La crisi personale e professionale del famoso
commissario di Vigata in seguito ai fatti
di Genova è stato lo spunto per una più ampia
riflessione su alcuni temi e questioni
dell’attualità politica: lo scollamento tra società
civile e Forze dell’ordine, l’informazione
e la propaganda mediatica, il clima di estrema
tensione, l’emergenza democratica
C’è un momento nell’esistenza di tutti noi in cui occorre fermarsi, perché la strada finora percorsa ci ha condotto in un luogo che non riconosciamo più e ci sentiamo persi, senza punti di riferimento. Per Salvo Montalbano, siciliano, poliziotto di professione, quel momento arriva una notte calda e afosa, in cui i bicchieri di acqua minerale non riescono a placare la sete e ci si rigira nel letto, pensando alla vita, ai valori che l’hanno ispirata. Giustizia, libertà, lealtà, senso del dovere sono parole che nel silenzio della notte risuonano con un’eco assordante, che non dà tregua e non fà dormire. Un’eco che si sovrappone alle immagini del G8 di Genova mandate in onda dai telegiornali nelle sere prima: pestaggi sui ragazzi, manganellate e calci in faccia, sangue e mani alzate.
Di questa nottata infernale e dei fatti che l’hanno generata hanno parlato di fronte ad un’affollata platea Andrea Camilleri, creatore del personaggio Montalbano, Sergio Cofferati e Claudio Giardullo, in un incontro pubblico promosso dal Silp e dalla Fondazione Di Vittorio al Teatro Piccolo Eliseo di Roma. Era il giugno del 2003 e “Il giro di boa” era da poco uscito in libreria, riportando i tragici fatti di Genova avvenuti due anni prima al centro del dibattito. Quello del commissario Montalbano, infatti, è un punto di vista che ha suscitato non poco clamore, additato da alcuni esponenti del governo di allora (in particolar modo dall’ex viceministro dell’Economia Gianfranco Micciché) come un attacco alle Forze dell’ordine. In realtà, come fa notare Enrico Fierro, moderatore dell’incontro, fin dalle prime pagine “Il giro di boa” si rivela uno dei più grandi atti di affetto e di stima nei confronti della Polizia: il vero amico, infatti, non è quello che ti lascia perseverare, ma quello che ti dice che stai sbagliando.
La nottataccia di Montalbano, in realtà, è stata anche quella di moltissimi italiani, che a lungo si sono chiesti come dei fatti del genere siano potuti accadere; il problema, ha fatto notare Claudio Giardullo, è che le riflessioni e gli interrogativi di quei giorni sono stati bruscamente interrotti, non portando a nessuna conclusione di fatto. Il libro di Camilleri, in tal senso, ha gettato una nuova luce su alcune questioni ancora di grande attualità sulle quali è caduto il silenzio.
Ma cosa è accaduto di preciso in quei giorni di luglio? Secondo il Segretario generale del Silp il governo in carica aveva un obiettivo ben preciso, quello di cambiare il modello di ordine pubblico, sostituendo quello esistente, di tipo preventivo, con uno repressivo. Questa linea sembra essere confermata dalle parole di Cossiga che, in un’intervista rilasciata in quei giorni, dichiarò che se il Presidente del Consiglio gli avesse chiesto qualche parere, gli avrebbe consigliato di lasciare che la città venisse distrutta: «Saranno gli italiani stessi a dirti di intervenire con i carri armati», aveva detto. L’obiettivo politico di una tale strategia appare piuttosto ovvio: delegittimare la piazza, in seguito alla manifestazione del ’94 contro la modifica delle pensioni che contribuì a mandare a casa il governo allora in carica. Neutralizzare la forza dei dissidenti, dimostrando che la piazza è un luogo pericoloso, in cui collidono forze esplosive che vanno detonate: per realizzare un simile obiettivo serviva un ordine pubblico molto duro, esemplare, militare. A questo progetto politico vanno sicuramente aggiunti i molti errori strategici: il super G8 blindato, la città lasciata allo sbando, i reparti militari, la pressione che era stata esercitata sugli agenti. Scelte simili non hanno fatto altro che esacerbare lo scontro sociale, creando una profonda frattura tra società civile e Forze di polizia, sanabile solamente con un dialogo vivo e partecipato. Per questo motivo il Silp organizzò un incontro con gli esponenti del Social Forum, nel quale i rappresentanti delle Forze dell’ordine e i manifestanti concordarono su due obiettivi fondamentali: accertare velocemente la verità e rifiutare la violenza, da qualsiasi parte essa provenga.
In uno dei suoi interventi, Cofferati pone l’accento sulla prevedibilità dei fatti che si sono verificati nel luglio del 2001, annunciati con grande fragore nei giorni che hanno preceduto il G8: «Era del tutto evidente che cosa si preparava. I nostri ospiti stranieri erano impressionati da quello che vedevano, le barriere, l’isolamento della zona rossa, la presenza ossessiva delle Forze dell’ordine con larghissimo anticipo rispetto all’avvenimento. Per non parlare della propaganda mediatica». Il rischio dell’incidente e degli scontri di piazza era ormai nell’immaginario collettivo non una possibilità, ma una certezza: Genova aveva un epilogo già scritto in partenza, annunciato a gran voce.
Fatti così gravi, ha poi aggiunto l’ex segretario della Cgil, hanno rischiato seriamente di traumatizzare tutti quei giovani che per la prima volta scendevano in piazza per sostenere le proprie idee e per rivendicare il loro futuro: la violenza di quei giorni, infatti, avrebbe potuto far rinunciare ad un esercizio democratico e a un diritto importante per qualsiasi cittadino, quello di manifestare. O, peggio, avrebbe potuto portare alla convinzione che l’unico modo per rispondere alla violenza sia la violenza. Per fortuna una manifestazione come quella di Firenze ha dimostrato che questi rischi sono stati scampati: in parte perché le Forze dell’ordine, i poliziotti e i carabinieri non hanno chiuso gli occhi di fronte a quello che stava capitando e molti di loro hanno reagito, difendendo il proprio ruolo e rivendicando la verità. Ricucire lo strappo con la società civile è stato un lavoro molto duro, condotto sul filo di lana: Cofferati ha ricordato il grande equilibrio e l’efficacia delle iniziative del Silp, seriamente intenzionato a dialogare con i manifestanti e con le loro forme associative. Il territorio comune non può che essere la messa al bando della violenza, non solo quella praticata ma anche quella teorizzata: «Io credo che il movimento», ha aggiunto Cofferati, «sia maturato ed abbia dato prova di grande capacità di tenuta in virtù delle scelte che ha fatto. E credo che sia stato molto importante ricucire il tessuto di relazioni e di rispetto reciproco anche alla luce delle diverse opinioni che pure sono rimaste».
Durante l’incontro al Piccolo Eliseo ci si è interrogati sul ruolo della produzione culturale in una tale situazione di equilibri fragili e di tensioni sociali. Secondo Sergio Cofferati, quando uno scrittore come Camilleri per i suoi romanzi attinge alla realtà e ai problemi del suo tempo opera una scelta civile molto importante: la fantasia, infatti, stimola le idee e, operando nell’ambito dell’immaginazione, è possibile plasmare la realtà. Come afferma Camilleri, la sua non è una letteratura “digestiva”, che aiuta a buttare giù i bocconi amari del mondo che ci circonda, descrivendolo in maniera edulcorata: al contrario, è una produzione letteraria che si alimenta del reale, rappresentandone anche gli aspetti più scomodi.
Questo modo di guardare e di raccontare la realtà potrebbe essere un valido anticorpo al “nuovo fascismo” di cui parlava Leonardo Sciascia, citato da Camilleri: un regime pericoloso, che si insidia aggredendo la giustizia e cambiando continuamente forma. La difficoltà per gli anticorpi sta proprio in questa sua estraneità e mutevolezza, che rende il “nuovo fascismo” uno spettro impalpabile e sfuggente. Per questo, fa notare Claudio Giardullo, la democrazia ha bisogno di una manutenzione costante: questa, infatti, non è un bene che una volta acquisito si deve dare per scontato, ma una condizione che va coltivata giorno per giorno con grande cura e attenzione. Il limite del centro-sinistra, continua il Segretario del Silp, è stato quello di “trascurare” l’ordine pubblico, privilegiando attività come l’investigazione, il controllo del territorio, la lotta alla criminalità organizzata e alla mafia. In tal modo è andata via via perdendosi una professionalità, la capacità delle Forze di polizia di tenere vivi i principi su cui quell’ordine pubblico si poggiava: tra questi, la convinzione che “vincere” nella piazza non significa prevalere negli scontri, ma evitare che questi si verifichino. «L’ordine pubblico» ha detto Giardullo, «è efficace quando rispetta due principi di estrema importanza: garantire la sicurezza di tutti e il rispetto dei diritti fondamentali». Il centro-sinistra in quegli anni non capì che non occuparsi di ordine pubblico e disperdere tutte quelle professionalità, quei valori e quelle metodologie significava perdere un modello che si era consolidato quindici anni prima. Trovarsi di fronte a manifestazioni come quella di Genova avendo perso la capacità di fare ordine pubblico in senso preventivo, affidandosi al contrario a chi aveva una concezione militare, non ha fatto altro che esacerbare la violenza. Di questo errore ha approfittato il centro destra che, con l’obiettivo di delegittimare la piazza, ha trasformato le Forze di polizia in un duro strumento repressivo. La formazione dei poliziotti, allora, diventa un tema centrale per la salvaguardia della democrazia: la cultura, ribadisce Giardullo, è un anticorpo fondamentale, al pari dell’autonomia, per garantire il controllo della legalità.
Condizione fondamentale in uno stato democratico è anche la libertà di informazione, minacciata, a detta di Cofferati, dalla mancata soluzione del conflitto d’interessi e dal regime di monopolio che ne consegue. L’uso dei mezzi di comunicazione, e Genova ne è stata una prova, viene impiegato per sovvertire l’ordine delle cose, nascondendo la verità sotto una cortina di fumo. Il problema è la mancanza di un mediatore nella comunicazione diretta tra il media e il cittadino: solo rinvigorendo i corpi intermedi è possibile dare sostanza alla democrazia ed evitare che ci si abitui ad uno stato in cui la legalità viene continuamente violata.
«L’assuefazione è il peggiore dei mali», avverte Cofferati: «noi abbiamo dato per scontato che ciò che era conquistato nella prassi quotidiana fosse acquisito per sempre. Io credo, invece, che la democrazia sia una materia che va rivitalizzata ogni giorno, perché non c’è nulla di peggio che adagiarsi e immaginare che tutto sia risolto per sempre». Per evitare di “adagiarsi”, allora, bisogna coltivare quegli anticorpi di cui parlavano Camilleri e Giardullo, la cultura e l’autonomia, ma anche quei corpi intermedi che vogliono essere riconosciuti e che vogliono manifestare le proprie idee.
Per garantire la democrazia, in sostanza, questa va messa in crisi, nel senso del verbo greco krìno ,“giudico”, “valuto”: e quando ci si accorge di essere sulla rotta sbagliata, ecco che allora arriva il momento del “giro di boa”. Per quanto riguarda le Forze dell’ordine questo momento è arrivato: il rischio, infatti, è che fatti come quelli di Genova possano trasformare la Polizia da un gruppo di professionisti qualificati in una specie di grande organizzazione di buttafuori. Per evitare una simile deformazione occorre smantellare anche le mistificazioni quotidiane: «Si vuol far pensare agli italiani che le vere priorità per loro siano, dal punto di vista della sicurezza, la lotta alla clandestinità e alla prostituzione, mentre gli italiani, specie quelli che vivono in alcune regioni, avvertono sulla propria pelle ben altre priorità: il crimine organizzato, il racket, l’usura, le violenze quotidiane», ha osservato Giardullo. Spesso queste mistificazioni si rivelano strumenti politici di estrema efficacia: esemplare, in tal senso, la politica della paura sulla quale i conservatori di tutta Europa hanno fondato la propria fortuna politica.
Non a caso il Segretario del Silp cita l’esempio del leader olandese Fortuyn, il cui famoso slogan era “siamo al completo”. Vale a dire: la nostra società è al sicuro solo se blindata, separata. Una «sciocchezza colossale», come la definisce Giardullo, quella di pensare che una società come quella di oggi, globalizzata e mondiale dal punto di vista economico, sia chiusa da quello sociale. Esasperare lo scontro di civiltà, la separazione e la chiusura, impedire che le società si contaminino, contribuisce solamente ad alimentare le ragioni del terrorismo e quindi dell’insicurezza. La legge Bossi-Fini, a detta di Giardullo, sarebbe un chiaro esempio di questa politica della paura: «Questa legge viene fatta passare come uno strumento necessario per garantire la sicurezza dei cittadini italiani. In realtà è una legge sbagliata: a dirlo non è solo Salvo Montalbano, ma anche i poliziotti che ogni giorno sono costretti ad andare con i pedalò a recuperare i morti nel canale di Sicilia. E’ una legge inutile, che ha l’effetto di favorire chi entra nel nostro Paese per delinquere e non chi arriva in Italia per lavorare onestamente».
In sintesi, prima gli italiani si renderanno conto che non può esistere un’economia globalizzata e chiusa allo stesso tempo, prima le Forze di polizia potranno tornare al loro compito naturale, cioè quello di difendere i diritti fondamentali dei cittadini dalle vere minacce e non da quelle che servono a raccogliere un più largo consenso politico.
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“Il giro di boa”
Autore Andrea Camilleri
Prezzo 10 euro
Pagine 220
Data di pubblicazione 2003
Editore Sellerio
Collana Sellerio La Memoria
Il settimo romanzo di Camilleri ci restituisce un commissario Montalbano estremamente turbato dalle violenze perpetrate dalla Polizia ai danni dei manifestanti durante il G8, rattristato dalla situazione politica e dalle recenti leggi sull’immigrazione, ormai deciso a dimettersi dalla Polizia. In una notte in cui la sua condizione di uomo isolato, forse superato dai tempi, si fa insostenibile il commissario di Vigata decide di nuotare fino allo sfinimento per dissipare i suoi incubi tremendamente realistici. E proprio in alto mare, in difficoltà a causa dei crampi, Montalbano si imbatte in un cadavere senza nome, forse un clandestino annegato. Quel corpo brutalizzato, senza pace di giustizia, appare come un correlato oggettivo della sua solitudine: per il commissario è una sfida, che gli fa abbandonare il proposito di dimettersi e che lo spinge ad estrarre prontamente una pista da seguire partendo dai pochissimi indizi a disposizione. Montalbano addirittura si spinge sulla strada dell’inchiesta doppia, indagando su un altro delitto efferato, solo apparentemente indipendente dal primo. Due strade che faticano ad incontrarsi, un puzzle in cui non tornano i pezzi: alla fine, però, la chiave di lettura per decifrare l’enigma sarà fornita al commissario dalla bella “svidisa” Ingrid.
Nonostante il suo incipit malinconico e carico di inquietudine, Il giro di boa ci riconsegna un Montalbano più deciso che mai a superare con l’azione un presente contraddistinto da una sempre maggiore decadenza dei valori.
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