Pierluigi Battista espone la tesi
sostenuta nella sua ultima
opera, una dura critica
a come viene presentato
il connubio tra politica
e cultura. E sentenzia: “Quindici
anni perduti.Quindici anni
di vuoto assoluto e conformista”
Pierluigi Battista, il suo ultimo libro “I conformisti” è senza dubbio di grande interesse, affronta con uno stile sciolto e insieme profondo aspetti fondamentali del passato e del presente, è insomma degno di attenta e meditata lettura. Anche per chi, come me, non concorda con tutte le sue tesi. Il titolo è seguito da un’affermazione che ad alcuni può apparire drammatica: “L’estinzione degli intellettuali d’Italia”. Dobbiamo ritenere che sia venuta a mancare la categoria, o che la sua funzione è mutata?
Continua a vincere l’intellettuale “conformista” a scapito dell’intellettuale “irregolare”. L’intellettuale che risponde più alla domanda “con chi stai” che all’altra: “che cosa vuoi dire”. Si ha paura di pensare quando cresce come un bubbone il timore di “fare il gioco” del nemico. Non si dice quello che si pensa ma solo quello che serve alla Causa.
Pensavamo che con il crollo del muro di Berlino questo vizio potesse scomparire. In Italia non è andata così, purtroppo.
Nella controcopertina del suo libro si legge: “La Sinistra ha smesso di pensare, la Destra non ha mai cominciato. Dove sono finiti gli intellettuali irregolari, gli unici che possano resuscitare la cultura italiana?”. Percorrendo le varie parti del libro si comprende che questi “irregolari” sono pochissimi. Che cosa li caratterizza, e li differenzia dagli altri, i “conformisti”?
L’esempio positivo è quello di Albert Camus, assieme a George Orwell uno dei due eroi intellettuali del mio libro.
Camus, uomo di sinistra ma irregolare nell’animo e nello spirito, non voleva tacere l’orrore del Gulag. Sartre, il campione del conformismo, non contestava il merito delle cose dette da Camus, ma l’opportunità politica di dirle.
Ciò che rischiava di indebolire la corsa verso il Bene, cioè la verità del Gulag, doveva essere taciuto. Pochi, insieme a Camus, non accettarono questo ricatto intellettuale.
Eugenio Scalfari, nella sua pagina de l’Epresso ha ampiamente elogiato la sua opera, contenuto e forma, definendolo però “un bel libro completamente di parte”. Forse perché sono bersagliati in prevalenza intellettuali di sinistra? Lei si sente in qualche modo “di parte”? Come gli risponderebbe?
Io sono di parte, ma rifiuto il gioco delle parti di chi pensa che il bipolarismo politico si traduca in bipolarismo culturale o addirittura in bipolarismo antropologico, come invece fa Scalfari: l’Italia dei buoni contro quella dei cattivi. Questa guerra è falsa. Perciò non mi faccio arruolare e vado altrove.
Comunque nel suo libro si ricordano i non pochi casi di intellettuali, in varia misura politicizzati, che hanno taciuto sui crimini dello stalinismo e dei suoi epigoni, e sulla scarsa o inesistente democraticità delle “democrazie popolari”. Erano i tempi della guerra fredda, con i suoi annessi e connessi, ma questa può essere una spiegazione, non una giustificazione. Però, dato che questi intellettuali si trovavano a vivere e operare in occidente, il loro “conformismo”non era in un certo senso un andare controcorrente?
Non capisco: chi non era in Germania ma denunciava i crimini di Hitler era un conformista? Denunciare i milioni di morti ammazzati nel Gulag stalinista era conformismo? Conformismo era quello di chi taceva, sapendo e minimizzando.
Lei addita ad esempi positivi gli “ex”, quelle persone che hanno abbandonato la loro appartenenza ritenendola un ostacolo al cammino della verità, e per questo sono stati colpiti da anatema, emarginati. Non trova che il destino di questi “ex” in molti casi non sia stato così duro? Anzi che da questa apostasia alcuni abbiano tratto persino giovamento? E infine, sono diventati tutti “irregolari”?
Mi limito a dire che persiste l’avversione per gli ex, indipendentemente dal loro destino personale. Tranne in un caso: quando le legioni di intellettuali che furono fascisti durante il regime diventarono antifascisti alla fine del regime. In questo caso non si parla di apostati, ma di “redenti”.
Nel suo libro si invitano più volte i laici a non essere “laicisti”. Che cosa significa esattamente?
Significa che non bisogna fare del laicismo una contro religione. Che laicità non è muovere guerra alle religioni. Che negare la parola a Ratzinger all’Università non è un atto laico, ma una sopraffazione bella e buona.
I maîtres-à-penser non hanno quasi mai dato buoni frutti, eppure non mancano di pontificare, a dritta e a manca, sulla carta stampata e in televisione. E’ comunque una specie che merita di essere protetta? E come dobbiamo classificarli?
Stanno scomparendo. E quando scompariranno completamente, non se ne sentirà la mancanza.
Pierluigi Battista, concludendo, il suo libro è affascinante, ma certo non invita all’ottimismo: Le cito la fine della sua prefazione: “Anche per questo la cultura di sinistra ha smesso di pensare, e quella di destra non riesce nemmeno a cominciare. La discussione politica diventa infinito commento della ‘pochade’ che tiene banco nel nuovo gioco della politica. Prevale la monotonia (e la monomania). Quindici anni perduti. Quindici anni di vuoto assoluto e conformista. Iniziare da capo sarà molto dura”. Perché sul piano culturale l’Italia ha perso (solo?) quindici anni? Quali fattori sono intervenuti, e che cosa è accaduto? E che cosa si dovrebbe fare per risalire la china?
Non saprei come uscire da questa situazione. Ma per quindici anni la cultura politica ha parlato solo di Berlusconi: per demonizzarlo o per santificarlo.
Quando non ci sarà più Berlusconi di cosa parleranno i libri di storia e di politica?
Pierluigi Battista
I CONFORMISTI - L’ESTINZIONE
DEGLI INTELLETTUALI D’ITALIA
Rizzoli Ed. - pagg. 222 - E 18
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