Nella storia del Comando di Tutela del Patrimonio Culturale non mancano ritrovamenti rocamboleschi e operazione spettacolari: sia per qualità dei reperti trafugati (basti pensare alla “Flagellazione” e alla “Madonna di Senigallia” di Piero della Francesca, alla “Muta” di Raffaello, al Vaso di Eufronio, alla “Madonna con Bambino” di Pinturicchio), sia per vastità dei recuperi. Ma la spettacolarizzazione non appartiene certo al carattere e al metodo di lavoro del generale Giovanni Nistri che del Tpc è il responsabile.
Serio, riflessivo, incline all’analisi di taglio culturale e non solo investigativo, Nistri ha ribadito più volte, e non certo come atto di modestia, che i risultati del lavoro del suo Nucleo sono il frutto del lavoro di ieri, come quelli futuri saranno il frutto del lavoro di oggi, di tutte le forze investigative italiane ed estere, anche se, in questo campo, è indubitabile una primazia tutta italiana. E questo fin dalla nascita, dal momento che l’Italia “con un’intuizione del generale Ferrara e del Ministero – spiega il generale – si dotò nel 1969 di questo nucleo con un anno di anticipo rispetto alla convezione Unesco di Parigi che invitava gli Stati membri a costituire delle forze specializzate nella tutela del patrimonio. Tuttora siamo un unicum nel panorama mondiale. Siamo cioè ancora l’unico reparto istituzionalmente inserito all’interno del Ministero che cura, tutela e salvaguarda il patrimonio culturale”.
Un nucleo che ha la sua sede a pochi passi da quella del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, da cui dipende fattivamente in ambito economico, nell’incantevole piazza di Sant’Ignazio, dove Nistri ha il suo ufficio e dove ci ha gentilmente ricevuto.
In che cosa siete diversi dagli altri reparti dei Carabinieri?
Non lo siamo. Le motivazioni della nascita di questo nucleo sono implicite in ciò che l’Arma è dal 1814 che è nata per essere sul territorio e a disposizione delle sue esigenze. Ancora oggi con le sue 5.000 stazioni è uno dei primi caposaldi di sicurezza pubblica nazionale che non è solo la tutela contro qualcosa ma anche a tutela di interessi diffusi. E uno di questi è indubbiamente il patrimonio culturale. L’istituzione di un comando specializzato rientra quindi nel dna dell’Arma.
Come sono i rapporti con i vostri omologhi degli altri Stati?
Abbiamo una precisa e consolidata vocazione internazionale. Non fosse altro perché le problematiche sono trasversali. Per esempio il depredamento dei siti archeologici non è solo italiano. Il crimine che riguarda i traffici, ha connotazioni che possiamo definire transnazionali. Abbiamo quindi grande consuetudine di rapporti, sia operativi, attraverso per esempio i canali Interpool, sia anche come punto di riferimento per attività di formazione: solo nel 2009 abbiamo fatto attività addestrativa e formativa a favore di funzionari ministeriali di polizia e delle dogane di 12 stati esteri, africani piuttosto che europei.
Mi sembra che anche la banca dati sia tra le migliori del mondo.
La nostra banca dati è per tradizione, cultura e riconoscimento la più ampia al mondo. E’ molto più ampia della prima francese e di quella di Interpool. Occorre qualche chiarimento però. Intanto non è un solo magazzino di immagini, anche se l’immagine è il punto di partenza, ma è anche uno strumento di analisti perché ci consente di fare ricerche incrociate. L’altro aspetto è che tutto il circuito Interpool, se ritiene, può inviare le immagini dei beni culturali sottratti. E da qualche mese è anche disponibile sul web. Alla banca dati Interpool necessariamente non arriva tutto, ma una selezione selezionata. Si pensi ad esempio alla Croce di San Venanzio a Camerino, composta tra l’altro da 11 placche in smalto, più anelli d’argento, rubata intorno agli anni ’70. Bene, è stata ritrovata pezzetto per pezzetto, gli ultimi due grazie alla collaborazione con i francesi sul mercato antiquario di Londra. Si capisce quindi che è ben difficile che la singola croce possa essere inserita in Internet.
Il problema non è la difformità di dati è che tecnicamente è difficile che una banca dati mondiali possa avere la completezza di immagini e dati di tutto ciò che quotidianamente viene rubato, non fosse altro che i singoli Paesi possono avere diversa legislazione e quindi diversa descrizione di ciò che è bene culturale. Noi no. Noi inseriamo il Caravaggio, ma al limite anche la cassapanca della nonna che risalga al 1800, che di per sé non merita di andare nella banca dati Interpool ma che però cerchiamo ugualmente e che può essere anche passata al di là del confine. Quindi non si tratta di problema di rapporti, ma dell’essenza di quello che può essere una banca dati. Questo è tanto vero che su indicazione dell’Unione Europea, Interpool sta portando avanti un progetto che concerne la possibilità di una interconnessione diretta tra le singole banche dati nazionali che consentirebbe in presa diretta di guardare anche il dettaglio, che è uno dei motivi per cui abbiamo accesso alla banca dati Cei. Per fare questo occorre superare tutta una serie di problematiche tecniche, di impostazione metodologica perché i criteri possono essere diversi da nazione a nazione.
E’ vero che il nostro patrimonio non è sufficientemente schedato?
Per quanto concerne il patrimonio dei beni ecclesiastici, dal 1999 la Cei con una propria direttiva ha cominciato l’opera di catalogazione che credo stia intorno al 70 per cento. Invece il patrimonio culturale pubblico ha un settore specifico del Ministero. Il problema sorge quando si deve considerare che i beni privati possono essere soggetti alla dichiarazione di culturalità che può avvenire o di ufficio, a cura del soprintendente competente, o a richiesta del privato. Molto spesso un privato che possieda un bene pregevole non necessariamente procede alla notifica. E quello è il buco vero. Tutto ciò comporta che, prescindendo dal procedimento, la cosa fondamentale, ed è il consiglio che diamo sempre a tutti quanti, è che chiunque abbia un bene culturale o che ritenga sia tale, è opportuno che se lo auto cataloghi dal sito dell’Arma dei Carabinieri o in alternativa da quello del Ministero dei Beni Culturali. E’ possibile infatti digitalizzare il modulo (objet id) inserendo i dati nei vari campi. Questa catalogazione potrebbe essere utile qualora ci sia il furto. Anche perché il procedimento di catalogazione è scientifico. Lo consigliamo anche alle istituzioni. Questo è un metodo di catalogazione che coniuga metodo scientifico a velocità. Noi lo abbiamo utilizzato quando fummo chiamati a verificare le perdite del Museo archeologico di Bagdad. E’ un sistema pratico ed efficace. La catalogazione venne mandata ad Interpool è ha costituito la base di partenza di recupero degli oggetti dell’Iraq.
E’ vero che c’è una recrudescenza di furti di arte sacra?
Gli oggetti di arte sacra sono sempre stati colpiti da questo fenomeno. Per tutta una serie di considerazioni, in parte oggettive, riferite cioè all’oggetto, in parte al contesto: la facilità del furto, l’enorme diffusione sul territorio nazionale e la facilitazione nello smerciare la refurtiva: un candelabro è assolutamente smerciabile. Anche oggetti un po’ più particolari, diventano facilmente “modificabili”. Cambiando la prospettiva, le cose cambiano: un tabernacolo diventa un mobile bar, un leggio, una testiera di letto e via rovinando….L’inventiva è tale che un inginocchiatoio può diventare la balaustra di una scala interna. Dopo i privati – il totale dei furti l’anno scorso è stato del 43 per cento - i luoghi religiosi sono i più colpiti con il 44 per cento. Problema tra l’altro oggi in aumento rispetto al 2008. Pensi che l’anno scorso un gruppo basato nell’interland partenopeo, operazione poi conclusa con una trentina di arresti, si era portato via tutta una chiesa.
Rispetto a quello che in maniera eclatante è successo in Austria o in Germania, voi avete avuto richieste di restituzioni da parte di famiglie ebree italiane per beni portati via in maniera illecita o para illecita?
Abbiamo fatto attività di indagine non mirate sullo specifico problema, ma certamente quando capita, andando a investigare sul problema. Recentemente abbiamo restituito alla diocesi di Assisi un dipinto di Justus Sustermans che faceva parte della collezione dell’americano Perkins che aveva donato appunto la collezione ad Assisi e che era diventato preda di guerra, si trovava collocato in una villa toscana e che poi i nazisti avevano razziato. Il patrimonio tornato sul mercato dell’arte, è stato sequestrato e restituito alla diocesi. Nello stesso contesto abbiamo anche recuperato beni di una famiglia fiorentina di origini ebraiche ma i dettagli ancora non li possiamo fornire. La nostra attività si concentra su ciò che ritroviamo sul mercato e non sempre si trovano cose che facciano particolare riferimento a quell’epoca buia.
Nel corso degli anni, la “committenza” di opere rubate è cambiata?
Intanto i furti su commissione sono pochissimi. Forse il ragionamento può avere maggiore interesse sui beni archeologici. Però il rubato è una parte molto ridotta rispetto allo scavato clandestinamente, in questo contesto, grazie anche al sostegno indispensabile della Procura della Repubblica di Roma, che ci ha portato a individuare canali ben precisi che portavano a istituzioni estere per esempio degli Stati Uniti, ma non solo – ci sono una serie di rogatorie internazionali con musei giapponesi. Ora come ora ci sembra che i flussi così massicci del passato, per esempio appunto quelli di cui parla Fabio Isman nel suo recente libro, cioè della grande razzia, si siano ridotti. I musei più avvertiti oggi hanno capito che conviene rivolgersi direttamente allo Stato e ottenere legittimamente dei prestiti. Però è anche vero che lo scorso anno abbiamo avuto con i colleghi francesi le prove provate di reperti archeologici scavati in Puglia ed esportati clandestinamente e venduti a fini di riciclaggio immobiliari in Francia. A livello internazionale si sente dire che il Medio Oriente è un punto di depredamento, però abbiamo avuto indicazioni che è diventato anche un punto di raccolta. Se è vero che il traffico dei beni abbia un valore economico rilevante è dunque vero che il traffico si sposta dove sono i soldi.
Il Sole 24 ore scriveva che gli investimenti che non si sono svalutati nel tempo sono gli immobili e le opere d’arte. Questo significa che anche i criminali si rivolgono ancora di più a questo settore?
Recentemente ho letto un articolo di Vittorio Sgarbi che parlava del faccendiere Mokbel ma anche di Escobar e le conclusioni erano che i soldi vengono impegnati in beni culturali sia per una soddisfazione personale di tipo estetico-edonistico sia anche come investimento economico. L’opera d’arte non è più appannaggio del ricco e del nobile, ma con il giro vorticoso di soldi delle dinamiche del mercato dell’arte, costituisce un bene rifugio.
Eppure certe opere possono essere difficilmente vendibili perché non possono avere un mercato.
Mai dire mai, però effettivamente ci sono delle opere che sono delle icone. Ma noi non sappiamo ciò che si muove in questo traffico sotterraneo. Il traffico delle opere può essere paragonato a un fiume carsico, un’opera sparisce, poi riappare. Non si può quindi ipotizzare che l’opera d’arte che assume un valore iconografico non possa anche essere pedina di scambio. Lo dico in termini di ipotesi: vale il discorso che forse una certa opera rimarrà in un cavò ma vale anche il discorso di un possibile scambio tra iper collezionisti, o dell’opera come do ut des o salvataggio estremo. Sono impressioni certo…
Le è mai capitato di fare indagini che non avevano titolo di ufficialità?
No. Assolutamente. Un conto è la salvaguardia della privacy, sia di soggetti attivi che passivi del reato, ma che le nostre attività non si traducano in atti che vanno all’attività giudiziaria è impensabile. Se poi la sua domanda intende chiedere se ci sono persone o istituti che si rivolgono a livello consuntivo a noi, questo è ovvio.
Rispetto alla vostra attività ci sono risorse che vorrebbe avere o canali da perseguire?
Oggi come oggi il comando è articolato su un ufficio comando, un reparto operativo, 12 nuclei più una sezione, con un’articolazione di natura territoriale che ricalca la caratteristica dell’Arma. Quindi io credo che il compito di un amministratore, soprattutto pubblico, sia quello di cercare di organizzare al meglio le risorse di cui dispone. Tutto ciò che viene in più, lo si accetta positivamente. Devo dire che il Comando generale mantiene la struttura assolutamente in organico. Ho gli uomini che devo avere e il Mibac ci dà il sostegno economico che ci deve dare. In tempi di difficoltà economiche ci siamo organizzati meglio, per esempio informatizzando e quindi spendendo meno, per dirne un’altra, razionalizzando le linee telefoniche o quelle delle auto. Ad oggi abbiamo tutto ciò che ci serve.
Rispetto alla questione delle intercettazioni, rispetto anzi all’ipotesi di una nuova legge che regoli il tutto in maniera diversa, lei è preoccupato, visto che credo che sia uno strumento che usate…
Essendo polizia giudiziaria lo usiamo, certo. Usiamo tutti gli strumenti che la legge consente quindi anche le intercettazioni. Sui cambiamenti previsti ogni valutazione non può essere fatta se non sulla base del quadro normativo vigente. La professionalità credo che stia nella possibilità di utilizzare al meglio le disponibilità della norma. Ciò che sarà o è stato non consente di lavorare, si lavora sul ciò che è. Tanto per dirne una: ci sono delle possibilità nuove che derivano da leggi magari non ad hoc. Per esempio la legge 2006 sul reato transnazionale non riporta scritto in nessuna parte che riguarda i beni culturali, però sta lì la capacità dell’operatore di Polizia giudiziaria di cogliere al balzo quella opportunità attraverso collegamenti giuridici che consentano di dire che certi reati hanno le caratteristiche per applicare quella normativa, quindi avere la possibilità di fare operazioni sotto copertura, inseguimenti transfrontalieri e altro. Questo è un sistema corretto per fare la polizia giudiziaria: utilizzare al meglio gli strumenti che si hanno.
Rispetto alla collaborazione con altri enti o anche privati cittadini, che cosa si può migliorare?
Secondo alcuni l’italiano bada al proprio particulare, per dirla con Guicciardini, e meno al pubblico. Se esiste questo problema, uno sforzo, tra gli altri che viene fatto, per esempio con le mostre del quarantennale che non sono un festeggiamento, è quello di tentare di sensibilizzazione le coscienze. In tutti i recenti convegni Unesco si raccomanda sempre di incrementare la pubblica consapevolezza. Il patrimonio non sono solo soldi. Sul territorio lavoriamo con le Soprintendenze, questo vuol dire che le istituzioni collaborano.
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La Natività di Caravaggio
00799 [1] è questo il codice della banca dati del sito dei Carabinieri, Nucleo Tutela Patrimonio, che corrisponde alla Natività di Caravaggio ( foto nella pagina accanto). Dipinta con tecnica ad olio su tela nel 1609, misura 298 x 197 cm è stata trafugata nel 1969 dalla chiesa di San Lorenzo a Palermo. Ogni tanto salta fuori un pentito che dice che dice che è stata distrutta o sotterrata, finita in una porcilaia o sopra il camino della casa di un boss. Scomparsa, portata via nello stesso anno in cui nasceva in Italia l’idea di dover ufficialmente tutelare il nostro patrimonio. Sarebbe un bel colpo poterla ritrovare, ma anche se non si trovasse mai, il lavoro fatto in questi anni è di per sé di valore inestimabile. Qualcuno ha scritto che Caravaggio ha saputo dar luce al buio. A pensarci bene è esattamente quello che fanno i Carabinieri del Nucleo di tutela del patrimonio artistico. Certo è che Caravaggio resta un’icona mondiale. Lo testimonia lo straordinario successo della mostra in corso a Roma, alle Scuderie del Quirinale (via XXIV Maggio 16) aperta fino al 13 giugno. 23 capolavori, assolutamente certi, su cui nessun storico dell’arte eccepisce, sono esposti in mostra. Si va dalla Canestra di frutta (fiscella) dalla Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano, al Bacco dalla Galleria degli Uffizi di Firenze, Davide con la testa di Golia dalla Galleria Borghese di Roma, I musici dal Metropolitan Museum di New York, il Suonatore di liuto del Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo, l'Amor vincit omnia dallo Staatliche Museum di Berlino, fino alla Conversione di Saulo, Odescalchi. Assolutamente consigliata la prenotazione al numero 0639967500 o l’acquisto dei biglietti via internet.
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