La presenza nelle città dei soldati
o delle ronde, per combattere
la criminalità, non tanto fa pensare
a una guerra ma non dà
garanzia di competenze: aumenta solo
la possibilità della risposta repressiva
Già a marzo qualche comunicato stampa unitario (a Bologna Siulp, Sap, Siap-Anfp, Silp-Cgil, Ugl-Polizia di Stato, Coisp, Uilps) esprimeva riserve su gestioni del personale dell’ordine pubblico ormai orientate al controllo gerarchico e alla ricerca di quella visibilità falsamente rassicurante che tende a condizionare in senso antiriformista le stesse rappresentanze sindacali.
Ora sarebbe bene che il Paese ricordasse che una delle più importanti riforme democratiche è stata la smilitarizzazione della Polizia italiana che, arrivata agli anni Ottanta del secolo scorso in condizioni di arretratezza, ha potuto sviluppare risorse interne di capacità e realizzare apparati più validi quantitativamente solo in virtù della democratizzazione di un Comparto lavorativo particolarmente importante per la vita di tutti.
Trent’anni fa il poliziotto, ancor peggio pagato di oggi, valeva socialmente solo perché incuteva timore. Questo ambiguo potere favoriva, da un lato, i comportamenti arbitrati di chi aveva problemi di personalità e, dall’altro, la radicalizzazione dei sospetti più ancora che nei malavitosi, nelle parti più critiche e reattive della società. Oggi il sistema non sarà perfetto, ma il livello di responsabilità di donne e uomini che compongono la Polizia di Stato è del tutto inconfrontabile con il passato.
E difficilmente si potrà tornare indietro. Ricordo come perfino parte delle rappresentanze dei Carabinieri fosse interessata alla nuova configurazione della Polizia e alimentasse qualche aspirazione a riforme che, pur senza arrivare alla sindacalizzazione, dessero maggiori responsabilità a chi, per antica definizione, è “uso a obbedir tacendo”. Purtroppo la scelta del governo D’Alema di fare dell’Arma la Quarta componente dell’Esercito inibisce qualunque innovazione.
Tuttavia la società civile mantiene se non diffidenza, scarso interesse a controllare il corretto funzionamento degli organi preposti alla propria “sicurezza”. Fa male, anzi malissimo, perché proprio un settore di tanta importanza ha bisogno di reciprocità nel riconoscimento e i cittadini non dovrebbero solo ricorrere al 113 per i casi di emergenza. Anche i giovani movimentisti - che sospettano sempre il manganello e gli idranti anche quando i poliziotti non sono in assetto di guerra - farebbero bene a porsi delle domande politiche. Infatti, sia con la voglia di ordine dei pavidi, sia con il sospetto dei libertari si alimenta un’ignoranza dei propri diritti che può essere dannosa a tutti. Lo dimostra la passività con cui cittadini e governo tollerano l’irresponsabilità dei club della tifoseria ormai delinquenziale.
Per questo la situazione attuale è di per sé preoccupante, perché anche in chi prende atto che la criminalità “comune” è statisticamente meno rilevante rispetto a qualche anno fa, mentre quella che fa paura è soprattutto quella mafiosa o quella fiscale, la microcriminalità ad opera di persone in condizioni di irregolarità produce alto allarme sociale. Anche in Gran Bretagna l’aumento della violenza e, in particolare, del teppismo giovanile, ha indotto all’irrigidimento nell’azione repressiva e sembrano lontani i tempi in cui il bob girava armato di solo sfollagente. Altri tempi - si dirà - e altra delinquenza: ma una qualche attenzione si dovrà pur dare a non confondere le cause con i mezzi.
In sostanza non è in grado di vedere senza paraocchi la situazione per quello che è. I ladri ci sono sempre stati, ma la gente non si chiudeva in casa (anche perché aveva meno da perdere). Invece sembrano evidenti i segni di nostalgie per forme autoritarie anche nel controllo dell’ordine pubblico. La questione è sempre cercare di capire; per esempio, perché improvvisamente sta bene a tutti che le piazze principali delle città siano sottratte alle occasioni pubbliche? Per evitare di vedere i musulmani inginocchiati nella loro preghiera, oltraggiosa secondo alcuni, davanti alle cattedrali di solito edificate nelle piazze? Oppure per prevenire le proteste autunnali dei nuovi licenziati, più facilmente controllabili nei cortei lungo le strade che non nei grandi assembramenti? C’è qualcuno che si chiede dove se ne sta andando la polis ?
Ci sono anche altri fatti da mettere in conto. Nel 2007 i poliziotti delle diverse sigle sindacali avevano manifestato come categoria per rivendicare maggior giustizia retributiva e avevano ottenuto una qualche risposta positiva dal governo (Prodi). Oggi sono di nuovo in difficoltà. Il governo (Berlusconi) ha tecnicamente erogato i finanziamenti concessi dal precedente governo, assumendoli come propri. In realtà la situazione resta preoccupante, perché i miglioramenti ottenuti dal Cartello sindacale della manifestazione del 2007, non solo non riguardano tutti i lavoratori, ma - nonostante le rassicurazioni - lasciano aperto il problema delle risorse per rendere operativi gli organici. Come per la Pubblica Istruzione, così anche per gli Interni, i “tagli” rispondono agli indirizzi del ministero delle Finanze piuttosto che al buon funzionamento dello Stato.
Impressiona la pervicacia con cui il governo ha mantenuto la proposta delle “ronde”, la cui funzione vorrebbe riandare alle antiche “pattuglie cittadine” degli inizi del secolo scorso, la cui buona volontà si esaurì al sorgere delle “squadracce” del sorgente fascismo. Oggi è solo un “fai da te” pericoloso per la disponibilità ideologica di quelli che - privi di professionalità - desiderano “difendere le nostre donne”, pronti a fare a botte o a chiamare la Polizia, come dovrebbe fare ogni cittadino senza sentirsi “rondista”.
In aggiunta si è fatto ricorso, ormai non una sola volta, ai militari, senza proteste da parte delle forze politiche e dei cittadini, ignari (questi ultimi) della differenza fondamentale che separa la professionalità dell’Esercito da quella della Polizia. La presenza dei soldati non tanto fa pensare alla guerra, quanto non dà garanzia di competenza. Proprio nel nostro tempo, fattosi così complesso, per contrastare il crimine c’è bisogno di capacità specifiche e la politica della lesina non favorisce la formazione qualificata di nessuno dei due campi. Aumenta soltanto la possibilità della risposta repressiva. Di cui la società civile di un Paese democratico non ha assolutamente bisogno.
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