Valerio Morucci è nato a Roma il 22 luglio del 1949. Famiglia di ex artigiani, falegnami, comunisti. Frequenta senza risultati il liceo linguistico ed il liceo artistico, poi il padre lo iscrive alla scuola alberghiera. Lavora come cameriere al cocktail lounge dell'aeroporto di Fiumicino, ma alla fine del 1967 si licenzia. Inizia a rifrequentare gruppi intorno al Liceo Mameli. Si appassiona ai temi del presessantotto: dalla psicanalisi alla linguistica. Legge Steinbeck, Dos Passos, Hemingway, Neruda, Garcia Lorca, Prevert. Ascolta Bob Dylan e Lucio Dalla. Nel '68 entra nel Movimento. Successivamente aderisce a Potere Operaio, dove diventa subito responsabile degli studenti medi. Dopo arrivano il coordinamento del Servizio d'ordine e le prime molotov. Nel febbraio del 1974 viene arrestato al valico di Chiasso per “tentata introduzione di armi e munizioni”, insieme a Libero Maesano. Tra il 1976 ed il 1977 è uno dei dirigenti delle F.A.C., Formazioni Armate Comuniste, che partecipano alla fondazione della colonna romana delle Br. Il 16 marzo 1978 partecipa alla strage di Via Fani. Nei giorni del sequestro, insieme ad Adriana Faranda, svolge la funzione di postino delle lettere del presidente democristiano.
In questo periodo la Digos invia un rapporto alla magistratura nel quale segnala l'appartenenza di Morucci e Faranda alla colonna romana delle Br. L'8 maggio, secondo le dichiarazioni rese da Adriana Faranda alla magistratura il 23 ottobre 1994, si svolge in via Chiabrera una riunione della direzione della colonna romana delle Br. Morucci, Seghetti, Balzerani, Faranda e Moretti stabiliscono le modalità dell'uccisione di Moro ed il trasporto del cadavere. Per alcuni giorni, nei primi mesi del 1979, Morucci e Faranda sono ospitati in casa di Aurelio Candido, grafico de Il Messaggero e militante del Partito Radicale. Nel corso del processo Metropoli, qualche anno dopo, Candido dichiarerà di aver concesso loro ospitalità su richiesta di Lanfranco Pace, che tuttavia non lo informò sulla loro identità. Il 24 marzo 1979 Morucci e Faranda si installano in Viale Giulio Cesare 47, nell'abitazione di Giuliana Conforto, figlia di Giorgio Conforto. I due vengono arrestati il 29 maggio. In casa viene ritrovata la mitraglietta Skorpion, usata per uccidere Moro.
Il 5 luglio 1979, Lotta continua, ripresa da L'Espresso, pubblica un documento dei dissenzienti delle Br, contenente dure critiche alla direzione delle stesse. I nomi non sono pubblicati ma gli autori sono identificati nei fuoriusciti dalla colonna romana, tra i quali Morucci e Faranda. Pochi giorni dopo, i brigatisti dell'Asinara replicano alle critiche con un documento. Il 27 ottobre 1980, nel supercarcere di Nuoro, esplode la rivolta dei detenuti che chiedono di essere trasferiti in continente. Nel corso della rivolta due di loro vengono uccisi, mentre rimane ferito Roberto Ognibene. Le trattative, guidate da Alberto Franceschini e Valerio Morucci, si concludono positivamente con l'accettazione delle condizioni poste dai detenuti. Il primo settembre del 1984 Morucci dichiara al giudice istruttore Ferdinando Imposimato: “Tutti i comunicati emessi dalle Br durante il sequestro Moro ci vennero dati dal responsabile del comitato esecutivo (Mario Moretti, ndr) inserito nella colonna. Il contenuto dei comunicati veniva espresso esclusivamente dal comitato esecutivo, nel cui ambito veniva discusso a Firenze, in un luogo messo a disposizione dal comitato rivoluzionario toscano. I comunicati dati a giornali, in qualunque città venissero diffusi dalle Brigate rosse, provenivano tutti dalla stessa macchina e dallo stesso ciclostile che erano a Firenze”. Nell'ottobre del 1984, in un'intervista a Il Corriere della Sera, Morucci e Faranda affermano che la “lotta armata” è fallita. Da Genova, il 5 novembre successivo, Moretti replica che “la verità di Morucci e Faranda è una delle tante versioni di comodo per i partiti e in generale per il sistema politico italiano”.
Il 18 gennaio del 1985, nel processo d'appello in corso a Roma per il rapimento e l'omicidio di Aldo Moro, Morucci legge un documento di dissociazione dalla lotta armata firmato da 170 detenuti. Il 14 marzo successivo la Corte di assise riduce a ventidue le condanne all'ergastolo e diminuisce la pena a molti imputati: a Valerio Morucci e Adriana Faranda l'ergastolo precedentemente inflitto è commutato in trenta anni di reclusione. Il carcere a vita è invece confermato per Lauro Azzolini, Barbara Balzerani, Prospero Gallinari e Mario Moretti. Il 20 febbraio 1986 si conclude a Roma il processo a carico di 16 militanti delle FAC: Morucci è condannato a dieci anni di reclusione, Faranda a otto, Luigi Rosati a sei, Renato Arreni, Giancarlo Costa, Giancarlo Davoli, Bruno Seghetti, Germano Maccari a quattro, Antonio Savasta ad uno. Nel 1990 Morucci redige un memoriale. Il 13 marzo, il vicedirettore del quotidiano Il Popolo, Remigio Cavedon, recapita al presidente della Repubblica Francesco Cossiga il documento avuto da suor Teresilla Barillà. Il 26 aprile successivo, Francesco Cossiga, lo invia al ministro degli Interni. Il 7 giugno il memoriale giunge nelle mani del giudice competente per l'inchiesta sul caso Moro. Poche settimane dopo Rosario Priore deposita l'ordinanza di rinvio a giudizio relativa all'inchiesta cosiddetta Moro quater. Il 30 settembre dello stesso anno Morucci e Faranda ottengono la semilibertà dopo aver scontato undici anni di carcere; il 10 ottobre iniziano a lavorare a Roma, presso l'Opera don Calabria, nel quartiere Primavalle. Il 17 novembre 1991 Morucci dichiara al settimanale L'Espresso: “Se nella prigione di Moro è entrata una quarta persona, cosa che a me non risulta affatto, non poteva che appartenere alla ristretta cerchia dei capi Br”. Due anni dopo, il 7 ottobre 1993, sia Faranda che Morucci confermano la presenza di un quarto uomo nel rifugio brigatista di via Montalcini. Qualche giorno più tardi, in un’intervista a Giampiero Mughini pubblicata dal settimanale Panorama, Morucci racconta che i brigatisti rossi presenti all'agguato di via Fani non erano sette ma nove, e fra questi c'era anche Rita Algranati. Il 15 marzo 1998, su Repubblica, appaiono le dichiarazioni di Bettino Craxi in merito agli incontri avuti nella primavera del 1978 con Pace, Signorile e Landolfi, da un lato, e Morucci e Faranda, dall'altro (da http://www.brigaterosse.org).
Sei un ex-terrorista?
No, sono un ex rivoluzionario.
C’è differenza?
Il terrorista non vuol fare la rivoluzione, a volte la rivoluzione usa il terrorismo ma è un’altra cosa. Togliatti usava la parola terrore nelle sue direttive ai Gap, voleva che i gerarchi fascisti fossero terrorizzati nell’uscire di casa ma non era certo un terrorista. La parola terrorismo è usato in ambito comunista come metodo di combattimento ma il terrorista puro non è un rivoluzionario.
In passato sei stato comunista?
Certo.
Adesso?
Bella domanda… Ora non c’è più niente. Sono ancora comunista perché ritengo che l’enorme potenza produttiva fornitaci dalla tecnologia debba essere usata per il benessere del popolo e non per il profitto dei capitalisti. Questo ragionamento minimale ha più in comune con le radici del comunismo che con il comunismo storico. E’ un comunismo delle società arcaiche che ha solo alcuni punti in comune con quello che conosciamo oggi.
Ti sei mai personalmente ispirato ad un politico?
Lenin sopra tutti, per la sua straordinaria intelligenza, capacità tattica per far sì che il suo progetto incontrasse la storia. Lo ammiro anche dopo che ho capito che era (in senso bonario) “il più grande figlio di puttana della storia”.
Chi voteresti come “premier del mondo” per le elezioni mondiali?
Il premier finlandese, perché si è preso un anno di “paternità” per accudire il proprio figlio. Sarebbe l’unico che potrebbe garantire il rispetto dell’umanità.
Nella tua vita hai fatto delle scelte importanti che hanno implicato conseguenze importanti. L’attaccante che si fa parare un rigore per anni si martella con il pensiero che forse “avrebbe dovuto tirare dall’altra parte”… Pensi mai che avresti dovuto tirare dall’altra parte?
Certo ma lo faccio col senno di poi. Quando ho fatto quelle scelte non avevo la facoltà di vedere nel futuro.
Ci sono vari livelli per fare attività politica, credo che la lotta armata sia una scelta “con le palle”…
In processi sociali, politici, e storici di questa natura, gli eventi si succedono e non c’è un punto preciso di passaggio e spesso si è portati dagli avvenimenti a compiere determinate scelte. La lotta armata non è una scelta grande come una montagna come potrebbe sembrare, quando sei portato dagli eventi, l’ostacolo è assolutamente più basso.
La lotta armata, per chi fa attività politica seria, è una scelta che parte già da un buon punto. Non si parte da 0 per arrivare a 100, si parte già da 80.
Se sei stato già uomo d’azione con un passato politico di azione, compiere la scelta è più agevole rispetto a chi a fatto attività politica classica. Quando nel 1976 decisi di entrare nelle Brigate rosse erano già sei anni che mi dedicavo ad attività paralegali e illegali.
Non c’è stata una goccia che ha fatto traboccare il vaso?
No, è stata una scelta politica, nel senso che di gocce che avevano fatto traboccare il vaso ce ne erano state migliaia e tutte spingevano verso scelte rivoluzionarie e la necessità di continuare, nonostante di mese in mese si subivano terribili sconfitte: come ad esempio, lo scioglimento di potere operaio.
Tuttavia, nonostante molti presupposti della politica iniziale, che prendevano spunto dalla lotta comunista e dall’ideologia marxista-leninista, venivano messi alle corde, non si poteva non rispondere alle centinaia di operai e comunisti uccisi dalla Polizia di uno Stato democratico. Non si poteva tacere di fronte l’imperialismo americano nel mondo e alle rivoluzioni popolari che avevano permesso ai popoli del Terzo mondo di affrancarsi dall’imperialismo e dal colonialismo.
Tutto quel senso di effervescenza e ribellione era mondiale e ci consentiva di andare avanti, nonostante la realtà, che sembrava negare quello che noi stavamo facendo. C’era una grossa spinta, dovuta proprio agli eventi traumatici, in termini di tensioni sociali, che vivevamo.
Erano anni diversi, ad oggi si grida ai guerriglieri per due ragazzi che tirano uova alla Polizia, per noi questo è stato appena l’inizio, confronto a noi, i facinorosi odierni sono considerabili alla stregua di pacifisti. Sia chiaro, anche noi eravamo all’inizio quasi pacifisti, ma dopo tutte le botte ricevute, abbiamo pensato che forse era meglio reagire.
Ad ogni modo oggi si grida alla guerriglia per cose assolutamente ridicole.
E’ curioso questo fatto, dall’altra parte si sostiene che le botte le davate voi…
Succede sempre così…
Ve ne siete date di santa ragione con la
Polizia, non mi sembra ci fossero vittime e carnefici preordinati…
Fino ad un certo punto sì, per la prima volta durante gli scontri di Valle Giulia non ci siamo limitati a scappare dalle violenze della Polizia ma abbiamo risposto con la forza.
Catapultiamoci a 30 anni dopo… un uomo dell’ex Movimento sociale - Destra nazionale, il presidente Fini, spesso e volentieri supera a sinistra il Pd. Un uomo che, credo allora passava dalle navi all’imprenditoria, è Presidente del Consiglio… rispetto a questa Italia, hanno avuto senso tutte quelle battaglie politiche, tutti quei morti e quella violenza? Il sistema in fondo non è stato abbattuto dalla politica ma dalle azioni giudiziarie di “mani pulite”…
Questo è il punto di vista dell’uomo comune, è un punto di vista esterno però, che presuppone non solo che tutto quello che abbiamo fatto è stato inutile ma che sia inutile fare alcunché.
L’uomo che fa questa domanda è colui il quale sostiene che si può solo stare a guardare e non intervenire nelle cose. Invece, se pensi che si possa intervenire nelle cose, la domanda diventa più complessa. Le cose le fai sul momento, non considerando se a trenta anni di distanza possano aver senso. I sanculotti che attaccarono la Bastiglia non avevano la minima idea di cosa sarebbe successo, che dal loro gesto sarebbe nata la Rivoluzione francese, l’Illuminismo, l’Impero francese e Napoleone. Se qualcuno avesse la possibilità di chiedere a quei sanculotti, se valeva la pena fare quel gesto che avrebbe distrutto la monarchia e fondato un impero, con a capo un nano italiano nato in Corsica, ti risponderebbero che allora si sentivano di assaltare la Bastiglia. E’ la stessa cosa che ti rispondo io. Allora aveva senso. Un senso estremo, un senso di vita. Decidere di togliere la vita e rischiare di perderla sono scelte estreme che si fanno solo con grande convincimento.
Poi le cose sono andate come hai descritto tu, ma non ci sono andate perché noi abbiamo fatto scelte giuste o sbagliate e nemmeno perché non potevano andare diversamente: sono andate così e basta. Non lo sai mai, prima, come vanno le cose.
A 30 anni di distanza ti fai delle domande sul tuo passato? Cosa pensi di quello che fu il movimento rivoluzionario?
Certo che mi pongo domande e mi rispondo che abbiamo preso una cantonata assoluta. Portati da circostanze avverse, probabilmente avverse solo per “qualche metro”, quella distanza minima che è diventata incolmabile, ci ha portato ad una disfatta storica. Abbiamo agito in un’epoca storica applicando gli strumenti della precedente e questo è stato un errore madornale. Non è successo tuttavia per la nostra incapacità.
Agire con strumenti delle epoche precedenti è il classico difetto di ogni movimento politico e rivoluzionario che, ogni volta, utilizza strumenti già vecchi. In un movimento enorme, come quello della stagione degli anni di piombo, è stato già tanto fare qualcosa, mettere mano ad un progetto e non seguire semplicemente l’onda.
Si usano sempre gli strumenti di epoche precedenti?
Pensa a quello che sta succedendo al giorno d’oggi: c’è gente che pensa di essere ancora nell’epoca precedente, quella del confronto parlamentare, non hanno invece capito che il Parlamento è finito.
Berlusconi nemico del Parlamento?
La fine del Parlamento, come luogo di confronto, non è iniziata oggi. E’ iniziata con Craxi. Chi pensa ancora che ci sia spazio per il confronto parlamentare è uno scemo, come eravamo scemi noi. E non parlo solo per l’Italia, in tutto il mondo si assiste alle stesse scene.
Me li definisci meglio questi “scemi”?
Sono quelli che fanno finta di credere che l’occidente capitalistico possa ancora usare la democrazia come sistema di governo. L’Occidente capitalistico sta andando da tutt’altra parte, sta andando verso la dittatura. Dittatura della maggioranza, ovviamente.
Questo tipo di dittatura è un fenomeno già in auge dagli anni ’80 e non è determinato da “uomini cattivi”, per certo quelli ci sono sempre ma al massimo possono dare qualche spintarella al sistema, possono fare qualche “gioco sporco” ma non più di questo. La fine della democrazia è dovuta al sistema che sovraintende il capitalismo occidentale.
In Italia ci stiamo avviando verso la dittatura della maggioranza….
Bada bene, non “questa” maggioranza, ma qualsiasi maggioranza. In Italia ci sono le stesse differenze degli Stati Uniti tra partito Democratico e Repubblicano, piccole sfumature, magari sulla sanità o la difesa ma stesso sistema.
Che sia Partito democratico o Popolo delle Libertà non cambia nulla.
Ma in fondo la democrazia è “la dittatura della maggioranza”…
No, anche Toqueville lo ha temuto nel suo studio sulla democrazia in America. In democrazia le strutture di controllo sono importantissime e sono funzionali ad evitare derive dittatoriali. La Corte Costituzionale o il Parlamento sono strutture di controllo importantissime, fondamentali per evitare rinascite dittatoriali. Il problema nasce quando su 94 leggi licenziate, credo, solo 4 sono di iniziativa parlamentare e le altre 90 governative. In questo caso, di fatto, la maggioranza esercita una dittatura, il Parlamento è come se non ci fosse.
Questa “mancanza di democrazia” viene, ad alta voce, gridata sia dalla destra che dalla sinistra radicali…
Quelli di sinistra lo fanno stupidamente, perché credono che sia la destra ad esercitare una forma di dittatura, mentre è il sistema che necessariamente va in quella direzione. Pensando sia la destra ad esercitare una sorta di dittatura sono convinti che scalzando la destra il problema si risolve e questa è una sonora idiozia. Il primo che ha mosso verso la dittatura è stato Craxi, che non era certo un uomo di destra. D’Alema quando ha mandato i bombardieri su Belgrado senza chiedere a nessuno, senza rispetto per la Costituzione, senza passare per il Parlamento, ha esercitato un atto assolutamente dittatoriale.
I militanti di sinistra e di destra sono ancora ancorati alla politica e ad un nemico: sono dei “cretini”. Pensano ancora in termini di nemico-amico, per cui una volta eliminato il nemico il gioco è fatto. Quelli di sinistra non hanno capito nulla, soprattutto del marxismo. Recuperato il marxismo ho ben chiaro quello che loro non hanno ancora capito: il nemico è il sistema, non gli uomini. Al giorno d’oggi, il capitalismo deve limitare tutto il suo apparato produttivo per massimizzare i profitti, per cui è costretto ad esercitare forme di dittatura. Siccome non c’è alternativa al sistema economico capitalistico, o almeno l’alternativa o le alternative possibili non sono certo propugnate dalla sinistra, è da cretini pensare che il problema sia la destra.
Nella realtà un sistema alternativo al sistema capitalistico c’è, è l’Islam…
Non è un’alternativa politica è teologica. E’ come quando il Vaticano in Italia vuole bloccare il mondo, bloccando la deriva, se il mondo perde valori, si dice che invece i valori sono quelli cattolici. E’ la stessa cosa che dicono i musulmani.
Sarà teologia ma i gruppi terroristici marxisti-leninisti, per esempio palestinesi, sono scomparsi….
Il marxismo-leninismo non è più un’alternativa credibile e allora cede il passo all’Islam; quando si è disposti ad uccidere e morire bisogna credere in qualcosa di forte. La forza non è mai nelle armi ma nell’idea, le armi la sostengono ma gli uomini si muovono per le idee.
Questo è il motivo per il quale non sono rinati gruppi terroristici in Italia, non perché manchino le armi, quelle ce ne sono in abbondanza, mancano invece idee forti. I gruppi terroristici palestinesi hanno abbracciato una idea forte, universale ma è alternativa all’Occidente, non ad un sistema economico come il capitalismo.
I gruppi fondamentalisti e terroristi odierni giocano sulla leva dell’autodifesa, accusano l’Occidente di opprimere i popoli arabi e in questo modo mobilitano le masse, non riuscirebbero a mobilitare nessuno parlando di “infedeli occidentali” ma veicolando la paura dell’essere oppressi, uccisi o dominati invece riescono ad ingrossare le loro fila.
Se ne esce?
Se ne esce solo dando impulso alla pacifica convivenza. Per convivenza intendo che dobbiamo puntare a culture che vivono insieme ed in pace, interscambiando conoscenze e scoperte e non che si subordinano in un modo o nell’altro. L’integrazione è una chimera, la convivenza mi sembra la strada giusta come lo è stata storicamente nella Spagna musulmana.
Se per pura ipotesi, tra gli anni 70 e 80 ci fosse stata la rivoluzione proletaria e se Valerio Morucci fosse diventato Presidente del Consiglio, come avrebbe riformato l’Italia?
Avrei fatto un sacco di stupidaggini, sarei stato il “Brunetta” della situazione. Avrei agito pensando che con la volontà e con l’imperio si potessero risolvere i problemi che, in Italia, sono secolari.
Non c’è uno Stato in questo Paese, non è mai stato fondato. Lo Stato Italiano è un’idea, una finzione che non esiste ancora nella realtà.
La mancanza di Stato ce la portiamo avanti dall’Italia dei Comuni, dal veto della Chiesa, dal “Risorgimento” che non c’è sia mai stato. Il periodo che conosciamo come “Risorgimento” non è stato altro che una serie di conflitti e piccole rivoluzioni, una guerra contro i Borboni e contro il popolo del Regno delle due Sicilie che hanno dato il potere ad alcuni anziché ad altri. Fondando uno Stato sulla violenza e sull’inganno non si possono dare veri diritti al popolo.
Detto questo, non ci credo che durante le riunioni della colonna romana dele Br non ci fosse qualcuno che avesse idee sul cosa fare una volta preso il potere…
Io non ci pensavo e come me non credo lo facessero gli altri.
Ma almeno pensavate di vincere?
Sì. Alla lunga immaginavamo fosse possibile, anche se in realtà è più bello e più affascinante essere perdenti. Vincere vuol dire governare e il rivoluzionario non è adatto a governare. Anche il “Che”, ad un certo punto, ha lasciato perdere la sua carica di Ministro a Cuba ed è ritornato a fare quello che sapeva fare meglio. C’è un motivo per cui, alla fine, le rivoluzioni sono tutte fallite: i rivoluzionari, una volta giunti al potere e non sapendo governare, hanno lasciato spazio ai politici più avvezzi e smaliziati che hanno riportato tutto allo status quo precedente, magari con un diverso colore politico che però, nei fatti, annichiliva la rivoluzione.
I rivoluzionari hanno un grande fuoco rivoluzionario ma sono inadatti a governare, gli “altri” non hanno fuoco rivoluzionario ma sono adatti a governare. E’ ovvio allora che le rivoluzioni falliscono.
Prendiamo Che Guevara come esempio: non voleva governare o non era in grado di farlo?
Non era in grado, non sapeva scendere a compromessi e agli equilibri che governare richiede. Un rivoluzionario agisce proprio per rompere la mediazione politica, gli riesce difficile una volta al potere, fare quello che per una vita ha tentato di distruggere.
Parliamo di azione. Le azioni delle Br sono state per molti versi eclatanti, mi viene in mente il sequestro Moro, studiato nelle Scuole di Polizia di mezzo mondo. Come ci siete arrivati ad un grado di raffinatezza tale, voi che non avevate una formazione specifica?
La formazione si acquisisce con l’esperienza. Via Fani è del 1978, io ero impegnato a Roma in attività illegali dal 1970, otto anni di esperienza non sono pochi. Un militare con 8 anni di esperienza all’estero è un veterano, noi non eravamo diversi. La nostra capacità di pianificazione era elevata, l’attuazione dei piani sicuramente meno.
Il piano del sequestro Moro, ad esempio, era perfetto, nessuno lo conosce nei dettagli, anche se è tutto agli atti, nessuno si è preso la briga di studiarlo, l’attuazione non è stata così efficace, proprio per mancanza di addestramento. Cose che non dovevano essere lasciate sono state dimenticate sull’asfalto, macchine che si dovevano muovere per prime sono partite per ultime, le armi si sono inceppate anche se questo non è relativo all’addestramento ma alla qualità delle stesse.
Avete mai provato il “piano”?
Una volta, in una base che avevamo a Velletri, una prova però “sui generis” e non particolareggiata.
Cosa provavi un minuto prima dell’azione che avrebbe portato al sequestro Moro?
Apnea. Avevo la sensazione che il sangue non raggiungesse il cervello.
Rivivi mai quell’azione?
La rivivo spesso, come un trauma, per quello che è successo prima e dopo.
La Renault 4 che portava l’on. Moro in via Caetani l’hai portata tu?
Non l’ho guidata, l’ho “staffettata”.
Quali erano le tue emozioni durante quel tragico trasporto?
Ero arrabbiato, cercavo lo scontro ero talmente “adrenalinizzato” che il proseguo naturale sarebbe stato un conflitto a fuoco.
In azione qualche Br ti ha mai deluso?
No.
Perché avete ucciso l’on. Moro? Da vivo, egli avrebbe certamente contribuito (molto di più di qualsiasi colonna brigatista) al disfacimento di quella politica che odiavate…
Questa è la giustificazione politica che usammo io e Adriana [Faranda n.d.r.]con Moretti. Io personalmente non lo volevo uccidere, perché Moro era un prigioniero ed un prigioniero, soprattutto se hai letto le sue lettere dal carcere, non si uccide: è un principio etico fondamentale.
Se uccidi un prigioniero sei un criminale, non un rivoluzionario. Un rivoluzionario può assassinare, per opportunità politica o bellica, mai però un prigioniero. Era difficile pensare di uccidere un prigioniero qualsiasi, ancora più difficile ucciderlo quando è tuo e quando ogni sera prima di dormire e di consegnarle avevi letto le sue lettere. Ti senti una carogna, è insopportabile per un rivoluzionario che al massimo, in negativo, può considerarsi “una angelo sterminatore”. Il rivoluzionario è un benefattore dell’umanità e non uccide i prigionieri.
Perché allora le Br hanno ucciso Aldo Moro?
Non potevano fare altrimenti. Le Br sarebbero implose se Moro non fosse stato ucciso. Moretti era contrario, ha dovuto uccidere perché era sicuro che le Br si sarebbero sciolte. Sarebbe nata una discussione interna lacerante che avrebbe portato all’inattività e al blocco politico e un’organizzazione clandestina inattiva, diventa facile preda e viene fagocitata dalla repressione statale.
Quali sarebbero state le obiezioni interne più grosse alla liberazione dell’On. Moro?
La prima è che avevamo ucciso 5 persone [la scorta n.d.r.] e come facevamo a liberarlo in cambio di nulla? E poi se lo dovevamo liberare in cambio di nulla, per quale motivo l’avevamo sequestrato? Le domande di tutti al comitato esecutivo sarebbero state queste ed il comitato sarebbe stato in estremo imbarazzo e non avrebbe potuto rispondere con sottigliezze politiche del tipo: è meglio libero perché libero fa più danni che da morto. E’ stata una decisione dovuta, diventa lampante che Moretti non voleva uccidere Moro quando telefona a casa Moro. Da quella telefonata si capisce che le Br sono disposte a venire meno alle loro richieste, nonostante fossero estremamente rigide, militarizzate, battono il terreno della mediazione, pronte a mollare sulle loro pretese, dimostrando una elasticità che lo Stato, bloccato, impotente, incapace di ragionare sul da farsi non è stato in grado di esprimere.
Cosa diresti a Nadia Desdemona Lioce?
Nulla, so che è incapace di intendere e di volere. Io ho discusso con Mario Moretti per non uccidere Moro, non sono riuscito a convincerlo, nonostante lui stesso non voleva ucciderlo, cosa vuoi che dica alla Lioce? Gli direi che si è bevuta il cervello, che è andata ad ammazzare gente senza nessuno retroterra politico-sociale.
Noi avevamo una delega dal Movimento Rivoluzionario Italiano, ne abbiamo fatto follie, abbiamo travalicato, ma una delega c’era. Queste cosiddette “nuove Br” non hanno nessuna delega, siamo alla follia, non sanno neanche di cosa parlano quando esprimono concetti marxisti-leninisti, fanno delle cose per “fede” e per questo li posso rispettare ma non perché ammazzano la gente. Ti rispetto perché, per “fede”, combatti per i compagni in galera, così come fece ad un certo punto la Raf.
Lo hai già descritto nel tuo libro “Patrie galere”… in poche parole come si sopravvive al carcere?
Il carcerato politico sopravvive meglio perché riesce a non essere “coatto”, mentre il detenuto comune è psicologicamente coatto. Nel senso che il criminale comune non fa differenza tra dentro e fuori perché in un luogo o nell’altro, le sue azioni sono comunque dirette da una situazione in cui si ritrova invischiato e da cui non riesce ad uscire. Il detenuto comune vive il carcere come vive fuori e viceversa, non potrà allora mai uscire dal carcere. Il detenuto politico invece non è coatto perché ha compiuto delle scelte in totale autonomia e dismesse quelle scelte, può evadere anche se rimane in carcere.
I detenuti politici erano poi rinchiusi in carceri speciali, non seguivano le normali regole dei carceri c’era molto rispetto, ci potevano essere scontri ma c’era un rispetto di base per il semplice fatto che eravamo tutti uomini che avevano fatto una scelta importante. Nel carcere speciale c’è il gotha della criminalità, non c’erano spacciatori, trafficanti, ladri, magnaccia, non c’era la feccia, per cui non c’erano gerarchie o sottomissioni. Il carcere speciale era duro ma non c’era coatteria.
Ad ogni modo, l’uomo si adatta a tutto anche al carcere e per questo riesce a sopravvivere.
Tra militanti dell’estrema sinistra e militanti dell’estrema destra ci si combatteva, e qualche volta ci si uccideva. Poi, dopo che queste stesse persone iniziavano la vera lotta armata non succedeva più. Perche tra “compagni” e “camerati” ci si cerca, e ci si uccide anche, mentre tra Br e Nar non succede?
Nar e Br non sono coeve, nel senso che quando i Nar erano in piena attività, le Br erano già in difficoltà; comunque il problema non si poneva, erano combattenti e non eravamo nemici, semmai co-belligeranti.
I fascisti erano un’altra cosa, erano prezzolati al servizio dei padroni, se un fascista prende le armi contro lo Stato non è più al servizio dei padroni, per cui non ha senso prendere le armi contro di loro. E’ gente che rischia la vita, per cose sbagliate, controrivoluzionarie, ma non più sgherri dei padroni coperti dalla Polizia.
Tornando indietro nel tempo cosa consiglieresti oggi al Valerio Morucci del servizio d’ordine alle manifestazioni e poi a quello Br?
Gli direi privilegia il dubbio alle certezze. Le certezze ti fregano. Ad entrambi.
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