Claudio Giardullo, dieci anni fa nasceva il sindacato Silp per la Cgil, da … come dobbiamo definirla? Una scissione o una separazione? … all’interno del Siulp, il Sindacato Unitario dei Lavoratori di Polizia che riuniva la aree di riferimento alle confederazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil. Quali furono le cause di questa rottura? Penso che se ne possa parlare lucidamente, e anche serenamente, senza una ricerca puntigliosa di torti e ragioni. All’epoca si parlò di iniziative improprie prese dalla Segreteria nazionale del Siulp, cioè dell’adesione a manifestazioni di partiti sui temi della sicurezza e della manovra economica del governo. Anche se questi motivi vi furono, e suscitarono aspre polemiche, non esisteva già da qualche tempo un deterioramento nel rapporto interno tra le varie componenti del Siulp? Diciamo un abbassamento del rapporto unitario che era stato all’origine di quel sindacato, creato subito dopo la riforma del 1981?
Due delle tre aree confederali di riferimento scelsero di andare via dal Siulp e costituire altre organizzazioni sindacali, io penso che da un punto di vista sindacale, e politico generale, possa essere considerata una scissione.
Le ragioni di questa scissione riguardano sicuramente il forte abbassamento dei livelli generali di rapporto unitario nel mondo confederale che vi fu nella seconda metà degli anni Novanta. Non vi è dubbio questo è un fattore che influì, ma questa cosa fu interpretata da altri, dentro il sindacato di Polizia, in maniera ancora più lacerante, e fu allora che le ragioni dello stare insieme divennero minori delle ragioni del dividersi. Le occasioni furono, anche, alcune scelte organizzative del momento, come la partecipazione ad iniziative di partiti politici, o di una sola confederazione, adottate dall’allora Segreteria senza una decisione collegiale, ma penso che le divergenze insanabili affondassero le radici in un processo interno a quel sindacato che veniva da lontano. Secondo noi si erano smarrite le ragioni che avevano portato alla formazione del Sindacato Unitario.
Ma tutto questo ormai è storia, anche abbastanza passata, perché da quella scissione è nato un nuovo corso del sindacalismo confederale nella Polizia, che mi sembra l’aspetto di maggiore interesse da affrontare oggi.
Giusto, lasciamo da parte le polemiche di dieci anni fa, anche perché i tempi da allora sono cambiati. Si riscontra una unità di intenti fra i vari sindacati di Polizia basata su tematiche molto concrete e argomentate. Sul piano operativo l’aspetto più importante è quel Cartello di tutti i sindacati, del quale il Silp è stato tra i primi promotori. E ricordiamo la grande manifestazione del 28 ottobre scorso che ha dato una visibilità inedita alle richieste e alle proposte dei lavoratori di Polizia sulla gestione della sicurezza. Che cosa possiamo attenderci da questa posizione unitaria nel prossimo futuro?
Il cartello che noi siamo riusciti a realizzare in questi ultimi anni, con la partecipazione di sindacati di ispirazione confederale e sindacati autonomi, e con la condivisione esterna su molti temi anche del maggiore dei sindacati autonomi, risponde, intanto, ad una vocazione unitaria che i lavoratori hanno da sempre. Una vocazione che si è rafforzata, tra gli operatori di Polizia, quando ci si è trovati di fronte a una controparte governativa che, contro ogni buon senso, ha fatto scelte pericolose per i cittadini e ingenerose per gli addetti, come i tagli alle risorse per la Sicurezza pubblica.
E’ noto, infatti, che con la manovra finanziaria del ministro Tremonti, adottata con il decreto 112 del 2008, e poi con la legge Finanziaria del 2009, sono stati effettuati i più pesanti tagli alla sicurezza che siano stati mai fatti nell’Italia repubblicana, e questo è incomprensibile, perché nel frattempo è aumentata la domanda di sicurezza da parte dei cittadini. In un Paese normale, di fronte a questa domanda, ci si sarebbe aspettato un investimento nelle Forze di polizia, e non solo, visto che l’idea di sicurezza va al di là dell’attività delle sole Forze di polizia, anche se questa resta comunque la direttrice centrale di ogni attività di prevenzione e repressione. Il governo in carica, invece, ha effettuato un taglio di oltre un miliardo di euro, che riduce inevitabilmente l’attività operativa, e riduce la capacità del sistema di sicurezza di far fronte alle minacce criminali e terroristiche. Un taglio che sul versante del personale avrebbe determinato una riduzione di ben 40mila operatori di tutte le Forze di polizia nei cinque anni, provocando, quindi, una minore capacità di presenza delle Forze di polizia nel territorio, una minore capacità operativa, una minore conoscenza, e quindi controllo del territorio.
Contro questi tagli noi ci siamo battuti, soprattutto quelli al personale, e qualche risultato c’è stato, nel senso che il governo nella Finanziaria del 2010 ha previsto le risorse necessarie per coprire interamente il turn-over dei prossimi tre anni, facendo, quindi, una svolta di 180 gradi rispetto alle posizioni che aveva tenuto fino alla vigilia della nostra manifestazione unitaria dei sindacati di Polizia, che è, quindi, servita a impedire che si avesse uno stravolgimento del sistema di sicurezza a causa della riduzione del personale. Parziale risultato, dunque, non sufficiente, però significativo su un tema così strategico.
E strategica è stata la nostra iniziativa per spiegare che errore sia la scelta di uno strumento come le ronde, uno strumento sbagliato, pericoloso, che invece di aiutare le Forze dell’ordine, rischia di creare un problema in più. Gli ultimi mesi ci hanno detto che le ronde non hanno avuto il successo sperato, merito quasi sicuramente della battaglia di opinione messa in campo su questo versante, e del decreto di attuazione della normativa della legge sulle ronde, decreto che prevede due divieti significativi, cioè quello che impedisce di avere finanziamenti esterni, e quello di avere rapporti con i partiti politici. Due divieti che miravano a garantire l’imparzialità di qualunque soggetto che in qualche modo fosse impegnato sul versante della sicurezza, e che hanno scoraggiato coloro che guardavano a questi due aspetti con particolare interesse. Resta comunque il fatto che le ronde, se dovessero essere finanziate, anche attraverso qualche escamotage, cosa che noi consideriamo ancora possibile da parte del governo, sarebbero da considerare illegittime, oltre che pericolose, e dunque determinerebbero una nuova decisa opposizione.
Ci siamo battuti per avere più risorse nel contratto, perché sono veramente ingenerose le posizioni di un governo che ancora prevede, per il contratto scaduto nel 2009, risorse che sono inferiori a quelle previste dal governo precedente nell’ultimo rinnovo del contratto economico. Per avere finalmente il riordino delle carriere, perché un nuovo modello di sicurezza ha bisogno di un nuovo assetto delle professionalità e delle responsabilità, mentre quello vigente risale ormai a quindici anni fa. Per avere un sistema di previdenza complementare, a tutela di coloro che sono entrati in Amministrazione dopo la riforma Dini, e che senza quel sistema non potranno avere, con la sola previdenza pubblica, dignitose condizioni di vita.
Pressato dalle nostre iniziative il governo ha previsto nella Finanziaria 2010 altri cento milioni sul contratto, ma niente per il riordino delle carriere e niente per la previdenza complementare, dunque la nostra mobilitazione non si interrompe.
A questo punto vogliamo tracciare un ritratto del Silp, descriverne i caratteri basilari, le regole, le linee d’azione? Come si presenta ai lavoratori di Polizia? E quale immagine offra a tutti i cittadini? Anzi, a questo proposito non sarebbe opportuno che i sindacati di Polizia facessero uno sforzo supplementare per far conoscere all’opinione pubblica, non solo occasionalmente, la vera natura delle loro rivendicazioni? E’ piuttosto assurdo che tutti dissertino sulla sicurezza, e non si dia ascolto a coloro che professionalmente devono gestirla ogni giorno.
Io penso che l’idea del sindacato dei diritti e dei valori sia la mission della nostra organizzazione. E’ un’idea che abbiamo lanciato immediatamente dopo la costituzione del Silp. Il nostro sforzo in questi anni è stato quello di cambiare il modo di fare sindacato nella Polizia. In linea con la cultura confederale della Cgil, l’impegno è stato quello di partire dai luoghi di lavoro, dove i diritti degli operatori vengono messi spesso in discussione e dove c’è bisogno di tutela. Insieme alle grandi battaglie che riguardano i contratti, la professionalità, la formazione che resta una risorsa strategica per qualunque Amministrazione pubblica, la tutela dei diritti. La strada è quella rappresentanza qualificata a tutti i livelli e della tutela capillare del territorio. Attraverso l’informazione, che se è costante e qualificata è già una forma di tutela. Ma anche attraverso tutto il sistema dei servizi della Cgil, che consente di avere un più alto livello di esercizio dei propri diritti, in quanto lavoratori e in quanto cittadini.
Ma un sindacato di ispirazione confederale, che vive con impegno il suo ruolo di rappresentate di lavoratori, non può che tenere contemporaneamente lo sguardo puntato all’interesse generale della collettività, sul terreno della sicurezza e sul terreno della legalità. Un tema, questo ultimo, che noi consideriamo la vera emergenza del Paese, perché i livelli di rispetto delle regole si stanno abbassando in maniera veramente allarmante.
Quell’interesse generale che è la ragione delle nostre battaglie di ieri, quella per rimarginare la ferita tra Forze dell’ordine e società civile che si era determinata con il G8 di Genova, e poi la battaglia per impedire l’abolizione delle scorte ai magistrati di Palermo, o per impedire che fossero svolte in divisa, da parte degli operatori di Polizia, abbassando così il livello di tutela sia della persona scortata che degli operatori. E le battaglie di oggi, quelle, appunto, contro la smobilitazione del sistema di Sicurezza pubblica, e per predisporre le risorse necessarie all’azione di prevenzione e contrasto alle mafie. E quella, ancora, per impedire che alle Forze di polizia, ma anche alla magistratura, sia sottratto uno strumento che si è rivelato essenziale nel contrasto al crimine, e cioè le intercettazioni.
Per finire, facciamo un breve salto nel passato, diamo uno spazio alla memoria, al ricordo dei tempi di quel Movimento che fu – anche per chi come me lo ricorda da giornalista – davvero straordinario. Eroico, in un certo senso, perché nella Polizia di allora ogni protesta, proposta o semplice opinione era punita con la denuncia, l’espulsione, o nei casi migliori con quei trasferimenti a catena che avrebbero dovuto spezzare le gambe ai “contestatori”. Eppure quei poliziotti, di ogni grado, resistettero, evitando cedimenti e provocazioni, riuscirono a ottenere l’attenzione dei sindacati e delle Forze politiche, e soprattutto elaborarono le linee della Riforma del 1981. Pensi che quello spirito sia ancora presente tra i poliziotti di oggi?
Ovviamente le condizioni sono profondamente cambiate, rispetto a quelle in cui è maturata l’approvazione della legge 121. La consapevolezza, all’epoca, dell’esigenza di un grande processo di rinnovamento, anche dentro la Polizia, era molto diffusa. Noi dobbiamo riconoscenza, a chi ha avuto il coraggio, in quel periodo, di esporsi in prima persona e di raccogliere attorno ad alcune idee innovative un ampio consenso, e dobbiamo soprattutto a loro una delle più importanti riforme dello Stato che si siano fatte nel nostro Paese.
L’attualità della legge 121, è confermata anche oggi. Non c’è dubbio che vi sia l’esigenza di fare il tagliando, come è stato detto, cioè di avere qualche aggiornamento, perché la società è cambiata, perché le Forze di polizia sono cambiate, perché le minacce criminali e terroristiche sono cambiate, in questi quasi trenta anni di applicazione della legge 121. Ma è rimasta la bontà del modello del coordinamento, della presenza capillare delle Forze di polizia nel territorio, del riconoscimento del valore dell’Autorità civile di Pubblica sicurezza nella gestione delle strategie anticrimine, di prevenzione e repressione, sia sul piano politico amministrativo, sia sul piano tecnico operativo.
Dal punto di vista degli operatori, resta forte l’esigenza di un sindacato che sappia svolgere un ruolo di rappresentanza a tutto tondo, sul piano contrattuale, delle tutele, delle politiche di sicurezza e dell’arricchimento professionale. Il nostro sindacato si fa interprete di un’aspirazione a poter svolgere una professione sociale, perché questa è la professione del poliziotto, ma sempre più qualificata, e in grado di rispondere alle esigenze di garanzia dei diritti dei cittadini, e favorire un rapporto sempre più stretto tra Forze di polizia e società civile, impedendo ogni forma di separatezza. Una professione che non si riduca, come troppo spesso avviene, a interventi soltanto in un settore, penso ad esempio all’immigrazione, ma possa in qualche modo dare ampio respiro alle esigenze e alle aspettative professionali degli operatori.
Per questo obiettivo noi oggi ci battiamo e ci batteremo nei prossimi anni, tenendo fede al modello del sindacato dei diritti e dei valori, con l’obiettivo di rendere questa professione sempre più qualificante, e fare dell’istituzione-Polizia uno strumento non al servizio di un qualunque governo, ma sempre più al servizio del cittadino e della legalità, in linea, dunque, con i principi costituzionali.
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