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Gennaio-Febbraio/2010 - Articoli e Inchieste
Agosto 2001
Dallo scontro al confronto: fatti di Genova tra memoria, dialogo e speranza
di Lorenzo Baldarelli

A nove anni dagli eventi di Genova, il Silp e tutte
le Forze di Pubblica sicurezza continuano a interrogarsi
sulle cause e sulle soluzioni. Uno spunto di riflessione
lo prendiamo dal passato, da un incontro. È il racconto
di persone che invece di farsi trasportare dalla tensione
e dai campanilismi scelsero d’incontrarsi e discutere


La fase processuale che riguarda i complessi fatti di Genova del 2001 si è quasi conclusa, la generazione che partecipò allo scontro è cresciuta, alcuni dirigenti delle Forze dell’ordine hanno fatto carriera, un nuovo governo Berlusconi tiene saldamente il potere nelle proprie mani, ma una forte crisi economica ha appena travolto il nostro Paese. Si potrebbe andare verso una stagione di tensioni sociali, basta vedere cosa è successo a Rosarno. Tutti questi fattori richiedono, oggi, una nuova riflessione sulla gestione dell’ordine pubblico.
Genova 2001 è sicuramente stata una brutta pagina per le Forze di polizia italiane e per la nostra Costituzione. A nove anni dai tristi fatti del G8, il sindacato della Polizia Silp e tutte le Forze di polizia in genere si interrogano sulle cause ma soprattutto sulle soluzioni.
Per incrementare il dialogo, la fiducia tra le parti e il rispetto è sempre utile ricordare. Scorrendo gli eventi che si sono susseguiti negli anni seguenti la morte di Carlo Giuliani, il massacro avvenuto nella scuola Diaz e le torture nella caserma Bolzaneto, uno dei più significativi e utili fu l’incontro tra il sindacato di Polizia, legato alla Cgil, e Vittorio Agnoletto l’allora portavoce del Genova social forum.
Mentre nelle piazze era alto il grido “assassini, assassini”, Claudio Giardullo, dirigente della Polizia di Stato e segretario del sindacato Silp-Cgil, fu uno dei pochi che con coraggio cercò subito di ricomporre una cesura pericolosa per tutta la società civile. Con il suo invito all’uomo del dialogo Agnoletto - che prima in vista del G8 discusse con tutti, con le Forze dell’ordine e con il governo - Giardullo volle affermare con chiarezza che ai lavoratori “della Polizia non serve una gestione paternalistica del Viminale”, ma che piuttosto sarebbe utile capire anche il punto di vista di quei manifestanti che oggi come ieri sono giustamente indignati.
Agnoletto rispose all’appello, ma precisando alcuni punti. “Siamo disponibili ad incontrare i rappresentanti della Polizia in qualità di Genova social forum, purché tutto non si risolva in una difesa d'ufficio delle Forze dell'ordine, a condizione che si parta dalla presa d'atto delle violenze perpetrate da poliziotti e carabinieri”. Agnoletto, continuando, pose l’attenzione su un punto fondamentale, lo scopo del Gsf, e non solo il loro, era chiarire le “responsabilità dei vertici delle Forze dell'ordine e fare anche luce sull'uso politico che è stato fatto in piazza delle stesse Forze dell'ordine”.
In un caldo agosto del 2001, nella sede del Silp, l’incontro tra i delegati sindacali e il Genova social forum portò ad una serrata ma educata discussione. Da una parte c’era Vittorio Agnoletto, Raffaella Bollini e Bruno Manganaro a rappresentare il movimento. Dall’altra parte del tavolo Claudio Giardullo e la segreteria del Silp. Doveva esserci anche la Cgil, ma alla fine non prese parte all'incontro.
La discussione durò per più di tre ore, leale e civile, senza imbarazzi. Alla fine dell’incontro, però, non ci fu alcuna conferenza stampa comune. I fatti avvenuti nelle piazze di Genova ancora bruciavano sulla pelle di tutti. Questione di opportunità: da una parte e dall’altra i feriti erano ancora in ospedale, le forze politiche si davano battaglia in Parlamento e Ciampi esigeva chiarezza. All’apparenza (e in quel periodo non era certo poco) l’incontro si risolse in una semplice e circoscritta valutazione politica complessiva, allo scopo di non interrompere il dialogo. Nella speranza di potersi nuovamente confrontare in un periodo meno turbolento. Il problema immediato era quello di rappacificare le piazze, evitare uno strappo incontrollabile, e pericoloso, tra la società civile e le Forze dell'ordine “anche se nella prossima stagione dovessero verificarsi tensioni sociali”, sottolineò Giardullo.
In questo clima, all’uscita dalla riunione, le dichiarazioni erano tutto sommato positive, prudenti ma positive. Le due parti si sono dette d’accordo sul rifiuto della violenza “da qualsiasi parte essa provenga”, e sul bisogno assoluto che “vengano accertate le responsabilità”.
Claudio Giardullo, segretario del Silp, dichiarò nello specifico: “Ci sembrava importante stabilire un dialogo con i giovani che sono venuti a manifestare a Genova”. Continuando: “I fatti di Genova sono stati gravi, c'è stato un morto e ci sono stati feriti, tra le Forze dell'ordine e tra i manifestanti. Il sindacato ribadisce l'assoluto rifiuto della violenza, da qualunque parte essa venga”. Per il Silp era necessario che i fatti venissero accertati. “Abbiamo sempre pensato - continua Giardullo - che fosse sbagliato procedere alla militarizzazione con l'unico obiettivo di difendere il fortino e che fosse necessario creare dei cordoni per garantire l'ordine pubblico in modo preventivo”. La gestione dell’ordine pubblico al G8 del 2001 per il Silp è avvenuta quanto meno in modo “leggero”. “Ci sembra opportuno che oltre alla Polizia anche gli altri Corpi decidano di aprire un'inchiesta”. Per Giardullo, infatti, la cosa veramente importante - uno dei scopi fondamentali dell’incontro - era evitare di allargare lo strappo tra Forze di polizia, Stato e società civile. “Ci sembrava importante - afferma Giardullo - di avviare un confronto nel momento in cui era stata inferta una ferita alla società italiana: un morto e centinaia di feriti da una parte e dall’altra...” Una società democratica “non può svilupparsi senza un rapporto di fiducia tra cittadini e Forze dell’ordine”. Ma il segretario del Silp, nelle sue dichiarazioni, si sofferma anche sulle responsabilità politiche. “Considero un errore l’aver scelto Genova, da parte del governo, un’ottica prevalentemente militare, tutta tesa a salvaguardare la zona rossa, che è cosa diversa dalla difesa dell’ordine pubblico in tutta la città”. Difesa che comincia “con la prevenzione degli incidenti”, e non con la pura repressione a posteriori. “Si è pensato quasi esclusivamente all’aspetto repressivo, tralasciando colpevolmente quello preventivo e senza che si riuscisse nemmeno a separare i manifestanti pacifici da quelli che invece volevano praticare azioni violente: i cosiddetti black-block”.
Nell’insieme, infatti, si era creato un clima di tensione potenzialmente pericoloso, al quale era seguita una gestione sul campo delle Forze dell’ordine plurima, e per alcuni aspetti nevrotica, abbandonata a se stessa, alle iniziative e alle reazioni, anche violente, dei singoli. Con due momenti di particolare gravità, che rimangono tristemente emblematici: l’irruzione notturna nella scuola Diaz, sede del Social forum, e il trattamento dei dimostranti arrestati nella caserma di Bolzaneto. Due situazioni diverse tra loro, ma entrambe indicative di dove può condurre lo smarrimento dei principi della ragione e della legalità.
Una cosa è sicura per Giardullo, le responsabilità individuali andranno definite e analizzate. Ma questo è un compito che può svolgere solo la magistratura. Per quanto riguarda la responsabilità collettiva delle Forze dell’ordine? Giardullo è altrettanto chiaro nella sua risposta: “assolutamente no. La stragrande maggioranza delle forze dell’ordine svolge il suo lavoro quotidianamente in modo onesto e corretto. Parlare di responsabilità collettiva rischierebbe di aprire la strada ad assoluzioni o condanne di massa. Sarebbe ingiusto e incomprensibile”. Il Silp, comunque, si è subito trovato d’accordo sull’istituzione di una Commissione parlamentare - nonostante le richieste di alcune forze politiche il Parlamento si è sempre rifiutato di istituire una Commissione d’inchiesta sul G8 di Genova -, il sindacato avrebbe accettato qualunque tipo di accertamento.
Aldo Tarascio, del Silp, ammette: “Genova non ha rappresentato un incidente di percorso, ma una linea di demarcazione. A 20 anni dalla smilitarizzazione del corpo di polizia, la parola d'ordine ‘prevenzione’ è stata sostituita da un altro imperativo: ‘repressione’. E così la Polizia si è trasformata da organo dello Stato in organo del governo. O meglio, di uno o due partiti del governo”. Un altro sindacalista del Silp, Francesco Carella, parla di “democrazia malata”. Il muro del silenzio a Genova per la prima volta si è rotto e alcuni poliziotti hanno parlato, dissociandosi da quanto è accaduto.
È necessario, conclude Giardullo, “tenere viva la memoria affinché simili situazioni non si verifichino in futuro. Su questo punto, vorrei poi registrare una cosa: dopo Genova, anche grazie al contributo del nostro sindacato, vigileremo affinché non si ripetano più episodi di quella gravità. Si deve ripartire - continua il segretario nazionale - dalla condanna e dal rifiuto totale e reciproco di ogni forma di violenza, perché quella di Genova è una ferita aperta e difficile da rimarginare per il nostro Paese. Non dovremo mai dimenticare”.
Vittorio Agnoletto, all’uscita della riunione, sottolineò quanto fu sofferta la scelta di accettare l’incontro con il Silp da parte del Gsf. “Anche se riconosciamo il ruolo fondamentale che può svolgere un sindacato democratico, per noi l’obiettivo dell’incontro si limita nel condannare in modo congiunto la militarizzazione delle piazze”. Agnoletto e Giardullo si sono ritrovati d’accordo nel giudizio sulla “gestione militare” del G8. Il primo calca i toni soprattutto sull’accertamento “delle responsabilità politiche e individuali di coloro che hanno deciso ed eseguito” quel tipo di operazione di mantenimento dell’ordine, e non esitò a denunciare “il modo strumentale in cui è stato utilizzato il black-block”. “Uno dei nostri - continua Agnoletto - è stato preso a randellate in testa dalle tute nere”. Agnoletto si è anche detto “molto preoccupato per l’involuzione antidemocratica dell’ordine pubblico”. Ha ribadito la “scelta non violenta e pacifista” del movimento e ha rivendicato il diritto costituzionale di esprimere il proprio dissenso, anche nel prossimo futuro. Si è assistito ad un'involuzione senz'altro aiutata dalla presenza del nuovo governo, soprattutto di alcune sue componenti, come Alleanza nazionale. Risulta evidente l'intenzione politica di escludere dalla possibilità di gestire servizi per la collettività (e nel caso lanciare rivendicazioni al governo) tutte quelle realtà associative e cooperative che siano portatrici di una diversità politica e culturale rispetto alla maggioranza.
Il Gsf non intende rinunciare al diritto di manifestare e con i rappresentanti del Silp si è cercato di descrivere e comprendere quanto è accaduto, anche grazie ad uno scambio di informazioni ed esperienze. Agnoletto, poi, aggiunge una considerazione amara: “Nessun altro sindacato ci ha chiesto alcun incontro”. La Polizia è un Corpo sindacalizzato ma diviso in varie formazioni.
Dopo Genova, quindi, il Gsf non smette di dialogare, di cercare nuovi luoghi di confronto democratico. Ma il confronto sarà duro, perché, dice il portavoce del Gsf “è evidente che tra noi e le Forze dell'ordine rimangono delle distanze abissali e, soprattutto, ribadiamo le responsabilità dei vertici di Polizia e Carabinieri nei drammatici fatti di Genova”. “Penso che il punto sia ora riflettere su come sia possibile organizzare all'interno delle Forze dell'ordine movimenti e istanze davvero democratici”.
Oggi, periodo storico in cui la cronaca, il tempo e un diffuso malcostume culturale cercano di annebbiare la memoria, è di vitale importanza cercare di chiarire e metabolizzare la repressione avvenuta a Genova. Per farlo preferisco prendere in prestito l’analisi del Direttore del nostro giornale. È proprio Paolo Pozzesi, in un suo editoriale, a ordinare concettualmente i danni subiti dalla società civile dagli eventi del 2001.
“Riteniamo pertanto necessario e indispensabile: chiarire quanto prima uno dei tanti ‘misteri’ italiani che questa volta si chiama Genova che:
- ha gettato fango sulla democrazia nata dalla lotta partigiana e antifascista,
- ha causato danni difficilmente cancellabili nella memoria di chi crede nei valori della democrazia,
-ha vanificato decenni di lavoro di chi, all’interno delle Forze di polizia, ha tentato di portare la pratica del dialogo e del confronto democratico tra apparati dello Stato e cittadini.
Chiediamo al governo di:
- rivedere la gestione dell’ordine pubblico in maniera complessiva,
- prevedere l’istituzione della Commissione Interni presso i due rami del Parlamento al fine di un diretto controllo delle Assemblee parlamentari sulle Forze dell’ordine tutte,
- rimuovere dagli incarichi gli autori e pianificatori degli eventi che sono accaduti a Genova e ancor prima a Napoli,
- dare immediata approvazione a razionali sistemi per l’identificazione degli operatori di Polizia in servizio d’ordine pubblico.
Contestualmente si dovrà attuare un nuovo e forte processo di ri-democratizzazione delle Forze di polizia, ri-valutizzando la legge n. 121 del 1981 che ha smilitarizzato e trasformato il Corpo delle Guardie di P. S. e i cui contenuti sono stati sempre osteggiati, e finanche rimossi, dalle Forze della destra”.
La tragedia che si è consumata a Genova, insomma, deve diventare una grande opportunità per discutere non solo delle violenze della Polizia, ma anche del retroterra che ha preceduto i gravi eventi, analizzando anche le responsabilità del mondo politico e culturale che ha consentito che accadesse ciò che è accaduto sia stando zitto sia partecipando alla determinazione del clima di tensione, alimentando, e per certi aspetti inducendo, a giustificare comportamenti che sono andati sicuramente al di fuori dei dettami costituzionali, d’etica professionale oltre che dei regolamenti.
Il Paese, e questa è un opinione diffusa, ha bisogno di superare il fallimento di Genova e fondare sul successo di Firenze il modello di ordine pubblico basato su prevenzione, concertazione, comando operativo affidato ai dirigenti locali delle Forze dell'ordine e a piccoli nuclei di uomini per attuare l'uso controllato della forza, l'isolamento morale e materiale dei violenti.

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