A più di duemila anni dalla nascita di Cristo, un presidente nero fa ancora clamore. La fotografia netta di un pianeta in cui il colore della pelle fa tutt'oggi differenza. In cui il bivio tra progresso e conservazione è carico di chiaroscuri.
Niente paura, bando alla geopolitica; siamo qui per parlare di sindacato. Vi domanderete come, prendendola così alla larga... E invece la risposta è a stretto giro e sta nelle parole del segretario generale del Silp per la Cgil, Claudio Giardullo, che in occasione del secondo congresso dell’organizzazione sindacale ha esortato gli operatori di Polizia a “pensare globalmente e agire localmente”. Un invito rivolto anche alle Istituzioni che però, a più riprese, hanno stentato a cogliere lo spunto.
La vicenda statunitense dell’elezione di un afroamericano alla Casa Bianca, ha aperto scenari inimmaginabili fino a qualche anno fa e costretto anche i più scettici a fare i conti con temi come convivenza e integrazione. Tutte questioni su cui il Silp per la Cgil si era interrogato già nel primo congresso del 2001 ma che tornano, incalzanti, nell’appuntamento del novembre 2005, col secondo congresso. Quattro anni in cui molto è cambiato: non da ultimo l’acuirsi di episodi di terrorismo che hanno sconvolto e modificato gli equilibri del mondo. Così, se nel 2001 ci si cominciava a interrogare sulla gestione dei flussi migratori, sulla ragionevolezza del contrasto della criminalità ma al tempo stesso sulla tutela del diritto degli individui, nel 2005 l’immigrazione è a pieno titolo una questione fondamentale del nostro Paese e va parimenti analizzata.
Non è un caso che quindi il secondo congresso prenda le mosse proprio da questo tema, anche, e non da ultimo, per scardinare il binomio immigrazione- criminalità, criminalità-paura. Inquietudine, insicurezza, paura sono tra le parole più usate da quotidiani e tv, mentre il disegno che viene fuori delle nostre città è una blindatura a doppia mandata. Come conseguenza, una richiesta spasmodica e spesso irrazionale di sicurezza che le Forze dell’ordine sono costrette a fronteggiare. Una percezione di insicurezza, spesso non supportata dai dati che non segnalano criminalità in crescita.
Ma allora cosa è avvenuto? Chi ha seminato la paura nelle case degli italiani?
Un’informazione frammentaria, talvolta sensazionalistica e un richiamo costante al controllo, alla circospezione. A farne le spese, l’urgenza di libertà che pian piano è andata assottigliandosi cedendo il passo al sospetto e alla diffidenza. Eppure, come ricorda Giardullo, “il modello della sicurezza fondato sulla paura e sulla chiusura culturale e sociale si è dimostrato fallimentare perché la società sicura non è la società chiusa in sé ma quella che garantisce ai cittadini un elevato rispetto dei diritti, quella che considera la legalità una risorsa strategica per la crescita e un valore fondante per l’identità”.
Caratteri ben distanti da furbizia e illegalità che a volte serpeggiano negli angoli più impensabili del nostro Paese. Sta di fatto che esempi non distanti da qui dimostrano che non può esserci socialità senza legalità e che l’estensione di diritti e doveri non può che giovare all’integrazione. Lo sanno bene i cittadini francesi immigrati di terza generazione che nonostante il loro status di francesi si sentono di serie B e che a forza di subire emarginazione e disparità è già nel 2005 che iniziano la loro rivolta, culminata nelle banlieues messe a ferro e fuoco.
All’epoca dei fatti, il nostro Paese non stava in quelle condizioni e, fortunatamente, non lo è neppure ora ma i primi sintomi del malessere ci sono e episodi come quello recente di Rosarno testimoniano a pieno il rischio che l’immigrazione da risorsa si trasformi in questione difficile da gestire. Ecco perché le Forze dell’ordine, in tempi ancor precedenti all’intervento delle Amministrazioni, hanno iniziato a ragionare sulla necessità di gestire l’arrivo dei nuovi cittadini in maniera da spianare la via alla coabitazione e quindi all’integrazione.
Ma torniamo a quel sentimento di insicurezza di cui già nel 2005 si parlava e che oggi è sempre più di casa. Quali sono gli altri elementi scatenanti? Negli atti congressuali di quell’anno, il Silp parla di un’idea scorretta veicolata attraverso i cittadini, ossia quella del primato della sicurezza sulla legalità. Ma “un Paese ingiusto - emerge dal loro ragionamento - è un Paese insicuro”, ragion per cui la società civile deve intervenire tempestivamente per addrizzare la barra. Il Silp si confronta quindi anche su temi inerenti la giustizia, invocando processi rapidi e la presenza chiara dello Stato che scongiuri la diffusione di un certo senso di impunità e sfiducia che striscia tra i cittadini. Per fare tutto ciò, l’operato dei governi che si sono succeduti ha significato molto, nel bene e nel male, ma a quello allora in carica, firmato Silvio Berlusconi, il Silp non risparmia commenti assai poco concilianti. Si legge in una nota: “La politica della sicurezza non ha raggiunto i risultati che i cittadini si attendevano e ha determinato un pericoloso ritardo nella capacità del nostro sistema di sicurezza di adeguarsi ai nuovi livelli di minaccia terroristica e criminale”.
Ad aggravare la percezione di disagio una crescita economica a due velocità che vede un Nord avanzare mentre il Sud inesorabilmente arranca. Ed è proprio lì, suggerisce il Silp, che lo Stato dovrebbe intervenire con più vigore, nelle sacche di marginalità dove è più semplice l’infiltrazione del malaffare. E l’attenzione, già in quegli anni, si concentra sulla ’ndrangheta che, come ricordava allora Claudio Giardullo, “è unanimemente considerata l’organizzazione meno visibile ma più strutturata e più diffusa, quella che conferma una crescente pericolosità criminale perché in grado di gestire con spiccata modernità il cambiamento, e di inquinare costantemente l’apparato dello Stato e degli Enti locali”.
Contro questa deriva cosa possono gli inquirenti e le Forze di polizia? Lo sguardo del Silp è negativo: “Se si vuole avere la meglio sullo strapotere mafioso, occorre un salto di qualità nelle pratiche di contrasto mentre invece la Dia è stata indebolita” con fondi sempre più ridotti al lumicino. Allora la proposta del Sindacato Italiano Lavoratori di Polizia è quella di tornare a investire su questo importante strumento, mettendo sempre più in rete il bacino di informazioni, a livello nazionale e internazionale, per combattere la criminalità organizzata. Tutte proposte ragionevoli quelle di questa organizzazione che nasce in seno alla Cgil ma che si scontrano con un’esiguità di stanziamenti coi quali la Pubblica amministrazione continua a fare i conti tutt’oggi.
Così, al secondo congresso Silp si parla anche di criminalità diffusa e dell’utilità della Polizia di prossimità, ipotizzando la creazione di reti di intelligence transnazionali che abbiano lo scopo di una fruttuosa cooperazione. Ma non è tutto. Per progettare il futuro è fondamentale la consapevolezza del passato e anche in questo secondo appuntamento nazionale per il Silp è il momento di tornare a ribadire la priorità di temi come identità e diritti. Un’identità improntata all’etica della responsabilità abbinata alla tutela dei diritti del lavoratore della Polizia affinché sia nelle condizioni di poter svolgere adeguatamente il proprio lavoro. Perché è chiaro a questo sindacato che il compito da svolgere è complesso e che la strada affrontata, anche negli ultimi anni, non è delle più agevoli. E in quell’occasione si fa riferimento “alla ferita che si era aperta nella società col G8 di Genova” e l’impegno per tentare di rinsaldare il rapporto di fiducia tra società civile e Forze dell’ordine, tanto più che il confronto è un antidoto auspicabile contro quella che definiscono “qualsiasi separatezza dei Corpi dello Stato”.
Anche allora erano chiari gli obiettivi di questa sigla: la proiezione verso politiche di legalità, il riferimento alla cultura confederale e il lavoro in favore dei diritti degli occupati del Comparto. In sostanza, battaglie per la giustizia, battaglie di legalità, battaglie per un altro modello di società, sforzi - come suggerì Giardullo, segretario generale - “fondati sulla consapevolezza che la democrazia non è mai conquistata per sempre. Che è un bene deperibile e dunque, per vivere, ha bisogno di una manutenzione costante”.
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