La Sindrome di Alienazione, ampiamente descritta
e analizzata da alcuni autori americani fin dai primi
anni Ottanta, solo recentemente è entrata nel novero
della psicologia italiana. Sembra manifestarsi proprio nell’ambito dei conflitti che derivano dalle separazioni
e consiste nel rifiuto da parte del bambino
alimentato dall'influenza del genitore definito
“alienante”, dell'altro genitore
La Sindrome di Alienazione Genitoriale (detta Pas - Parental Alienation Syndrome) è definita come “un disturbo che insorge essenzialmente nel contesto di controversie per l’affidamento dei figli. La sua principale manifestazione è la campagna di denigrazione da parte del bambino nei confronti di un genitore, una campagna che non ha giustificazione. Essa deriva dall'associazione tra l’indottrinamento alienante da parte di uno dei genitori (detto programma di alienazione) e il contributo personale del minore alla denigrazione dell'altro genitore”. Si parla quindi di "bambini programmati” o che hanno subito un vero e proprio lavaggio del cervello (brainwashed children).
Nell’interazione tra genitore e figlio si innesca una collusione patologica dopo la separazione coniugale: accade che il genitore cada in depressione e si curi meno dei figli o che sia meno disponibile emotivamente, oppure che faccia dei figli i propri confidenti, occupandosi molto meno dei loro problemi personali di bambini; può accadere che il genitore disciplini meno i figli in quanto prova forti sensi colpa e vorrebbe discolparsi rendendosi più attraente; alcuni genitori discutono della separazione con amici e parenti alla presenza dei figli senza curarsi del fatto che essi possano essere in ascolto. Altre risposte genitoriali tuttavia sono però più pericolose in quanto hanno lo scopo di separare il figlio dall'altro e di cementarlo a sé, come lo svilupparsi di un forte biasimo morale nei confronti del coniuge assente e il dare libero sfogo alla propria indignazione, il mettere in atto comportamenti più o meno diretti di vendetta, il dimostrarsi spaventati quasi paranoici, quando i figli stanno con l’altro genitore. Sono tutti elementi che dimostrano quanto ritengano l’altro genitore pericoloso per i figli. A queste azioni si aggiungono le imposizioni dopo le visite al genitore non affidatario: ispezioni. interrogatori, inquisizioni, ecc., unite all'annuncio esplicito e ricattatorio del proprio timore di perdere il figlio. Ciò accade anche in relazione alle risposte dei figli alla separazione, risposte alle quali il genitore reagisce con il bisogno di colpevolizzarsi o di colpevolizzare un altro soggetto, di solito l'altro genitore.
La reazione più comune è quella di manifestare la propria rabbia: i figli più grandi biasimano moralmente i genitori per quanto sta accadendo, diventano intrattabili e chiusi, cadono in depressione e finiscono con il non comunicare più o con il farlo male; gli adolescenti normalmente finiscono con l’estraniarsi dalla relazione coniugale dei genitori. I figli che sono emotivamente più fragili e non riescono ad elaborare un proprio senso di "giustizia” nei confronti di entrambi i genitori possono essere facilmente spinti all'alienazione del genitore con il quale non hanno istaurato un rapporto di "alleanza”.
Alcuni autori hanno osservato nella reazione dei figli quattro punti con cui si articola il passaggio dall'attaccamento al genitore fino alla sindrome da alienazione parentale (Pas): a - figli senza preferenze – inizialmente l'attaccamento ad entrambi i genitori corrisponde ad un atteggiamento affettivo equiparato e al normale desiderio di passare con entrambi tutto il tempo possibile; b - figli con un'affinità elettiva per uno dei genitori – successivamente compare una netta preferenza che determina una particolare affinità, costante nel tempo o alternata con una delle due figure di riferimento; c - figli allineati con uno dei due genitori - i figli scelgono attraverso l’identificazione il loro genitore preferito o attribuiscono caratteristiche discriminanti ("buono" e "cattivo"); la scelta si indirizza quindi verso il genitore che si sente in quel momento di dover proteggere, ma può essere dettata anche da una reazione di rabbia a quello che il bambino percepisce come un "abbandono" e che spesso viene alimentato dal genitore con il quale si è alleato;
d - figli alienati da un genitore – alla fine del percorso di alienazione il rifiuto dell’altro genitore è pressoché totale: la posizione rigida che questi figli assumono può essere identificata con un odio ossessivo; essi sono stati o si sono alienati e lo rifiutano completamente; quasi sempre hanno subito un "lavaggio del cervello".
Nell’evolversi dello sviluppo e della realizzazione della sindrome da alienazione parentale si possono rintracciare almeno 5 fasi principali: 1) guadagnare accondiscendenza; 2) testare come funziona la “programmazione”; 3) misurazione della lealtà; 4) generalizzazione ed espansione del programma sulle persone che si sono alleate all'altro genitore e sugli oggetti e gli animali che gli appartengono; 5) mantenere il “programma”. Sono identificabili con precisione anche le tecniche che vengono utilizzate nella “programmazione del bambino” contro l’altro genitore, e sono: la negazione dell'esistenza dell'altro; ripetuti attacchi all'altro in forma indiretta, subito negati; il mettere sempre il figlio in posizione di giudice dei comportamenti scorretti dell'altro; la manipolazione delle circostanze a proprio favore e a svantaggio dell'altro; la disapprovazione dell'altro con lo spostamento verso la sua “malattia”; il costante tentativo di allearlo con il proprio pensiero e giudizio; il drammatizzare gli eventi; il minacciare un calo d'affetto nel caso il figlio si riavvicinasse all’altro; il ricordare costantemente di essere il genitore migliore; il far cadere dall'alto le proprie azioni positive ed il proprio amore; il sottolineare di essere l'unico capace di prendersi cura dei figli (l’altro è inaffidabile); il riscrivere la realtà o il passato per creare dei dubbi nei figli sul rapporto con l'altro. Tra le motivazioni, più o meno consapevoli, che i genitori possono esprimere in questa loro azione possono prevalere: il desiderio di vendetta nel confronti dell'ex partner, ottenere migliori concessioni economiche, presenza di nuovi partner o ingerenze di questi, considerarsi il genitore "migliore", mancata accettazione della separazione e mantenimento del legame attraverso un rapporto di conflittualità, e molto altro ancora a seconda della fantasia patologica del genitore alienante.
Lo studio della personalità dei genitori alienanti sembra far emergere alcune caratteristiche di vulnerabilità psicologica, bassa autostima e dipendenza dal figlio o da un altro componente della sfera familiare. La gravità della sindrome da alienazione parentale risiede nel fatto che se pure il conflitto trova una soluzione per via legale, dettata più da una razionalità giuridica distante dalle concrete esigenze psicologiche e pratiche che lo scioglimento della famiglia comporta, troppo spesso si lascia che il vero conflitto psicologico che grava sui figli, quello che ha inizio all'uscita del Tribunale, svolga le proprie conseguenze senza l'ausilio di particolari forme di comprensione e controllo.
Se da una parte si è fatto fronte alle problematiche economiche che affliggono molte madri per il mancato o saltuario versamento dell’assegno di mantenimento, dall'altra non si ha piena consapevolezza di quali dinamiche di conflittualità possano scatenarsi nel contesto della rottura dei legami. Queste conflittualità possono portare, in alcuni casi, la madre ad avviare una vera e propria “crociata” contro l’ex coniuge, utilizzando qualsiasi mezzo. Si realizza una vera e propria “anomalia globale” del comportamento, intendendo che tale anomalia comprende diverse caratteristiche: la manipolazione dei figli utilizzati come arma contro il padre (come accade per la Sindrome da Alienazione Genitoriale); la vessazione attraverso accuse gravi, e infondate, per lo più di presunte violenze, spesso di carattere sessuale; la consapevole volontà di violare le leggi pur di raggiungere lo scopo. Questo non vuol dire che non possa esistere una sindrome anche per il "padre malevolo", ma questo fenomeno si innesca nella consuetudine giuridica dell’affidamento della prole alla madre e nel "potere di gestione", a volte arbitrario, che ne può derivare.
I principali modelli che aiutano a rintracciare il fenomeno della madre malevola e della sindrome da alienazione parentale, con esempi tratti da casi clinici e giudiziari, sono:
I - la madre, senza alcuna giustificazione razionale, è determinata a punire il marito da cui sta divorziando o ha divorziato: tentando di alienare i figli dal padre; coinvolgendo altri in azioni malevole contro il padre; intraprendendo un contenzioso eccessivo.
L'alienazione dei minori si esprime nella varietà di azioni intraprese dalle madri al fine di allontanare fisicamente e psicologicamente il figlio dal padre, coinvolgendo quindi la prole in prima persona nella “guerra” che hanno ingaggiato. Si va dalla calunnia diretta a quella più subdola, arrivando alla richiesta esplicita di adottare un atteggiamento “di parte”. Si tratta, in ogni caso, di un comportamento teso a sminuire la figura paterna; l’obbiettivo, infatti, è la punizione dell’altro genitore attraverso la “privazione”. La "punizione del marito" può essere ottenuta anche attraverso il coinvolgimento e la manipolazione di terze persone in azioni dolose (persone appartenenti al nucleo familiare, conoscenti, ma anche gli stessi professionisti, medici, psicologi, avvocati, ecc … che si trovino ad avere rapporti con la madre). In questo caso è importante rilevare che la persona manipolata dalla madre è stata in qualche modo coinvolta nella rabbia della madre e “alienata” dal marito di questa in procinto di divorziare. La persona “raggirata” assume un tipico atteggiamento di virtuosa indignazione che contribuisce a creare un’atmosfera gratificante per la madre che si appresta ad intraprendere azioni dolose. Infine, pur essendo un diritto presentare istanze o avviare azioni legali nel caso se ne rintracci la necessità, l'eccesso di azioni legali intraprese viene spesso utilizzato per inasprire i rapporti e "colpire" l'ex coniuge. In casi estremi, si arriva a lanciare false e gravi accuse: come quella di abuso sessuale. Ma se non c’è un vero e proprio abuso sessuale, l'abuso diventa la violenza alla quale i minori vengono sottoposti.
II - la madre tenta semplicemente di impedire: le visite regolari dei figli al padre; le libere conversazioni telefoniche tra i figli e il padre; la partecipazione del padre alla vita scolastica e alle attività extracurricolari dei figli.
Questo secondo corpus di modelli comportamentali probabilmente è quello più utilizzato poiché dà risultati immediati ed è più sotterraneo. D’altronde, in sede legale, è difficile dimostrare che fatti di questo tipo siano realmente avvenuti. Per esempio, in caso di mancato rispetto delle modalità di visita, il genitore non affidatario può avvalersi dell'attuazione coattiva dei provvedimenti emessi dal giudice, ma di certo questa è una soluzione quasi mai praticata, considerando il trauma che riceverebbe il bambino. I meccanismi descritti si innescano facilmente, soprattutto quando sono coinvolti figli minori, nella fase della separazione e del divorzio, che raramente sono avulsi da almeno un periodo di conflittualità e rivendicazioni. L'ostacolo al rapporto padre-figli, attraverso la proibizione arbitraria da parte della madre di visite regolari, è sicuramente una delle conseguenze inflitte ai bambini, per i quali la continuità nel rapporto affettivo con il genitore non affidatario rappresenta un elemento fondamentale per il proprio sviluppo psico-fisico e per ritrovare un nuovo equilibrio nella situazione di distacco. Infatti questa alienazione è considerata una forma di violenza sul bambino. Nello stesso contesto si colloca la privazione di libere comunicazioni telefoniche padri-figli, che pure rappresentano un mezzo per mantenere legami di "vicinanza": alcuni padri trovano questi tentativi di alienazione così dolorosi che alla fine smettono di telefonare ai figli, semplicemente “mollano”. In uno scenario di sconfitta, l'abbandono del padre raggiunge proprio il risultato che la madre si proponeva. Un altro livello su cui si svolge il conflitto è quello delle attività extracurriculari: attività sportive o extrascolastiche, riunioni dei genitori, compleanni, ma anche eventi che riguardino la quotidianità di un bimbo, insomma, tutto ciò che si svolgeva prima del divorzio e in cui la presenza del padre rappresentava la normalità. La madre affetta dalla sindrome della “madre malevola” agisce, in pratica, mettendo in atto una sorta di boicottaggio quasi impossibile da contrastare, soprattutto se si considera che il rapporto del genitore affidatario è praticamente quotidiano ed esclusivo. D’altra parte, non c’è a livello giuridico una risposta di tipo sanzionatorio, a meno che questi avvenimenti non si protraggono nel tempo in maniera recidiva ed eclatante.
III - lo schema è pervasivo e comprende azioni malevole come: mentire ai figli; mentire ad altri; violare la legge.
Se si pensa che i minori coinvolti in separazioni e divorzi in Italia sono stati, solo nel corso del 2000, 68.563 (secondo dati Istat) e che ci si riferisce a soggetti in età evolutiva, ancora emotivamente e psicologicamente vulnerabili, si può immaginare quali possano essere le conseguenze, nel tempo, di un comportamento volto a distorcere completamente la realtà, mentendo e influenzando negativamente i propri figli. Alcuni esempi possono essere più che esplicativi: una madre in fase di divorzio ha detto alla sua giovanissima figlia che il marito non era il suo padre vero, anche se lo era; una madre ha raccontato ai figli che il padre in passato l’aveva ripetutamente battuta, cosa assolutamente falsa. Da un confronto con le manovre più sottili tipiche della Pas si può affermare che la madre che causa la Pas può insinuare che vi è stata violenza, mentre la madre affetta dalla sindrome della “madre malevola” afferma falsamente che vi è stata effettivamente violenza. I figli vengono coinvolti anche quando le “menzogne malevole” sono indirizzate ad altre persone. I recenti casi di cronaca che sempre più spesso vedono prosciolti padri ingiustamente accusati di abusi sui propri figli sono l’esempio più lampante di un problema che si intreccia anche con la difficile questione dell’ascolto giudiziario del minore. Un’accusa così grave può essere facilmente utilizzata, dalla madre affetta dalla sindrome, in sede giudiziaria, ed avere effetti devastanti. Basti pensare che in questi casi l’allontanamento precauzionale del minore dal genitore accusato è immediato. Anche la violazione sistematica delle leggi e delle regole sociali per ottenere una sorta di vittoria o di risarcimento sembra rientrare in un’ottica ai limiti della psicosi. Gli esempi possono richiamare alla mente certi disturbi della personalità (antisociale, borderline, sadica), tuttavia questi comportamenti si possono riscontrare anche in donne affette da sindrome della madre malevola che non sembrano conformarsi ai modelli diagnostici ufficiali. Inoltre nessuna delle madri malevole ha subito una condanna dal giudice per il suo comportamento.
(cannavicci@iol.it)
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