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Novembre/2009 - Articoli e Inchieste
Ambiente
I “limiti” della Terra
di Prof. Brunetto Chiarelli

Le risorse naturali usate dagli
esseri umani e dalle attività produttive
un giorno potrebbero essere insufficienti
o addirittura esaurirsi. Anche a causa
del rapido, ‘eccessivo’, aumento
della popolazione mondiale
rispetto alla disponibilità
di cibo, acqua, risorse. Consumerismo
e “carrying capacity” per l’uomo oggi


Fino al 1950 l’agricoltura mondiale era stata condotta per lo più in modo naturale, senza spargere prodotti chimici artificiali nel suolo. Dopo la Seconda Guerra mondiale si fecero sforzi per riconvertire la gran massa di sostanze chimiche prodotte o anche semplicemente programmate per scopi militari e industriali in prodotti per l’agricoltura. Dal 1960 in poi in tutto il mondo agricolo fu fatto un uso sempre più intensivo di fertilizzanti artificiali. Come risultato la produzione di cibo aumentò mediamente di 2,5 volte. Questo incremento di produttività è il risultato di un più alto assorbimento di azoto, e ha favorito la scelta di coltivazioni con un più alto rapporto fra massa della parte commestibile rispetto alla massa totale della pianta.
Questa la ragione prima per cui le terre coltivate sono state capaci di compensare il rapido incremento, anzi un raddoppio della popolazione umana.
Nel 1950 infatti la popolazione mondiale era di circa 3 miliardi, 50 anni dopo nel 2000 la popolazione umana era di oltre 6 miliardi, con una superficie agricola rimasta all’incirca la stessa. Inoltre la dieta mondiale è passata da una base principalmente vegetariana ad una con alto consumo di carne.
Attualmente la produttività agricola non è più in grado di garantire un ulteriore aumento di produttività mentre la popolazione mondiale continua a crescere. Non c’è più terra agricola disponibile. Di conseguenza la produzione agricola pro capite sta diminuendo drammaticamente.
Il più alto rapporto fra massa commestibile delle piante rispetto alla massa totale del raccolto significa disporre di un minor residuo del raccolto da destinare alla nutrizione degli animali domestici con conseguente necessità di dare loro da mangiare parte del prodotto commestibile per l’uomo (granaglie e altro). Questo ha anche indotto l’agricoltura mondiale a investire in coltivazioni selettive con conseguenze discutibili per il futuro della vita umana sul Pianeta.
Il recente aumento dei prezzi dei cereali è un indice di questo disequilibrio. All’inizio del 2006 una tonnellata di frumento costava circa 375 dollari, prezzo che è triplicato nel 2008. Nel medesimo periodo anche il prezzo del mais è praticamente raddoppiato. A parte l’aumento globale della richiesta e l’incremento nella richiesta della carne di manzo per l’alimentazione, su questo incremento di costo incide la decisione degli Stati Uniti di fornire sussidi agli agricoltori che convertono il mais e altri cereali in etanolo per miscelare con la benzina. Questa decisione creerà problemi sempre maggiori nei Paesi come l’Africa in cui la disponibilità di cereali è inferiore al fabbisogno minimo
Questa situazione di difficoltà per il secolo in corso era stata già messa in evidenza negli anni ’80 dal Club di Roma, guidato da Alberto Peccei (Campanello d’allarme per il XXI secolo, 1985, Bompiani) ma a questa posizione poco ascolto fu allora dato come ancor oggi i nostri politici poco considerano le ricerche su questi argomenti, promosse da studiosi diversi. Le ragioni di questa non considerazione sono probabilmente legate alla durata del loro potere di influenza decisionale, normalmente non superiore ai 3-4 anni, quando queste problematiche devono avere un tempo di considerazione almeno generazionale (25 anni).

Coltivazioni selettive
Coltivazioni selettive vuol dire far crescere soltanto varietà ad alto rendimento. Ciò riduce la resistenza contro i parassiti, dal momento che grandi estensioni di terreno coltivate con la stessa varietà sono facile bersaglio per i parassiti. Classico a questo proposito l’esempio della estesa introduzione della coltura della patata in Scozia nella seconda metà del ’700 e della intensa migrazione scozzese nel Nord America nella seconda metà del ’700.
Per ridurre l’infezione da parassiti si ricorre oggi a un incrementato uso di pesticidi con conseguenze diverse a livello ambientale e per la stessa salute umana.
In Cina, nel 1949, si coltivavano circa 10.000 varietà differenti di riso. Nel 1970 queste si sono ridotte a 1.000 e nel 2003 a 300. L’india aveva 30.000 tipi differenti di grano. Ora il 90% della superficie coltivata a grano è coperta da 10 varietà altamente produttive. Come risulta da un rapporto della Fao (1997) delle 700 specie di vegetali domesticate dall’uomo all’inizio della coltivazione (8-7.000 anni fa) ad oggi, quelle che forniscono il 90% del cibo del mondo di oggi sono solo una trentina. Le specie meno produttive anche se più resistenti alle avversità sono state escluse dal sistema agricolo.
La produzione mondiale media di grano era 1.000 kg per ettaro l’anno nel 1950. Dal 1970 è stata spinta fino a 5.000 kg per ettaro l’anno nel sud dell’Asia e 10.000 kg per ettaro all’anno in Europa e negli Stati Uniti.
Questa una delle ragioni per le quali la produttività agricola è stata capace di compensare il raddoppio della popolazione umana nel volgere di sole 2 generazioni (1950-2000). Ma per formulare le potenzialità produttive future è necessario analizzare, anche se in forma sintetica, il nostro fabbisogno energetico.

Fabbisogno energetico
alimentare umano
Per soddisfare le sue esigenze vitali l’uomo, come gli altri animali, deve ingerire cibo. L’unità di energia utilizzata dai dietologi è la caloria (o kilocaloria), cioè 4.200 joule di energia, sufficienti per innalzare la temperatura di un kg di acqua di 1°C.
L’energia di cui ha bisogno un adulto umano è di 2.500 calorie al giorno. Per i bambini e gli anziani ne occorrono meno, per cui, in media, si valuta siano necessarie 2.000 calorie a testa al giorno. In media nell’uomo queste 2.000 calorie provengono per il 60% da carboidrati, per il 12% da proteine e per il 28% da grassi.
Una dieta media bilanciata in kg, per un essere umano, per un anno può essere così sintetizzata: grano e cereali 150, latte 100, frutta e verdura 250, carne e pesce 25, olio 12,5 zucchero ≠2,5, frutta secca/uova 12,5.
Per ottenere questa quantità e diversità di cibo la superficie agricola per persona in mq doveva essere: grano e cereali 1000, frutta e verdura 200, olio 250, zucchero 250, frutta secca/uova 250, pascolo 1000, per un totale di 3.000 mqquesto ovviamente escludendo prodotti importanti, ma non indispensabili alla nutrizione come il caffè, il tè, il vino e le diverse spezie nonché il cotone, il lino e altri materiali per produrre tessuti o arredi domestici.
L’acqua è poi un fattore importante per la produttività agricola. Una terra ricca di materiale organico e minerali non serve a niente senza una disponibilità sufficiente di acqua. La fonte d’acqua primaria è la pioggia che cade direttamente sulla superficie dei terreni coltivati. Ma la piovosità varia con le stagioni e a seconda della localizzazione geografica. L’integrazione con l’irrigazione artificiale pertanto coadiuva la produttività agricola fino a raddoppiarla.
Potremmo comunque stimare un ammontare di 3.000 mq la superficie di terra coltivabile per sostenere la sopravvivenza di un individuo per un anno.

La carrying capacity agricola
del pianeta per la specie
Homo sapiens
La stima della capacità portante delle terre coltivate del Pianeta conduce a considerare la necessaria disponibilità di 6 miliardi di ettari per la produzione di cibo.
Questi 6 miliardi di ettari potrebbero teoricamente produrre cibo per un totale di 10-12 miliardi di esseri umani, ammesso che:
1) l’uomo sia la sola specie a utilizzare il terreno dedicato all’agricoltura, con una alimentazione quindi esclusivamente vegetariana;
2) la popolazione umana sia distribuita in modo tale che più persone vivano dove c’è più terra coltivata.
Ma l’uomo è solo una fra le innumerevoli specie di animali esistenti oggi sul Pianeta , alcune delle quali sono anche indispensabili alla medesima produzione agricola come gli insetti e gli uccelli, senza i quali non avverrebbe l’impollinazione e quindi non si avrebbero frutti.
Di tutta la produzione vegetale del pianeta oggi gli esseri umani ne consumano solo il 40%, il restante viene utilizzato dalle altre specie animali che con noi condividono l’uso del Pianeta.
Questa disponibilità di prodotti vegetali permetterebbe la sopravvivenza di 6 miliardi di persone, quale infatti è quella presente oggi sul pianeta.
Ma la popolazione umana non è distribuita in funzione della terra coltivabile. In Australia e Canada 20 milioni di persone vivono in 9 milioni di kmq, circa 2,5 persone per kmq. Nel subcontinente indiano almeno 1,2 miliardi di persone vivono in appena 4 milioni di kmq, 300 persone per kmq.
Dal momento che così non è, la sostenibilità a lungo termine della popolazione umana su questo Pianeta va dai 2 ai 4 miliardi, con una media, 3 miliardi, che era appunto la popolazione all’epoca della Seconda Guerra mondiale.
Una possibilità per mantenere la popolazione oggi presente sul Pianeta è quella di riciclare gli scarti agricoli in modo più efficiente, in modo cioè da conservare la gran parte del loro potere calorico. La necessità dei pascoli in questo modo potrebbe essere eliminata, risparmiando 1000 mq. Inoltre, utilizzando più riso che grano si potrebbe risparmiare una ulteriore superficie, dato che la produttività del riso è tre volte quella del grano, senza danneggiare il suolo. Questi due accorgimenti, insieme, possono ridurre la terra necessaria pro capite.
Da qui comunque il problema del degrado ecologico a cui oggi assistiamo con il cambio climatico, la desertificazione, la deforestizzazione dei tropici, il buco nell’ozono, il collasso delle risorse ittiche ecc. Disfunzioni ecologiche di cui noi stessi siamo responsabili.
Ma allora come operare per incrementare la carrying capacity alimentare per l’uomo sul Pianeta per mantenere i 6 miliardi di individui attualmente esistenti senza incidere in modo catastrofico sull’ecosistema del Pianeta?
Oltre a limitare l’incremento demografico magari con l’intento di tornare al numero di persone esistenti sul pianeta di 50-60 anni fa (3 miliardi di individui) quali possibilità vi sono per incrementare la produttività o comunque per riequilibrarla?

Conclusioni
Per quanto prima detto si può quindi stabilire che per la dieta media di lungo termine, occorrono 0,4 ettari pro capite di terra coltivabile. Inoltre abbiamo visto che usando il 40% di tutto il cibo prodotto al mondo si possono sostenere al massimo 6 miliardi di persone sul Pianeta. Dal momento che la popolazione umana non è distribuita secondo la disponibilità di terra coltivabile, in realtà, possono ragionevolmente sopravvivere solo 3 miliardi, pari alla popolazione dell’umanità al termine della Seconda Guerra mondiale e prima della rivoluzione verde.
Cosa accadrà alla popolazione accresciutasi esponenzialmente negli ultimi 50-60 anni? E all’impennata demografica prevista entro il 2050 di 9-10 miliardi?
L’attuale mantenimento è legato solo alla disponibilità energetica dei combustibili fossili, ma questi (a parte l’inquinamento atmosferico che crea danno alla salute umana) quanto dureranno?
Come avverrà il declino della popolazione umana?
In un mondo più povero ci si possono attendere tassi di natalità più elevati, come si osserva nei Paesi in via di sviluppo rispetto a quelli sviluppati? E’ plausibile che il declino sia conseguenza di un peggioramento dello stato di salute, con una conseguente riduzione nell’aspettativa di vita e un incremento della mortalità infantile.
Quanto questa situazione potrà essere corretta da pandemie certamente non auspicabili da pensatori equilibrati?
La riflessione sul futuro demografico dell’umanità e la sostenibilità del pianeta coinvolge sempre con maggiore intensità i demografi, gli antropologi e gli economisti, oltre ovviamente le organizzazioni internazionali come la Fao o le Nazioni Unite.
Fra gli studiosi che da anni maggiormente stanno investendo energie su queste tematiche vi è Jeremy Rifkin.
La sua tesi di recente espressa mette in evidenza che per i due miliardi di persone che oggi soffrono la fame ci sarebbero cereali sufficienti se si riducesse l’uso di questi per produrre la carne per i ricchi del mondo che consumano carne bovina, suina, pollame e altri tipi di bestiame, mentre i poveri muoiono di fame!
I popoli dei Paesi ricchi come quelli dell’Europa, del Nord America e del Giappone oggi hanno una dieta ricca di proteine in primis quella proveniente da carne bovina. Oltre il 70% del grano prodotto negli Stati Uniti è destinato oggi all’allevamento di bestiame, principalmente bovini. Ma fra gli animali domestici i bovini sono i meno efficienti convertitori di alimenti. Per fare ingrassare di un mezzo chilo un manzo da allevamento occorrono oltre 4 chili di mangime di cui oltre 2 chili e mezzo sono cereali o sottoprodotti di mangimi e il restante chilo e mezzo è fieno tritato.
Quando un manzo di allevamento è pronto per il macello, avrà consumato 1.225 kg di grano e peserà approssimativamente 475 chilogrammi. Attualmente negli Stati Uniti 155 milioni di tonnellate di cereali, legumi e proteine vegetali, potenzialmente utilizzabili dall’uomo, sono destinate alla zootecnia: è una produzione di 28 milioni di tonnellate di proteine animali che l’americano medio consuma in un anno.
In tutto il mondo la domanda di cereali per la zootecnia continua a crescere perché le multinazionali cercano di capitalizzare sulla richiesta di carne proveniente dai Paesi ricchi. Fra il 1950 e il 1985, gli anni boom dell’agricoltura, negli Stati Uniti e in Europa, due terzi dell’aumento di produzione di grano sono stati destinati all’alimentazione animale per lo più bovino.
È stata la scelta più iniqua della storia questa che coinvolge centinaia di milioni di esseri umani nel mondo. È importante tenere presente che un acro di terra coltivato a cereali produce proteine in misura cinque volte maggiore rispetto a un acro di terra destinato all’allevamento di carni; i legumi e le verdure possono produrre rispettivamente 10 e 15 volte più cibo.
Le grandi multinazionali che producono semi e prodotti chimici per l’agricoltura, allevano bestiame e controllano i mattatoi e i canali di marketing e distribuzione della carne, hanno tutto l’interesse di pubblicizzare i vantaggi del bestiame allevato a farine di cereali e di proteine animali con anche le conseguenze della pandemia da “mucca pazza” che ha afflitto gli allevatori inglesi che per fare ingrassare rapidamente i vitelli davano loro farine di carne di pecora affetta da scrapis.
Negli ultimi 50 anni la produzione mondiale di carne è quintuplicata.
Al momento sono milioni di acri di terra che nel Terzo mondo (vari Paesi dell’Africa e del Sudamerica) vengono utilizzati esclusivamente per la produzione di mangime destinato all’allevamento del bestiame in Europa e negli Stati Uniti.
Purtroppo l’80% dei bambini che nel mondo soffrono la fame vive in Paesi che di fatto generano un surplus alimentare che viene però spesso prodotto sotto forma di mangime animale e che di conseguenza viene utilizzato solo da consumatori benestanti. Al momento, uno sconcertante 36% della produzione mondiale di grano è dedicato all’allevamento del bestiame. Nelle aree in via di sviluppo, dal 1950 ad oggi, la quota-parte di grano destinata alla zootecnia è triplicata ed ora supera il 21% del totale di grano prodotto. In Cina, dal 1960 ad oggi, la percentuale di grano destinato all’allevamento del bestiame è triplicata (dall’8 al 26%). Nello stesso periodo, in Messico, la percentuale è cresciuta da 5 a 45%, in Egitto dal 3 al 31%, ed in Thailandia dall’1 al 30%.
L’ironia dell’attuale sistema di produzione è che milioni di ricchi consumatori dei Paesi industrializzati muoiono a causa di malattie legate all’abbondanza di cibo (attacchi di cuore, infarti, cancro, diabete) malattie provocate da una eccessiva e sregolata assunzione di grassi animali; mentre i poveri del Terzo mondo muoiono per denutrizione poiché viene loro negato l’accesso alla terra per la coltivazione di cereali utilizzabili per la loro alimentazione.
Attualmente il 61 per cento degli americani adulti è in sovrappeso e 300mila di essi ogni anno muoiono prematuramente. Ma contrariamente a quanto si crede, gli americani non sono i soli ad essere grassi. In Europa, oltre la metà della popolazione adulta fra i 35 e i 65 anni ha un peso superiore al normale.
Nel Regno Unito il 51% della popolazione è in sovrappeso e in Germania si registra un’eccedenza di peso nel 50% di persone. Anche nei Paesi in via di sviluppo, fra le classi più abbienti della società, il numero degli obesi va velocemente crescendo.
Il Who (World Health Organization) sostiene che la ragione principale di tutto ciò è “l’assunzione di cibi ad alto contenuto di grassi e la predilezione dell’hamburger life style. Secondo il Who, il 18% della popolazione dell’intero globo è obesa, più o meno quante sono le persone denutrite. Mentre i consumatori dei Paesi ricchi letteralmente fagocitano se stessi fino alla morte, seguendo regimi alimentari carichi di grassi animali, nel resto del mondo circa 20 milioni di persone l’anno muoiono di fame e di malattie collegate alla denutrizione.
Secondo le stime la fame cronica contribuisce al 60% delle morti infantili. Il consumo di grandi quantità di carne, specie quella di bovini nutriti a foraggio, è visto da molti come un diritto fondamentale e un modo di vita. La “società dell’hamburger” di cui fanno parte anche persone alla disperata ricerca di un pasto al giorno non viene mai sottoposta al giudizio della pubblica opinione.
I consumatori di carne dei Paesi più ricchi sono così lontani dal lato oscuro del circuito grano-carne che non sanno, né gli interessa di sapere, in che modo le loro abitudini alimentari influiscano sulle vite di altri esseri umani e sulle scelte politiche di intere nazioni.

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