I fumetti sono un fenomeno comune in tutto il mondo, sembrano esistere in tutte le lingue e le culture. Le loro storie possono spaziare dal visionario e il fantastico fino al reportage giornalistico e alla biografia storica. Rimangono, comunque, di facile lettura.
Molti fumetti sono come Asterix e Dylan Dog, o come i manga (termine giapponese che indica i fumetti in generale. In Giappone i fumetti hanno un ruolo culturale ed economico rilevante, e sono considerati un mezzo artistico ed espressivo non meno degno della letteratura, del cinema o di altri mass media), avventure a puntate per i giovani che li seguono tutti i mesi. Altri, invece, sono pezzi unici, Graphic novel, opere che iniziano e finiscono nello stesso albo, veri e propri racconti per immagini. Questi affrontano ogni tipo di argomento, per esempio Maus di Art Spiegelman, vero e proprio capolavoro in cui si affronta lo scomodo e scabroso tema dell’olocausto. Comunque qualsiasi fumetto, se fatto bene, regala un approccio diretto, combinando in modo coinvolgente immagini e parole, lo spiega bene Edward W. Said. “Da un canto sembrava incontestabilmente verosimile e dall’altro meravigliosamente tangibile, vivida e familiare. I fumetti nel loro implacabile portare in primo piano (molto di più, diciamo, dei cartoni animati o delle vignette umoristiche) sembravano dire qualcosa che non poteva essere detto diversamente, forse ciò che non era permesso dire o immaginare, sconfiggendo i normali procedimenti del pensiero”.
Queste parole sono state pensate e scritte per tutti i fumetti, ma sono apparse nell’introduzione di Palestina di Joe Sacco. Il Graphic novel in questione racconta i perdenti della storia, niente buoni contro cattivi, niente supereroi che sconfiggono i criminali di turno, no niente del genere. Sacco, con grande intelligenza, diffida della militanza, in particolare di quella collettiva. E non si cimenta nemmeno in improbabili soluzioni, si limita a raccontare ciò che vede, fa del giornalismo a fumetti, e questo è forse il maggiore dei suoi meriti.
Il Graphic novel è sicuramente un fenomeno internazionale e in continua ascesa, e in Italia? Da qualche anno Gipi (all'anagrafe Gian Alfonso Pacinotti) sembra essersi dimostrato un artista maturo e di grande creatività. Le sue forme espressive oggi possono vantare una vitalità comparabile con quella del fumetto d’autore (e dell’illustrazione) internazionale. Gipi ha il merito di presentarci dei personaggi, in genere giovani, che differiscono dai modelli televisivi per la presenza di svariati caratteri e personalità. Nei suoi lavori, inoltre, ritroviamo costante l’attenzione per i temi ambientali.
Certo prima di Gipi c’è il maestro Dino Buzzati. Il suo rapporto con i fumetti è stato quasi naturale, istintivo. Privo di snobismo e superficialità, i fumetti per lui erano una perfetta sintesi delle forme d’arte che mitigano la noia.
Ma perché ho citato Dino Buzzati? Lui, con Poema a fumetti, è il vero precursore (almeno in Italia) del Graphic novel e della contaminazione dei generi. Tema centrale della sua opera è la rivisitazione di un grande mito epico: Orfeo e Euridice, attraverso l'uso dei versi di numerosi e differenti autori e i disegni dello stesso Buzzati; utilizzando il nudo, la pop-art e le autocitazioni. L'incontro tra Buzzati e il fumetto non è stato casuale: la sua vocazione al fantastico è del tutto simile alla vocazione al fantastico che attraversa da sempre le storie a fumetti: dai primordi di Tex, fino ai supereroi con superproblemi della Marvel (detta anche “La Casa delle Idee”, è uno dei più importanti editori di fumetti del mondo. Tra i suoi personaggi di punta ci sono l'Uomo Ragno, i Fantastici Quattro, Iron Man, Hulk e gli X-men. La Marvel Comics è controllata dalla Marvel Entertainment, quest'ultima nel 2009 è stata acquisita dalla Disney per quattro miliardi di dollari), al moralismo alla rovescia degli eroi del noir e delle pin up anni '70-'80. Tutto questo elenco di classici dei fumetti è servito sia per raccontare una mostra (la recensione della mostra “Il disegno del mondo” la troverete in “Letteratura disegnata parte seconda”), sia per presentare questo nuovo genere. In fondo come scrive John Berger (scrittore, giornalista, critico d’arte e disegnatore) in un recente articolo per The Irish Times. “Noi che disegniamo non lo facciamo solo per rendere visibile qualcosa agli altri, ma anche per accompagnare qualcosa di invisibile alla sua incalcolabile destinazione”.
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