Si può ragionare ancora in questo paese? Non sempre, ma noi ci proviamo. Cerchiamo di unire - seguendo una mia logica arbitraria - una serie di notizie che all’apparenza non hanno nessuna attinenza l’una con l’altra.
Andiamo con ordine, parliamo della città di Roma e partiamo da sotto casa, dal mio quartiere. La Basilica di San Paolo fuori le Mura sta per essere oscurata? Così titolava un pezzo del Messaggero. Un pò preoccupato, ma soprattutto incuriosito, inizio a leggere. “Due imponenti fabbricati infatti sono in corso di realizzazione a pochissimi metri dalla stessa (Basilica), deturpandone irrimediabilmente la veduta, apparentemente con il silenzio delle Istituzioni locali e non”. L’articolo si chiude ricordando i problemi legati al traffico: “a parte il negativo impatto ambientale, il conseguente inevitabile nuovo afflusso di persone rischia di mettere in ginocchio un territorio già fortemente penalizzato dal traffico abituale e dalla mancanza di parcheggi”.
Per ora la mia preoccupazione è limitata al “territorio quotidiano”, quello che frequento tutti i giorni, quello legato a facce e a persone più o meno conosciute. Sfogliando la cronaca di Roma del Corriere, però, la mia preoccupazione cresce. “Varato il Piano Casa della Capitale 27 mila nuovi alloggi, 6 mila popolari”. Il titolo mi rassicura, il sottotitolo no. “Sfratti e nuovi cantieri”. Cerco di riassumere l’articolo. Il consiglio comunale di Roma, lunedì 1 marzo, ha approvato con una delibera il Piano Casa. Provvedimento apprezzato dai costruttori dell’Acer e Fedilter (l'associazione che riunisce gli imprenditori edili del terziario). Salgono a 6000 gli alloggi Erp - edilizia residenziale pubblica - da realizzare. “L'emendamento bipartisan - notizia che si somma a notizia - porta da 3000 a 6000 il numero di alloggi popolari da costruire nella Capitale. Questi alloggi saranno realizzati in parte nelle nuove centralità del Piano regolatore, in parte sui Toponimi, in parte nelle aree di riserva”. Ad un occhio poco attento la notizia sembra positiva. Nuovi alloggi in una città come Roma, dove si hanno le stesse probabilità di trovare casa, ad un prezzo “umano” (per umano intendo che per pagare l’affitto non bisogna essere dei super-uomini con la capacità di fare tre lavori contemporaneamente), che trovare valigette piene di soldi alle fermate dei bus. Ma continuando a leggere emergono i lati negativi. Infatti, secondo il consigliere comunale Andrea Alzetta (Roma in action) “tutti i 3000 alloggi in più saranno costruiti nelle aree verdi di riserva e resta un grande punto interrogativo su chi finanzierà la realizzazione di questi alloggi”. I maligni potrebbero aggiungere che Alzetta rappresenti il popolo del “no”, il popolo dei pessimisti di quelli che per paura preferiscono le chiacchiere ai fatti. Ma non è esattamente così. Nell’articolo del Corriere della Sera, viene riportata anche una dichiarazione propositiva di Alzetta che chiede di elevare a 8500 il numero di alloggi popolari e aggiunge: “proponevo di realizzare Erp nelle caserme senza occupare nuovo Agro romano”. Esatto, io che vivo nell’Agro romano di un secolo fa conosco i rischi di una urbanizzazione selvaggia della campagna, è probabile la nascita di “ecomostri”, di nuove rotonde e dell’inevitabile congestionamento del traffico.
Molti sfrattati, tra cui una ragazza madre che ha occupato un alloggio Ater sul lungotevere Testaccio, penso che possano appoggiare le mie obiezioni.
Sembra un problema di difficile soluzione, un classico paradosso della nostra civiltà. L’economia di mercato chiede sempre nuovi mercati, nuove persone, le persone cercano casa e il territorio (la costante) ha i suoi limiti di spazio e risorse. Ci dovremmo rassegnare, noi come società, nello scontentare qualcuno. Prediligiamo i costruttori e l’economia e in minima parte i cercatori di casa (la connessione d’interesse tra cittadini bisognosi di casa e costruttori è tutta da dimostrare) o la bellezza del paesaggio e la qualità di vita?
Ancora non abbiamo la risposta e il nostro sindaco si lancia in una nuova impresa.
Notizia del 1 marzo è l’incontro tra l’attuale sindaco Alemanno e il suo predecessore Veltroni. “Uno degli argomenti principali dell’incontro con Veltroni è stato quello della candidatura alle Olimpiadi 2020”. Alemanno ha anche aggiunto che l’intenzione è quella di “cercare di affrontare in modo unitario questa sfida importantissima per la nostra città”. E venerdì 5 marzo il sindaco di Venezia Massimo Cacciari con quello di Roma hanno consegnato i progetti delle candidature olimpiche estive per il 2020 delle rispettive città nelle mani del presidente del Comitato olimpico italiano, Gianni Petrucci.
Nei piani si parla anche della costruzione di un parco fluviale nella Capitale.
Secondo Petrucci l’Italia ha il 25% di possibilità di organizzare le Olimpiadi estive del 2020, come le altre candidate: Spagna, Giappone e Turchia.
Alla luce delle inchieste sugli appalti dei mondiali di nuoto (noi cittadini aspettiamo la fine dei lavori nel cantiere di Tor Vergata), la percentuale del 25% un pò mi spaventa. A “pensar male”, anzi, la paura si fa concreta. La nostra città ancora paga gli sfregi di “Italia 90” e di una crescita urbana che non conosce sosta, non sarebbe il caso di riprendere un pò fiato? Aspettare, studiare bene il neonato piano regolatore e trovare nuove soluzioni. Soluzioni come quella del nuovo spazio pubblico per l’arte e la produzione culturale contemporanea “La Pelanda”, 500 mq appena restaurati all’interno dell’ex Mattatoio di Testaccio. È il momento di fare scelte coraggiose, basta finanziare i costruttori senza riscuotere garanzie, sarebbe meglio indirizzarli in progetti (soprattutto edilizia pubblica) di riqualificazione e riorganizzazione territoriale.
Continuando a leggere la cronaca di Roma, e non solo, nella mia testa si insinua il dubbio. Alemanno, ultimamente molto contestato sulla gestione delle risorse locali, cerca forse un pò di gloria? Non è che vuole diventare un periodonikes (vincitore di tutti i giochi, un eroe amato da tutti i cittadini)?
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