Il concetto di “ sicurezza urbana” comprende
non solo la questione dell’ordine pubblico
in senso stretto, ma la qualità urbana, fisica
e sociale, lo “star bene” nelle città
e nelle relazioni sociali
Non è certamente singolare occuparsi del tema della sicurezza delle città ed occuparsene in un momento storico nel quale si assiste ad una crescita della sensibilità culturale e sociale nei confronti delle questioni e delle problematiche connesse allo stesso tema.
La sicurezza delle città è ormai divenuto un tema di grande spessore sui tavoli politici e tecnici di tutto il mondo, a cominciare dai grandi continenti fino alle singole nazioni, senza trascurare neppure il più piccolo centro abitato. La riflessione sulla sicurezza e sulla sua realizzazione è essenziale per chiunque abbia un interesse sociale.
L'intenzione del percorso di riflessione che in questa collaborazione con Polizia e Democrazia è quella di provare a tracciare i presupposti per una corretta interpretazione del concetto, anche confrontandosi con varie realtà dell’Europa e d'Italia ed approdare a delle specifiche singolarità, quelle dell'esperienza di alcune città, dove si è impegnati in uno sforzo per fronteggiare i segnali del disagio, con il tentativo di una programmazione che parta dal basso, dalle persone, perché ciascuno è sì soggetto di diritti, ma anche di doveri.
I fenomeni del disagio urbano, la criminalità diffusa, la difficoltà di raggiungere, attraverso le vie ordinarie, una sicura e solidale convivenza cittadina, il teppismo urbano ed altri fenomeni analoghi, particolarmente presenti nelle nostre città, suscitano nelle persone un forte bisogno di sicurezza.
Questi fenomeni fanno emergere la richiesta sempre crescente di un controllo maggiore del territorio, di una corrispondente azione di prevenzione sociale e di una contestuale diffusione della cultura della legalità.
Il concetto di “sicurezza urbana” si presenta, quindi, alla nostra riflessione con uno spessore assai più profondo di quanto normalmente lo si intenda. Esso comprende la qualità urbana, fisica e sociale, lo “star bene” nella città e nelle relazioni sociali. Non solo, dunque, la questione dell’ordine pubblico in senso stretto, il controllo della legalità, la repressione dei reati in senso stretto.
C’è un dibattito aperto e controverso sul significato che attribuiamo al termine “sicurezza” o alle “politiche di sicurezza urbana” o al “diritto alla sicurezza” e cosi via. Il rischio di parlare solo in apparenza delle stesse cose è forte e si tratta quindi di identificare alcuni punti di riferimento sufficientemente chiari e condivisi.
La sicurezza è tale se diviene giorno dopo giorno sempre di più uno strumento di libertà ed autonomia per tutti. È stato opportunamente osservato da molti studiosi ed osservatori dei fenomeni di sicurezza che essa non può essere individuata come un obiettivo specifico, preciso e puntuale, ma dovrà essere unicamente concepita come un percorso, spesso accidentale, che si misura sull’allargamento delle libertà di tutti, sulla capacità di definire, di volta in volta, le condizioni per vivere insieme, per convivere senza troppe paure ed incertezze, un processo di mediazioni continue, favorite da un potere democraticamente individuato, da un insieme di strumenti predefiniti in grado di produrre regole di convivenza, e non già come un insieme di comportamenti assoluti e legittimati, certo democraticamente, ma una volta per tutte. Insomma si costruisce il bene sicurezza solo se, nel rispetto di regole condivise, c’è più libertà ed autonomia per tutti, se vengono garantiti i diritti fondamentali.
C'è distinzione, dunque, fra politiche di sicurezza e politiche criminali. Le politiche di sicurezza riguardano l’intera popolazione, la qualità delle relazioni sociali e interpersonali e dell’ambiente urbano, mentre le politiche criminali riguardano solo la prevenzione o la repressione di determinati comportamenti qualificati come reati, penalmente perseguibili. In sostanza, le politiche criminali sono una parte, più o meno rilevante a seconda dei contesti delle politiche di sicurezza. L’equivoco nasce dal fatto che in Italia, anche per mancanza di esperienze diverse, per politiche di sicurezza si finisce per intendere le sole politiche di prevenzione e repressione della criminalità, tradotte in “sicurezza pubblica” o “pubblica sicurezza”. In questo caso la lingua italiana non aiuta; chi parla francese o inglese ha due diversi termini per indicare, da un lato, la sicurezza urbana in senso ampio, dall’altro quella parte specifica che si riferisce all’azione della Polizia contro la criminalità: “securité” e “sureté” in francese, “safety” e “security”, in inglese. Quando si parla infine di “governo del bene pubblico e della sicurezza” si intende la necessità di un governo unitario sia delle politiche di sicurezza che delle politiche criminali. Ed è proprio l’incidenza delle “politiche criminali” nel contesto della sicurezza a muovere le Amministrazioni locali, in particolare i sindaci, ad un confronto sempre più ravvicinato con chi ha, in Italia, competenze dirette in questo campo: le Autorità Provinciali di Pubblica sicurezza, le Polizie nazionali, l’Ordine giudiziario. In quest'ottica l'istituzione del Comitato Provinciale per l'Ordine e la Sicurezza - che prevede, oltre alla presenza del Prefetto e di tutte le Forze dell'ordine, anche quella attiva e propositiva del sindaco (legge 121 del 1/4/81 e D.l. 279 del 17/7/99) - ed i protocolli di intesa tra Prefetture e Comuni rappresentano un primo punto di arrivo e, allo stesso tempo, di partenza per nuove politiche di sicurezza fondate sulle città: si è dato il via, così, ad una diffusa sperimentazione di iniziative locali di cui sono protagonisti, su un piano di parità, i governi della città e gli organi dello Stato localmente responsabili della Sicurezza pubblica.
La necessità di offrire un orientamento all’interno del complesso tema della sicurezza delle persone, in cui è facile disperdersi, ci ha portato ad avviare un lavoro di ricerca che, fra l’altro, si occupasse anche di delineare i criteri per una efficace progettazione degli interventi di sicurezza urbana. Il tema, infatti, si presta tanto a essere ridotto ai soli fenomeni di devianza e criminalità, quanto ad essere talmente esteso alle molteplici dimensioni della vita dei cittadini, da far perdere l’orientamento e le capacità di un intervento finalizzato a ricostruire un clima generalizzato di fiducia.
Nell’intento di questa collaborazione, però, c’è anche la necessità di ricostruire le linee portanti di un approccio integrato al tema. Sono tante, infatti, le direzioni verso cui deve essere avviata una politica per la sicurezza e forti le connessioni da mantenere tra una strada e l’altra. Una politica integrata per la sicurezza può essere paragonata al disegno di una ragnatela, che parte in mille direzioni, sviluppa centinaia di connessioni, ma dove nulla è causale ed è frutto di un progetto e di un obiettivo finale definito. Nei prossimi appuntamenti tratteremo anche del tema delle vittime innocenti della criminalità e dell’uso sociale dei beni confiscati alle mafie.
L’obiettivo principale, dunque, è fornire elementi concettuali, conoscitivi e metodologici in grado di orientare, nella progettazione e nell’attuazione delle politiche e degli interventi, gli attori che operano nel campo della sicurezza, indicando loro vie particolari di intervento che possono comunque contribuire ad accrescere il senso di sicurezza nei luoghi di vita quotidiana.
La filosofia di fondo che ispira questo lavoro è che intervenire per rafforzare il senso di sicurezza delle persone significa investire nella prevenzione, nella rassicurazione sociale e nella cura delle percezioni e delle paure dei cittadini rispetto alla criminalità diffusa, nella consapevolezza che la mera delega agli strumenti di prevenzione-repressione del sistema di controllo non può bastare a fornire risposte ai bisogni complessi dei cittadini.
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