Le recenti, gravi e luttuose notizie, che arrivano dall’interno delle carceri, non possono che preoccuparci, quali operatori penitenziari che hanno dedicato gran parte della nostra vita ad un qualcosa che va al di là del lavoro propriamente detto, e che si configura come una missione nell’interesse della collettività; siamo poi rimasti allibiti dalle parole registrate, uscite da un carcere della nostra Italia democratica, ma siamo anche consapevoli che tali episodi non sono la generalità del mondo carcerario e che la nostra democrazia ha gli strumenti idonei per punire qualsiasi atto criminale.
La legge di riforma dell’ordinamento penitenziario (legge 354/75) ha reso esecutivo, nel nostro sistema giuridico, il principio costituzionale per cui le esigenze di protezione della collettività debbano tradursi in una serie di interventi finalizzati non solo alla custodia, ma anche al recupero umano e sociale degli autori di reato, attraverso procedure e metodologie indicate complessivamente con il termine di “trattamento penitenziario”.
L’idea fondamentale è che il rischio di ricaduta nel delitto viene ridotto se si favorisce il reinserimento sociale del soggetto deviato.
Alla funzione di prevenzione generale della norma penale si affianca, pertanto, un’attività di prevenzione speciale, tendente a ridurre la recidiva tramite interventi cosiddetti rieducativi, che si realizzano attraverso un complesso sistema di benefici penitenziari e di misure alternative alla detenzione, applicati sotto la giurisdizione della magistratura di sorveglianza.
Al cuore di questo sistema c’è il lavoro svolto dagli operatori penitenziari, tutti attualmente inquadrati contrattualmente nel Comparto Ministeri, che opera in forte sott’organico (mancano 3.500 persone a cui si fa fronte con personale della Polizia Penitenziaria), ed è il meno pagato rispetto al Comparto Sicurezza e ai dirigenti penitenziari (media di 1.200 euro al mese).
Nell’ambito carcerario, il personale civile non garantisce solo una corretta e complessa gestione amministrativa e contabile (funzioni, peraltro, che non escludono il contatto diretto con i detenuti; a titolo di esempio basti pensare che il funzionario dell’area contabile, quando effettua la cosiddetta ricognizione dei beni in tutto l’istituto, esegue il suo lavoro alla presenza dei detenuti, specie nelle sezioni e nei locali da loro frequentati), ma si occupa delle attività finalizzate al recupero sociale del reo per il suo futuro reinserimento nella società.
Tutto questo lavoro viene realizzato attraverso un contatto diretto con i detenuti che vengono incontrati all’interno del carcere, dentro le sezioni detentive, effettuando colloqui, partecipando a tutti i momenti di socialità, seguendo le attività lavorative, scolastiche e ricreative, operando sempre in stretta collaborazione con gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, la magistratura di sorveglianza e i servizi socio-assistenziali del territorio.
E non dobbiamo dimenticare il prezioso lavoro svolto dagli assistenti sociali dell’Amministrazione penitenziaria, che operano negli Uffici locali di esecuzione penale esterna (Uepe), ex centri di servizio sociale per adulti.
Il personale civile appartenente attualmente al Comparto Ministeri svolge, in sostanza, una funzione essenziale per il funzionamento del sistema di esecuzione, con tutti i rischi connessi che tale attività comporta e in situazione di grave carenza di organico ormai storica, ma aggravatesi per il sovraffollamento dei detenuti (oggi 65.000 con una capienza regolamentare di 43.000).
Tutti gli operatori penitenziari svolgono, in sostanza, compiti rilevanti per garantire la sicurezza della collettività, unitamente alle Forze dell’ordine e alla magistratura.
Il personale penitenziario, costituito da una serie variegata di figure professionali (direttori, assistenti sociali, educatori, contabili, collaboratori, tecnici, informatici, formatori, psicologi, tecnici edili e di altri settori, interpreti, bibliotecari, ecc.), sia del Dap (circa 6.000 persone) che del Dgm (1.400), fortemente mortificato da questa situazione, ha aderito - nel mese di novembre 2008 - con slancio all’iniziativa “Tutti nella Polizia Penitenziaria”, facendo pervenire alle due Direzioni centrali del Personale centinaia di domande per chiedere il transito nel Corpo di Polizia Penitenziaria.
A tale iniziativa, nei mesi di giugno e luglio 2009, si è aggiunta una petizione, firmata da migliaia di lavoratori del settore penitenziario, che auspicava un intervento legislativo volto a sanare la predetta questione.
E’ ormai importante una nuova riorganizzazione del personale penitenziario, ormai stanco di essere emarginato e mal remunerato.
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