Vent’anni precisi. E’ il lasso di tempo che intercorre tra la Riforma della Polizia e il congresso costitutivo del Silp per la Cgil, il sindacato di Ps nato dall’esperienza del più grande tra i confederali del nostro Paese. Un avvio targato 2001, antesignano di temi oggi alla ribalta mediatica: sicurezza, legalità e unificazione delle Forze di Polizia. E se la memoria rischia d’essere corta, visto il quotidiano bombardamento d’informazioni, a ricostruire l’atmosfera politica e sociale di quell’inizio millennio sono le parole del segretario generale Silp-Cgil, Claudio Giardullo: “Celebriamo il congresso costitutivo in un momento di grande attenzione del Paese verso le questioni della sicurezza pubblica. E questa concomitanza non è, ovviamente, casuale”.
A ben riflettere quell’appuntamento si tiene nel marzo del 2001 a pochi mesi dalla tragedia che lacerò la contemporaneità in modo irreversibile: l’attacco, l’11 settembre, alla Torri Gemelle. Un episodio che seppur lontano dall’Italia ha lasciato uno strascico di terrore e insicurezza già dai momenti immediatamente successivi il crollo di due dei simboli di New York e della potenza statunitense. Non a caso il sospetto del diverso ha preso sempre più piede - magari sarebbe accaduto comunque - ma sta di fatto che le Forze di polizia, in questa specifica fase congiunturale, hanno dovuto, a più riprese, tentare di dare risposte adeguate alla cittadinanza.
E fin qui nulla di particolare se si pensa che in un congresso di un sindacato di Polizia si parli di sicurezza. Ma il salto di paradigma c’è e sta nella gestione delle strategie di contrasto al crimine. Dice ancora Giardullo: “Di fronte alla nuova e più complessa domanda di sicurezza, sono da considerare definitivamente superate le tradizionali politiche fondate sulle sole risposte repressive e l’occupazione militare del territorio”. Anche se poi, con l’aprile 2008, l’inizio della XVI legislatura e il quarto governo Berlusconi, le città saranno comunque militarizzate e alla richiesta di sicurezza dei cittadini, si risponderà coi presidi di militari fuori dalle stazioni metro.
Una direzione ben diversa da quanto auspicato dal Silp Cgil nel marzo 2001: “una strategia che sappia coniugare politiche sociali e di legalità, prevenzione generale e repressione dei comportamenti illegali”. Non a caso, lo slogan del congresso è: “Sicurezza: Diritto di cittadinanza - Valore di libertà”. E non a caso vengono affrontati temi delicati come l’immigrazione, l’integrazione, il contrasto della clandestinità nel rispetto, però, della dignità e dei diritti umani. Non per questo viene però taciuto l’affacciarsi “sulla scena del crimine di nuovi e più spregiudicati gruppi, spesso di origine straniera, portatori di un carico di violenza anche nei reati di strada al quale la nostra società non era abituata”, così Claudio Giardullo nell’intervento al primo congresso del Silp.
Un sindacato che, è giusto ricordarlo, riporta nella stessa sigla l’imprinting della Cgil di cui, già nell’atto costitutivo del 2001, riafferma e condivide obiettivi e valori. Lavoro e occupazione, temi cardine della Confederazione italiana dei lavoratori, tornano nel primo congresso Silp anche in relazione al delicato tema dell’immigrazione che sebbene risponda a un terzo del fabbisogno di manodopera dell’industria e dei servizi, “non viene ritenuta risorsa strategica” ma semmai, da molti, guardata con sospetto. E nell’intervento di Giardullo si cita il caso dell’epoca di Novi Ligure e la brutale uccisione di una madre e del figlio piccolo con l’immediata colpa riversata su immigrati quando poi si scoprì che la matrice era di tutt’altro genere e che la furia omicida proveniva dalle mura domestiche. Già allora il Silp parlava di “senso di insicurezza favorito dalla cultura dell’emergenza”, dato che tornerà anche nel secondo congresso, di qualche anno successivo.
E in tema di immigrazione, se oggi, alla luce dei fatti, i centri permanenza sono spesso luoghi di violazione dei più elementari diritti della persona, allora i Cpt (Centri di permanenza temporanea) venivano descritti dal Silp come strumenti legittimi, “necessari a garantire l’effettività dell’espulsione, dopo il completamento dell’operazione più lenta e complessa che è l’identificazione delle persone fermate”. A patto di “favorire l’assistenza e la tutela dei diritti”.
Sul fronte della sicurezza cittadina già allora il Silp contestava l’idea di città ‘chiusa’ per affermare invece un modello di città ‘aperta’ in cui i servizi fossero in funzione h24 e in cui il controllo non dipendesse solo dalle Forze di polizia ma da un tessuto sociale attivo. Questione poi esplosa col caso, terribile, della signora Reggiani che il 30 ottobre 2007 fu braccata, violentata e uccisa nei pressi della stazione ferroviaria di Tor Di Quinto, nella zona romana del Flaminio, nel tardo pomeriggio da un aggressore poi riconosciuto in quel Romulus Nicolae Mailat, condannato all’ergastolo.
In sostanza, quel che proponeva il Silp già nel 2001 era la sicurezza come vero e proprio diritto di cittadinanza in cui però, ad avere la meglio non fossero semplicemente le figure repressive a scapito anche di quote di libertà personali, ma un disegno nuovo e efficace della città e della sua sicurezza improntato alla prevenzione del crimine e alla riduzione della marginalità e del disagio. Un approccio sociale, quindi, al posto di una svolta autoritaria dei rapporti tra Stato e cittadino. Tirata d’orecchie da parte del sindacato all’allora governo per il ritardo nel legiferare su temi importanti come la recidiva e la sospensione condizionale della pena e plauso invece per l’approvazione del pacchetto sicurezza prima dello scioglimento delle Camere, “un provvedimento - si legge in una nota di Claudio Giardullo - che contiene un chiaro messaggio di tutela delle fasce deboli della società”.
Ma non è tutto. Nota di demerito al governo anche sulla sottovalutazione di un tema, quello della pericolosità dell’autore di un reato che secondo il Silp, già allora, avrebbe dovuto essere affrontato con “una chiara manifestazione di fiducia nei confronti dell’Autorità di Pubblica sicurezza, e cioè con il rafforzamento delle misure di prevenzione”.
Per fare ciò il circuito investigativo diventa protagonista dell’azione di Pubblica sicurezza, ragion per cui, nel congresso del 2001 il Silp per la Cgil nel contrasto alla criminalità di strada individua in prevenzione e attività investigativa, il centro nodale dell’attività della Polizia e vede di buon occhio la progettata scuola di alta specializzazione per il personale dei Paesi dell’Unione Europea, definita “di grande respiro strategico”.
Mentre questo numero di Polizia e Democrazia va in stampa, arriva la notizia sul verdetto della Cassazione in merito al processo Spartacus contro i membri del clan camorristico dei Casalesi, il che riporta alla mente l’attualità della richiesta del Silp per la Cgil che già nel 2001, a quasi un decennio di distanza da oggi, contestava l’esclusiva destinazione di risorse al contrasto della delinquenza di strada, a discapito della lotta antimafia. Già allora, il Segretario nazionale diceva: “Sul versante dell’azione antimafia non condividiamo il parere di chi considera eccessiva l’attenzione dimostrata dagli organi inquirenti su questo fronte”. Auspicabili invece i sistemi internazionali di contrasto alle mafie attraverso strumenti come Europol e il sistema informativo Schengen nonché la realizzazione dello spazio comune di giustizia e sicurezza previsto dal trattato di Amsterdam.
Sta di fatto che tanto nelle questioni nazionali come in quelle internazionali sembra evidente la convinzione del Silp per la Cgil che il controllo del territorio non stia nella militarizzazione dello stesso quanto piuttosto nella conoscenza che di esso si ha. E che a livello locale può essere cittadino e a livello transnazionale, di diversi Paesi. Questo a significare che la sinergia e la più stretta specializzazione dei diversi Corpi di Polizia possano contribuire alla condivisione di informazioni e a un’azione più diretta e tempestiva. Ecco perché, già nel 2001, il Sindacato Italiano Lavoratori della Polizia parlava di partenariato, invocando una più ampia collaborazione tra la Polizia di Stato e gli Enti locali; questo senza permettere il trasferimento dei poteri dal prefetto o questore a cosiddetti sindaci sceriffi. A ognuno, il suo.
E’ certo però che di passi positivi in tal senso se ne siano compiuti e che a detta del Silp i protocolli con le Amministrazioni locali già allora avevano gettato le basi di un nuovo modello collaborativo. Peccato che per agire con efficacia ci sia bisogno di mezzi e uomini e già a marzo 2001 lo scenario era tutt’altro che confortante: commissariati col personale ridotto al lumicino e sempre più sollevato dal ruolo di prevenzione; ridotto invece, almeno per la maggior parte, a gestire uffici burocratici addetti alla ricezione di denunce e istanze amministrative.
In questo panorama, il poliziotto di quartiere sarebbe stata una novità positiva se non fosse per l’esaurirsi del suo ruolo nell’arco di poco e la scarsa presenza per le strade della città. Condizione di certo non voluta dalla stessa Polizia ma dagli scarsi investimenti dei governi che si sono alternati sul Comparto Sicurezza. Valutazione espressa a più riprese anche negli anni successivi fino ad arrivare proprio ai giorni nostri.
Scarsi investimenti quindi per rafforzare la presenza sul territorio ma anche al potenziamento della professionalità degli operatori. Tutte questioni ancora aperte a nove anni di distanza da quegli atti programmatici e che gli attuali tagli alla sicurezza non contribuiscono a sanare. Diritti, giustizia, formazione e interazione tra le Forze dell’ordine, sono quindi pur sempre sul tavolo di confronto. Un cammino sindacale intrapreso nel 2001 e che allora, come oggi, propone un modello nuovo per le Forze di polizia.
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