezza negli ultimi anni ha condizionato fortemente la vita delle persone, attirando l’interesse dei media e influenzando il modo decisivo le ultime campagne elettorali. Il modello di sicurezza che ne è scaturito appare fondato sulle paure e sulle insofferenze dei cittadini: alimentate, accresciute, usate strumentalmente per invocare provvedimenti urgenti e repressivi, poi prontamente emanati.
Un approccio strategico sbagliato, non idoneo a contrastare l’incremento della criminalità e a promuovere coesione sociale. Rispetto a questi due inscindibili obiettivi il centrodestra resta ristretto dentro la propria idea di controllo sociale, operato con il solo rafforzamento dell’azione repressiva e dell’esclusione di sempre più soggetti da un percorso di integrazione. Ne deriva un appiattimento delle sue politiche su una visione parziale della sicurezza intesa solo come ordine pubblico.
La politica dell’emergenza è servita a sperimentare il nuovo apparato di gestione e competenze non previste dall’attuale ordinamento, con il sindaco di Roma che influenza in modo significativo l’organo tecnico deputato, ovvero il Comitato per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica che, sempre più spesso oramai sembra adottare strategie dettate dalla politica e non rispondenti alle necessità del territorio (modello americano del sindaco sceriffo).
Questa politica non ha portato a significativi risultati; Roma continua a essere una città dal duplice volto, con un centro super presidiato e vigilato e periferie sempre più abbandonate al degrado e all’insicurezza. Fenomeni sociali quali il bullismo, le dipendenze, la diffusione di coltelli tra gli adolescenti, la violenza sulle donne, il rifiuto del diverso, la prostituzione e l’omofobia vengono ridotti a problemi di sicurezza e affrontati con la sola repressione, rinunciando alla prevenzione e alla progettualità sociale.
Il Patto per Roma Sicura, sottoscritto nel luglio 2008, presentato come la soluzione ai problemi, ha già evidenziato lacune e ritardi nella sua attuazione; trovando applicazione solo negli aspetti repressivi nel contrasto alla prostituzione e agli insediamenti abusivi, nonché sul versante dell’impiego dei militari, tralasciando gli impegni sottoscritti sulla prossimità, sulla riorganizzazione dei presidi mobili e fissi, sul degrado urbano, sui servizi tesi al contrasto dei fenomeni di devianza e sulla sicurezza partecipata.
Il Silp considera indispensabile integrare la denuncia con la proposizione di un diverso modello di sicurezza per la città di Roma, organizzativo e culturale, per invertire la tendenza criminale, affrontare la crescente disuguaglianza economica e sociale e rendere più sicuro il territorio.
Occorre superare la visione solo repressiva integrandola con una sociale che contenga interventi amministrativi, giudiziari, culturali, dentro una moderna politica di sicurezza “partecipata” che integri l’azione di più soggetti (Forze di polizia, Regione, Provincia, Enti locali, magistratura, associazioni, cittadini), stabilisca in maniera certa l’attività di coordinamento e più chiari compiti e responsabilità di ciascuno.
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