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Novembre/2009 - Interviste
Chi l'ha visto?
“E’ un programma che può davvero aiutare”
di Intervista a cura di Giada Valdannini

Migliaia di persone scomparse
ritrovate, decine di delitti inspiegabili
svelati, una riconosciuta capacità di contribuire
alle indagini con le Forze dell’ordine.
Il programma, condotto da Federica Sciarelli,
non è solo una trasmissione televisiva,
ma un servizio pubblico, che funziona soprattutto
con il contributo dei telespettatori


Nata a Roma il 9 ottobre 1958, Federica Sciarelli muove i primi passi nel giornalismo a vent’anni grazie a una borsa di studio per l’avviamento alla professione. La prima occupazione è all’Ufficio Informazioni Parlamentari dove rimane per quattro anni ma una volta diventata professionista entra stabilmente nella redazione del Tg3, diretto allora da Sandro Curzi. Dopo una lunga esperienza nella redazione politica, nel 2004 accetta la conduzione di Chi l’ha visto?, il programma in onda settimanalmente da 20 anni.
Con lei abbiamo parlato dell’esperienza al timone del programma di Rai3 e dell’attenzione, da sempre spiccata, per temi che vanno ben oltre i confini nazionali.

A cinque anni dal debutto a Chi l’ha visto? puoi tracciare una statistica delle scomparse?
Per esperienza starei molto attenta coi dati. Sono molte le persone che scompaiono e altrettante le denunce, ma spesso il ritrovamento non viene comunicato.

Tra gli scomparsi, quanti non vogliono farsi ritrovare?
Beh, noi di quei casi non ci occupiamo. Abbiamo una redazione molto preparata e pronta a capire se si tratta di una scomparsa di quel genere. Una volta ci è capitato un marito che cercava la moglie che aveva tradito e gliene aveva fatte di tutti i colori. La moglie ovviamente si era allontanata liberamente ma abbiamo passato una settimana a far capire all'uomo che non avremmo dovuto né voluto metterci alla ricerca della donna.
Comunque quello che dice vado a comprare un pacchetto di sigarette e scompare non esiste. E' più possibile, nella mia esperienza, che si tratti di persone scomparse e uccise. Scomparsi sono spesso gli anziani che magari, soffrendo di disturbi della memoria, escono di casa e non riescono a tornare.

E gli adolescenti in fuga?
Oggi fuggono di casa perché non hanno dato qualche esame o per un’interrogazione andata male. Di certo è più raro che fuggano per amore, perché la famiglia non accetta un legame sentimentale.
Più complessa è la situazione dei ragazzi affidati a case-famiglia: tra loro capitano episodi di fuga dettati da grossi problemi di disagio sociale.

E gli adulti che si allontanano volontariamente per cosa fuggono?
La depressione è la malattia del nostro tempo e molti adulti, che hanno perso il lavoro, che non riescono a mantenere la famiglia, si allontanano di casa per scelta.
Purtroppo talvolta la fuga si risolve in un suicidio. La tempestività nelle ricerche è quindi preziosa.

Le Forze dell’ordine, nella tua esperienza, si muovono in tempi rapidi?
In moltissimi casi, sì. Quando si tratta della scomparsa di bambini c'è un’attivazione immediata. Per ragazzi e adulti non sempre è lo stesso. Con controlli rapidi si può giungere a risultati immediati.

Majorana, Federico Caffè. Sono possibili ancora oggi i grandi misteri?
Non credo. Le tecnologie mettono più facilmente sulle tracce delle persone. Cellulare, carte di credito sono dei tracciati importanti per gli inquirenti.

In molte puntate avete toccato il tema della pedofilia. Che messaggio ti sentiresti di dare?
Ce ne siamo occupati perché molti telespettatori ci hanno avvisati che navigando in Internet si sono imbattuti in siti pedopornografici. Si sono rivolti a noi per capire cosa fare e, come redazione, abbiamo cercato di approfondire il tema per dare delle risposte.
Storie tragiche ne abbiamo trattate molte. Tra quelle legate ai minori abusati ricordo quella di Silvestro Delle Cave, il bambino violentato, ammazzato, chiuso in una valigia.
Agli adulti direi che Internet è un bellissimo strumento ma può essere anche un secchio della spazzatura, quindi bisogna fare molta attenzione all'utilizzo che ne fanno i bambini.

Queste storie hanno aumentato il senso di allerta con tuo figlio?
Non dico che bisogna vigilare sui ragazzini ma quando lui è al computer, ogni tanto, facendo finta di niente, passo da dietro e vedo cosa c'è nel monitor. Cerco di essere attenta, quello sì, ma non invasiva.
Noi genitori dovremmo ricercare il tempo per i figli ma nel caso in cui non ci fosse, i nonni possono essere di grande aiuto.

Tra le molte, c’è una storia che ti ha più segnata?
Tutte allo stesso modo, ma quelle che coinvolgono i bambini sono le peggiori. Lì hai il senso della sconfitta, come nel caso dei fratellini di Gravina di Puglia o del piccolo Tommaso.
In una puntata ero con la madre di Tommy e arrivavano chiamate di segno non dico positivo, ma davano il senso di essere quasi vicini alla meta, e invece poi abbiamo saputo che era stato ucciso il giorno stesso, è terribile. Sono storie che ti restano dentro.

Visto che raccogliete storie di sofferenza delle persone, riuscite a prendere le distanze da quanto raccontate?
Difficile, più ci stai in mezzo più sono storie tue. Mentre il lutto prima o poi si supera, per queste persone che non sanno che fine abbia fatto un congiunto non c'è pace. Non so che darei per riportare a casa le persone che cerchiamo. Un incubo per loro pensare: l'avranno ucciso? Come? Avrà avuto bisogno di me? Chiedeva aiuto?... E' una cosa devastante.

Che rapporto hai coi parenti degli scomparsi?
Vista la delicatezza dei temi e il tempo trascorso insieme, è un po' come se diventassimo un'unica grande famiglia. Un po' come se fossimo tutti parenti. Alle volte faccio fatica in diretta a dare del lei ad alcune persone.

Che valore ha condurre questo programma?
E’ un orgoglio. E’ un programma che può davvero aiutare le persone. Ogni volta che riportiamo a casa qualcuno, che so un malato di Alzheimer che non ricorda la strada di casa, per noi è un successo. I successi sono quelli, non sono gli scoop.

Quale il maggiore insegnamento tratto da questa esperienza di Chi l’ha visto?
Il nostro programma insegna che di solidarietà ce n'è tanta ed è giusto farla crescere.

Chi l’ha visto? ti vede al timone ormai da diversi anni. Con te si è sviluppata l’idea di aprire inchieste su vicende storiche del nostro Paese.
Quando sono arrivata non si parlava più di molti casi come quello di Emanuela Orlandi. Quando proposi di parlarne, l'obiezione fu: non c'è nessuna novità, perché farlo? Io mi dissi che qualche novità poteva arrivare e continuai a perorare la causa.
Riaprire casi come quelli significa anche scavare in una ferita per la famiglia degli scomparsi.
Con gli Orlandi, come con i genitori delle altre persone che cerchiamo, c’è un bel rapporto ma anche complesso. Nel loro caso, in punta di piedi, li ho ricontattati e ho proposto di tornare sulla scomparsa di Emanuela. Natalina, la sorella, è stata con noi in studio sin dalla prima puntata. In quell'occasione arrivò la famosa telefonata: “Se volete sapere cosa è successo – si diceva -andate a scoprire chi è sepolto nella basilica di Sant'Apollinare”.
E' stato così che da quello spunto abbiamo deciso di riprendere la storia, per molti ormai sepolta. Siamo tornati a parlare di Renato De Pedis, del rapporto col Vaticano, della Banda della Magliana e di Roberto Calvi.
E' vero che ci sono delle scomparse ma in alcuni casi si tratta di omicidi e bisogna chiamarli come tali. Ovviamente, prima di dare questo taglio a un servizio, ne parlo coi genitori. Comunque al fatto che la Orlandi stia in un harem come qualcuno ha voluto far pensare non ci crede nessuno.

Ci sono ulteriori novità che vorresti apportare al programma?
Vorrei che il programma si aprisse sempre più. Abbiamo fatto speciali su Provenzano, su vicende storiche, si può fare un Chi l'ha visto? e le scorie radioattive o Chi l'ha visto? e le scuole crollate che erano piene di crepe. Insomma, attenzione a tutto quello che ci circonda.

Perché Chi l'ha visto? ha sempre avuto una così grande attenzione per i desaparecidos?
Quando parliamo di scomparsi, i desaparecidos sono l'esempio peggiore. La storia che hanno vissuto ci fa orrore e rabbia e quindi abbiamo scelto a più riprese di darne conto. Inoltre partiamo dal presupposto che i loro figli potrebbero essere anche in Italia e quindi dedicare loro una o più puntate può essere di utilità. Nella trasmissione del 22 aprile sono arrivati tantissimi messaggi per le Nonne di Piazza di Maggio, la cui portavoce era in studio, e che stanno portando avanti le loro ricerche di giovani rapiti durante il regime.
Visto che c'erano contatti con l'Italia, e visto che l'Italia è un Paese con una lingua simile allo spagnolo, è alta la possibilità che alcuni di questi ragazzi siano oggi qui. Quindi, pur essendo una battaglia che prescinde dall'Italia, possiamo dar loro una mano.
Con le nostre puntate abbiamo fatto da cassa di risonanza. Così in Italia chi ha il dubbio può mettersi in contatto con le Abuelas de Plaza de Mayo.

In studio, durante quella puntata, c'era Estela Carlotto, la presidente delle Abuelas de Plaza de Mayo.
Lei ha una storia veramente terribile. La figlia di ventitré anni una notte è stata presa e portata via. Aspettava un figlio. Hanno atteso che nascesse poi l'hanno ammazzata.
Estela è andata a parlare coi militari affinché le restituissero la figlia. Alla fine, uno le ha dato udienza col mitra a fianco dicendole che comunque avrebbero ucciso la figlia. L'unico favore che dicevano di poterle accordare era fargliela riavere cadavere. Gliel'hanno rimandata a casa in una bara. Si sono tenuti un bambino. Un bambino che potrebbe essere anche in Italia.

Una storia di questo genere voi l'avete portata in diretta.
Si tratta della vicenda di Horacio. La sua esperienza è un simbolo. Fin da piccolo ha detto di aver sempre avuto un dubbio. Non a caso quindi la mail delle Nonne di Piazza di Maggio è proprio dubbio@reteperlidentita.it.
Horacio ci ha raccontato come il dubbio gli aumentasse in occasione dei compleanni. Quando si trattava di quello della sorella, la madre raccontava sempre del parto, di quando era incinta. Al suo compleanno, invece, silenzio.
Questo è solo un piccolo esempio utile però a dire che al ragazzo era venuto in mente di poter non essere figlio delle coppia che l'aveva cresciuto. In più, appena adolescente, si era già reso conto che stava diventando altissimo mentre i presunti genitori erano entrambi di statura molto bassa.

Come arriva Horacio a scoprire la sua vera identità?
In tv vede le Abuelas de Plaza de Mayo e decide di contattarle. A metterlo sull'avviso anche una confidenza della madre adottiva alla fidanzata che, a poche ore dalla partenza per un viaggio in Brasile, si era lasciata sfuggire di dover, prima o poi, chiarire al figlio una serie di circostanze del passato. Lui stesso quindi è andato a scartabellare negli archivi dell'associazione e ha indicato senza esitazione alle Nonne quali erano i veri genitori. La somiglianza era evidente. “Non c'è bisogno di alcuna ricerca – disse - mia madre è questa: io sono uguale a lei”. Poi con l'analisi del Dna la conferma definitiva: quella era proprio sua madre.
Horacio da quel momento ha messo la sua esperienza a disposizione della battaglia.

In casa di chi era finito Horacio?
A differenza di altri, non era in una famiglia di militari del golpe. Solo persone vicine per vie traverse al regime.
Quel che è ancor più terribile è che, visto il clima politico, i bambini crescevano nell'odio della generazione cui appartenevano i veri genitori, montati contro la cultura cui facevano riferimento il padre e la madre naturali.


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