Il governo da oltre due anni attua tagli
sui bilanci alla sicurezza. Aveva promesso
entro gennaio, più risorse e mezzi
per il personale, provenienti dal Fondo unico
di giustizia e dall’1% della somma
ricavata dallo scudo fiscale. Fino
ad oggi non ha mantenuto l’impegno
Le luci dei riflettori delle ultime consultazioni elettorali si sono appena spente. Restano ancora gli echi sulla guerra delle cifre, sui vinti e sui vincitori, sulla corrispondenza tra gli exit pool e l’esito sancito dalle urne. Sulle speranze riposte (tante) e sulle possibilità (poche) di avere risposte concrete.
Tutti si attendevano programmi, strategie, analisi e progetti; insomma, l’indicazione della strada per uscire dalla grave crisi che interessa il Paese e il mondo intero. Magari tramite il rinnovo degli Enti locali. Purtroppo, come troppo spesso accade da un po’ di anni a questa parte, l’elettorato è stato deluso ancora una volta. Anziché soluzioni, programmi e strategie, le consultazioni ci hanno regalato l’ennesimo “scontro” tra le personalità degli opposti schieramenti piuttosto che un confronto, questo sì sicuramente proficuo, sui temi che attanagliano il Paese e il territorio interessato dal rinnovo dei governi locali.
Problemi, come quello dello stipendio che finisce alla terza settimana, la mancanza di lavoro o la mancanza di una politica di assistenza e di integrazione che, purtroppo, non possono più attendere.
Problemi insoluti, e tali purtroppo a restare, stante la litigiosità delle parti. La campagna elettorale ha affrontato quasi unicamente i problemi di convivenza tra i partiti e l’architettura istituzionale per garantirli; una politica proiettata più all’autoconservazione piuttosto che all’amministrazione della cosa pubblica: che ha creato più confusione che certezze per il futuro.
Due cose sono però apparse chiare: la prima è che ancora una volta gli schieramenti politici hanno chiesto il voto ai cittadini più sulle promesse fatte (e quasi mai mantenute) e sui comportamenti piuttosto che sulle cose effettivamente operate rispetto ai programmi presentati. E la cosa paradossale è che su quest’ultimo aspetto si sono costruite vere e proprie schiere di sostenitori o di accusatori.
La seconda è che, pur in questo clima di arena mediatica, l’elemento che più di tutti ha attirato l’attenzione di cittadini è stato il tema della sicurezza e di tutto quello ad essa strettamente connesso.
L’immigrazione, la vivibilità dei quartieri, lo sfruttamento degli esseri umani, il fallimento delle ronde. Segni di una politica della sicurezza che arranca tra problemi grandi quanto un grattacielo e soluzioni che sembrano uscite da un fumetto western degli anni ’50.
Persino le trovate da far-west inventate da qualche sindaco del nord che, ritenendo di essere lo sceriffo della propria città piuttosto che l’amministratore della cosa pubblica, pensa di risolvere il problema della sicurezza, e del riconoscimento al suo diritto che ogni cittadino deve avere, mettendo una taglia su chi segnala persone sospette o che girovagano senza un apparente motivo tra le strade del “suo” territorio.
Wanted, ricercato: vivo, o preferibilmente morto.
Quante vittime ha procurato la lettura ripetuta di Tex Willer tra le generazioni degli anni Sessanta?
Il resto è noto; discussioni invettive, ospitate a Matrix e a Porta a porta, e poi il nulla, il nulla assoluto, il nulla che fa paura, il nulla delle chiacchiere e del distintivo, l’unica cosa che pare davvero interessante in casi del genere. Il distintivo, il ruolo nella sicurezza, a prescindere da quello che si fa.
Insomma una vera e propria dichiarazione di guerra senza esclusione di colpi. “A gratis”, come dicono a Roma.
Peccato che la differenza tra un criminale e un cittadino perbene risiede proprio nella capacità di quest’ultimo di far rispettare le regole senza commettere, egli stesso, angherie e violenze.
E per fare questo è necessario investire risorse sugli apparati che, democraticamente e nel pieno rispetto delle leggi e dei principi costituzionali, riescono a garantire la sicurezza e la libertà.
Sicurezza e libertà. Questo il binomio che il governo di un Paese democratico non deve mai perdere di vista.
Ma un governo che costringe i poliziotti ad anticipare i soldi prelevandoli dal magro bilancio familiare per garantire l’attività investigativa, per arrestare pericolosi latitanti, pedofili, trafficanti di esseri umani, mafiosi o camorristi, è un governo che vuole garantire la sicurezza e la libertà?
Un governo che da oltre due anni opera tagli sui bilanci della sicurezza (e quindi sul diritto alla sicurezza dei cittadini) per oltre un miliardo di euro (circa duemila miliardi delle vecchie lire!!!) mentre promette più risorse, più mezzi, più benzina per le auto di cui, però non si vede traccia, è un governo che vuole garantire sicurezza e libertà?
Un governo che da oltre due anni (è la prima volta che accade nella storia della Polizia di Stato) non rinnova il contratto a quei poliziotti che sino ad oggi hanno garantito il funzionamento della macchina sicurezza grazie ai soldi che hanno anticipato dalle proprie tasche, nella speranza di veder arrivare risorse adeguate a riconoscere i propri sacrifici e l’alta professionalità che quotidianamente dimostrano nella lotta al crimine organizzato e non, è un governo che vuole garantire sicurezza e libertà?
Ma un governo che promette un aumento di stipendio adeguato al compito essenziale che i poliziotti svolgono pari a circa 37 euro medi lordi procapite al mese per il biennio di riferimento, anziché i 134 euro riconosciuti da quello precedente, è un governo che vuole garantire sicurezza e libertà?
Un governo che ha promesso per l’ennesima volta, e dopo aver riconosciuto la fondatezza delle ragioni che hanno portato 40mila poliziotti in piazza lo scorso ottobre a denunciare che il sistema è al limite del collasso se non si interviene immediatamente, che entro il mese di gennaio scorso avrebbe stanziato risorse per il personale pari a circa 750 milioni di euro, per la parte proveniente dal fondo unico di giustizia, ed un 1% della somma ricavata dallo scudo fiscale e che ad oggi non ha ancora stanziato un solo centesimo, è un governo che vuole garantire sicurezza e libertà?
Io ritengo di no.
Per aspera ad astra dicevano i latini. E che la strada che porta alle cose alte sia irta di ostacoli, ne eravamo consapevoli già quando abbiamo assistito ai tentativi goffi di propinare cose succedanee alla sicurezza reale come le ronde, il registro dei barboni, i medici spia o i sindaci sceriffi.
Mai avremmo immaginato che gli ostacoli, e di quelli più irti, li potessero porre proprio a coloro che rivendicano il sacrosanto diritto di vedersi riconoscere adeguatamente il lavoro che fanno.
Sì, proprio così; c’è chi in mezzo a noi, sindacati di Polizia (pochissimi ad onor del vero visto che i colleghi sono attenti ed informati) ritiene, sostenendo che non vuole essere stampella per l’opposizione, che oggi esistano le condizioni per accettare un aumento lordo mensile di 37 euro procapite senza che il governo onori il suo impegno stanziando effettivamente le risorse preannunciate all’inizio di quest’anno nell’apposito incontro che ha rinviato l’apertura del tavolo contrattuale. In pratica, meglio l’uovo oggi che la gallina domani.
Il Siulp, e i sindacati che rappresentano circa il 90% della rappresentanza sindacale nella Polizia di Stato, ritengono, invece, non volendo essere stampella del governo, che questo debba onorare il suo impegno in pieno, assegnando le risorse per dare corso, ad esempio alla previdenza complementare che, sebbene non riguarda chi va in pensione con il vecchio sistema retributivo (forse è questo il motivo del disinteresse da parte di chi tratta per conto degli altri sapendo che i suoi interessi sono al sicuro), è condizione essenziale per costruire una pensione dignitosa e che recuperi il gap che il nuovo sistema contributivo ha creato in danno dei giovani rispetto al vecchio sistema retributivo.
E per dare finalmente corso al riordino delle carriere: un riordino che, oltre a ridisegnare un sistema sicurezza adeguato alle mutate esigenze del Paese nella nuova era della globalizzazione, dia un nuovo slancio al modello organizzativo attraverso la riqualificazione delle professionalità presenti, tracciando nuovi percorsi di avanzamento per i giovani, un riconoscimento delle funzioni per i meno giovani che, tra l’altro ne trarranno beneficio anche ai fini previdenziali.
Questi gli obiettivi e le ragioni della nostra azione contro il governo. Questa la verità sulle reali risorse e sul perché il governo ha preannunciato i suddetti impegni. Proseguiremo la nostra battaglia nell’interesse dei poliziotti, delle loro carriere, della loro pensione, della sicurezza dei cittadini e del Paese.
E l’unica cosa che cerchiamo, il wanted che noi vorremmo avere per le mani, è un governo che abbia letto un po’ meno fumetti western e s’intenda un po’ di più della gestione della cosa pubblica e degli interessi dei cittadini.
(www.siulp.it)
FOTO: Il Segretario generale Siulp Felice Romano
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