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dicembre/2009 - Lettere
Le vostre lettere
di redazione@poliziaedemocrazia.it

Non sono d’accordo!

Egregio Direttore,
non sono un antisemita, sono certamente per la chiarezza e trasparenza. Israele ha una superficie poco minore del Lazio e circa la stessa popolazione. Come potrebbe il Lazio avere un Esercito come quello israeliano e cacciabombardieri, incrociatori, sottomarini, forse bombe atomiche; ma nemmeno con il federalismo fiscale! Allora si deve dedurre che Israele sia finanziata da Paesi stranieri.
Si è sentito alla radio, in occasione dell’operazione “piombo fuso”, che l’Unione Europea paga la bolletta della corrente elettrica per i palestinesi di Gaza, corrente evidentemente prodotta da centrali in territorio israeliano, se questi possono staccare la spina.
Sono notizie che si dovrebbero scrivere esplicitamente, affinché l’opinione pubblica si faccia una opinione obiettiva e completa.
Mi va anche bene che Stati Uniti ed Europa aiutino Israele, ma non si deve poi sostenere, quando gli israeliano si oppongono ai piani di pace, che l’Europa e l’America non abbiano i mezzi per ridurli alla ragione, visto che le armi gliele passano loro.
Al contrario, nelle interviste c’è una donna che accusa i palestinesi di spendere soldi per comprarsi anche loro le armi; chissà chi gliele venderà, forse “rinnegati” come nei film western, dal momento che i razzi qassam sono precisi come tubi di stufa (si legge che gli 8.000 razzi lanciati abbiano provocato una decina di vittime: meno male).
C’è troppa confusione e con il vostro servizio di luglio scorso la alimentate.
Gli israeliani, che sono vissuti in armonia con i popoli del Medio Oriente, anche nel Medioevo quando in Europa erano perseguitati, ora se li sono inimicati.
Non c’era bisogno di costituire, alla fine della Seconda guerra Mondiale, uno Stato israeliano.
Dopo le nefandezze perpetrate da nazismo e fascismo e conosciute da tutto il mondo, gli ebrei della diaspora, cioè gli ebrei che sono migrati nel nuovo Stato dopo il 1948, sarebbero stati al sicuro e protetti in ogni Paese dell’Europa e del mondo. Evidentemente si è voluto creare una testa di ponte nei Paesi arabi; allora il petrolio era molto importante e gli israeliano erano alleati dei Paesi occidentali contro l’Urss e i Paesi non allineati.
Sono argomenti che dovreste trattare. Dovete dirlo, oppure avete timore di essere censurati?
Franco Tadiotto - Genova
**************
Caro Tadiotto,
la ringrazio anzitutto della sua lettera, i pareri dei lettori, specie se critici, sono sempre preziosi.
Quello che dice sulla diaspora è giustissimo, e in altri numero di Polizia e Democrazia, occupandoci di Israele, lo abbiamo scritto. Questa volta abbiamo scelto di far parlare degli israeliani “qualunque”, per i quali ovviamente la diaspora appartiene a un lontano passato.
Per quanto riguarda i kibbutz - che furono il vero nocciolo duro del futuro Stato, e della stessa Haganah -, è vero che erano laici, con aspirazioni socialiste, e, ancora prima della guerra del 1948, malvisti da molti religiosi ortodossi di Gerusalemme (alcuni di questi erano persino contrari alla creazione dello Stato di Israele, considerato in qualche modo “blasfemo”).
Ora, in Israele come altrove, gli entusiami (erano illusioni?) del dopoguerra si sono smorzati, e la formula del kibbutz (probabilmente sarebbe interessante chiarire come sono attualmente, “laici” o “religiosi”) ha perso molto impatto. Purtroppo aggiungo io.
Detto questo, non credo che siamo stati “di parte”. E sinceramente non capisco di quale “parte”. La nostra posizione è sempre stata quella dei due Stati (come decretò la decisione dell’Onu nel 1948, che i Paesi arabi non accettarono), con la premessa irrinunciabile del pieno riconoscimento di Israele da parte dei suoi vicini. Pieno e garantito.
Mi auguro che voglia scriverci ancora, dandoci il suo parere sulla rivista.
Cordiali saluti
p. p.
_________________
Vogliamo la verità

Egregio Direttore,
abbiamo tutti il massimo rispetto umano e cristiano per il dorore dei familiari del detenuto Stefano Cucchi, morto nel reparto detentivo dell’ospedale Pertini di Roma, come lo abbiamo per tutti coloro che hanno perso un proprio caro detenuto.
Ma non possiamo accettare una certa (tendenziosa e falsa) rappresentazione del carcere come luogo in cui quotidianamente e sistematicamente avvengono violenze in danno dei detenuti che traspare da alcune - non tutte, per fortuna - cronache giornalistiche apparse sui giornali.
Non accettiamo che le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria - che lavorano ogni giorno nelle strutture detentive del Paese con professionalità, zelo e abnegazione - vengano rappresentate da certe corrispondenze di stampa che, più o meno velatamente, associano al nostro lavoro i sinonimi inaccettabili di violenza, indifferenza e cinismo.
Non è questo il momento delle opinioni o dei giudizi. E’ il momento che la magistratura accerti - come sempre con serenità, equilibrio e pieno rispetto dei valori costituzionali - gli elementi di cui è in possesso. E’ il momento che la magistratura, serena ed indipendente, accerti responsabilità e verità.
La presunzione di innocenza è una tutela prevista dalla Costituzione e vale per tutti i cittadini. Ma è chiaro che il contenuto di certe dichiarazioni, e di certi articoli di stampa, non rispecchia affatto il vero operato del Corpo. Perchè la Polizia Penitenziaria è una Istituzione sana, composta da uomini e donne che, con alto senso del dovere, spirito di sacrificio e grande professionalità, sono quotidianamente impegnati nella prima linea della difficile realtà penitenziaria, nelle sezioni detentive e nei servizi di traduzione e piantonamento dei detenuti in primis.
I poliziotti e le poliziotte penitenziarie, nel solo 2008, sono intervenuti tempestivamente in carcere, salvando la vita ai 683 detenuti che hanno tentato di suicidarsi ed impedendo che i 4.928 atti di autolesionismo, posti in essere da altrettanti ristretti, potessero degenerare con ulteriori e gravi conseguenze.
Sono persone che nelle carceri italiane subiscono con drammatica sistematicità - nell’indifferenza dell’opinione pubblica, della classe politica ed istituzionale - continue aggressioni da una parte di popolazione detenuta aggressiva e violenta.
Questo avviene nelle carceri. Altro che le “violenze sistematiche ai detenuti”, come invece qualcuno vorrebbe far credere. Altro che “massacri”. Noi, questa rappresentazione falsa del carcere e di chi in esso lavora, non la accettiamo, perchè non rispecchia affatto la quotidiana e reale attività lavorativa dei poliziotti penitenziari.
Attendiamo dunque che la magistratura valuti tutti gli elementi di cui è in possesso ed accerti come sono andate davvero le cose. Ma respingiamo con fermezza ogni accusa gratuita e inaccettabile alla professionalità del Corpo di Polizia Penitenziaria e dei suoi appartenenti.
Donato Capece
Segr. gen. Sappe - Roma

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