La polemica non è nuova, ma questa volta a riaccenderla è l’illustre Foodstandardsagency Fsa, l’organismo governativo britannico incaricato di tutelare la sicurezza alimentare, con le conclusioni di un’indagine condotta su 162 studi degli ultimi cinquant’anni dai ricercatori della London School of Hygiene & Tropical Medicine: i contenuti nutritivi dei prodotti biologici e di quelli convenzionali sarebbero esattamente gli stessi. Vale a dire che mangiare tutti gli alimenti che provengono da metodi agricoli e di allevamento naturali, e quelli che invece fanno uso di pesticidi e diserbanti di sintesi hanno un valore nutrizionale eguale, stessa percentuale di vitamine, proteine, carboidrati, lipidi, sali minerali. “Non vi sono al momento prove scientifiche per dire che un’alimentazione a base di cibi ‘naturali’ sia più salutare di una dieta a base di prodotti organici”, sentenziano gli autori della ricerca.
Ricordiamo che un altro duro attacco al Bio era venuto, cinque anni fa, dal ministero della Salute di Londra, con una dichiarazione basata su un rapporto della Manchester business School: “Coltivare un pomodoro bio richiede da due a nove volte più energia di quanta ne occorra per farne crescere uno convenzionale. Un pollo allevato a terra costa il 25% in più del suo simile cresciuto in batteria, e produce per via metabolica il doppio dell’anidride carbonica”. Non sarà che del buco dell’ozono sono responsabili i ruspanti?
Naturalmente la reazione dei difensori del Bio è stata immediata. “E’ una ricerca limitata e un po’ miope - afferma Federico Bertazzo, figura di punta di Greenplanet - E’ provato che i pesticidi provocano serie conseguenze a lungo termine come l’Alzheimer, e nel breve sono dannosi per i bambini. Di più i danni ambientali di agricoltura e allevamento convenzionali non sono quantificabili nutrizionalmente. E non vengono quindi calcolati nello studio della Fsa”. “Mi sembra impossibile che non ci siano differenze - rincara Ignazio Garrau, direttore di Città del bio, e rappresentante in Piemonte dell’Associazione italiana Agricoltura biologica - Tutte le ricerche serie assicurano che la qualità convenzionale dei cibi convenzionali di oggi non è più la stessa di vent’anni fa. L’industria li ha depauperati”. E l’imprenditore Fabio Brescacin, di Ecor NaturaSì, che in Italia ha 66 punti vendita biologici, aggiunge: “La scienza un giorno dice una cosa e il giorno dopo sostiene l’opposto. La realtà racconta un’altra storia. Chi comincia a mangiare prodotti bio non torna più indietro, studi o non studi. Si accorge a livello organolettico della differenza abissale con l’alimentazione convenzionale”.
Ma allora a che sono dovuti questi periodici attacchi all’agricoltura naturale, lo scetticismo che alcuni manifestano sul reale primato qualitativo dei suoi prodotti. Ovvio, rispondono i più sospettosi, si tratta, per un verso o per l’altro, di operazioni suggerite (per non dire di più) dalle lobby delle grandi industrie alimentari. Quei colossi che manovrano globalmente il settore alimentare, dalla produzione alla distribuzione, e sono interessati unicamente alla quantità, evitando per quanto possibile di specificare in che modo sono ottenuti i loro prodotti. Insomma, nei loro confronti il biologico si troverebbe nelle condizioni, anche dal punto di vista etico, di David contro Golia.
Se le cose stanno così va detto che anche il Bio-David non si presenta del tutto scarso di mezzi. Il biologico ha in tutto il mondo un giro d’affari annuo di 50 miliardi di euro. In Europa è di 14 miliardi, e l’Ue usa particolare cautela nell’attribuire il suo molto ambito marchio “da agricoltura biologica”. L’Italia - che in Europa è al secondo posto come produttore - ha un mercato bio di 1,65 miliardi di euro, con cinquantamila aziende e oltre un milione di ettari riservati alla coltivazione e all’allevamento con metodi naturali. E Ignazio Garrau sostiene l’esigenza di riportare nel nostro Paese l’agricoltura al centro dell’economia : “E visto che quella convenzionale, con i prezzi a questi livelli, non garantisce più reddito alle imprese, dobbiamo lavorare sulla qualità, cioè il biologico, e sul legame antico con il territorio”.
Certo, anche per i più convinti sostenitori del biologico resta un neo: il prezzo. I prodotti naturali costano di più di quelli convenzionali, a volte il doppio. E questo per forza di cose. La resa della produzione è quantitativamente minore, e la rete distributiva dato il volume ridotto di merce risulta più cara. “In ogni caso commenta Brescacin negli ultimi anni i nostri prezzi si sono allineati verso il basso, ma comunque non sarà mai possibile far pagare un prodotto bio come uno convenzionale”.
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