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Novembre/2010 - Contributi
In un Paese che ha perso la bussola una donna muore e l’assassino ride
di Pierstefano Durantini

Mi sta a cuore una donna, una mamma, una lavoratrice colpita dal pugno di un uomo, naturalmente più grosso e più forte di lei, che non sa trattenere la sua becera aggressività.
Mi sta a cuore il corpo di quella stessa donna, agonizzante in terra tra l’indifferenza della gente, che guarda distrattamente e passa oltre.
Mi sta a cuore una giovane vita che si spegne e se ne va per l’ennesimo, ingiusto e riprorevole gesto di brutale violenza maschile contro una donna.
Quando arriva la morte dovrebbe regnare il silenzio e il rispetto del dolore. La responsabilità di un comportamento scellerato deve lasciare il posto alla coscienza, al rimorso e invece ascolto giustificazioni, urla, schiamazzi, vedo scritte che inneggiano alla libertà del violento.
Lo sconcerto pervade l’animo di chi riflette su una vita spezzata, così, in un attimo, per un nulla.
Mi sta a cuore una città, o meglio un Paese intero, che non sa più riconoscere il valore della vita e il rispetto della morte.
E allora rimango perplesso quando ascolto il sindaco di quella stessa città, la capitale di questa Italia che non riconosco più, che dice che il Comune si costituirà parte civile nel processo nei confronti del bruto. Eh sì, perché è lo stesso sindaco il cui partito ha tappezzato Roma di manifesti in cui dichiara orgogliosamente di aver sgomberato i campi nomadi, il sindaco che è volato a Parigi esprimendo solidarietà al presidente francese Sarkozy, fautore di una campagna di espulsioni di massa di Rom, che ricorda tristemente una deportazione.
Allora qualcosa non torna, non si può gettare quotidianamente benzina sul fuoco e poi rammaricarsi e stupirsi se scoppia un incendio.
Se si invoca sempre la politica della sicurezza, se si fa campagna elettorale sulla paura della gente nei confronti degli immigrati, se si usa la parola clandestino come sinonimo di delinquente, allora qualcuno, un po’ meno equilibrato, potrebbe sentirsi autorizzato a farsi giustizia a modo suo, magari tirando un pugno le cui conseguenze tragiche e imprevedibili, non possono minimamente essere scalfite da un pentimento ormai tardivo, opportunistico e purtroppo inutile.
La banalità del male lascia sempre disorientati, ma quando vedo un ventenne accusato di omicidio preterintenzionale tradotto in carcere dalle Forze dell’ordine che, sotto il cappuccio della felpa, ride, mi sta a cuore, nel senso che mi fa male.

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