“Non esiste una resistenza all’estero. Chi resiste
sono gli iraniani che vivono in Iran, ma non
bisogna credere che il nemico
sia la repubblica islamica. Paradossalmente
sono in pochi a desiderare il collasso
dello Stato e delle Istituzioni”
Nicola Pedde è la persona a cui chiedere nel caso si volesse capire qualche cosa di Iran. Professore di Relazioni Internazionali, direttore della rivista accademica “Geopolitics of the Middle East”, edita dall’Università di Roma e direttore dell’Institute for Global Studies, think tank indipendente specializzato sul Medio Oriente e sul Corno d’Africa; si occupa da tantissimi anni di Iran dedicandosi allo studio del sistema politico locale e della sua classe dirigente e lì trascorre una significativa parte del suo tempo. Nicola Pedde non uno studioso da biblioteca ma una persona che vive in prima linea le sue conoscenze, che sperimenta e verifica costantemente, è da molti anni responsabile di ricerca per il Golfo Persico presso il Centro Alti Studi della Difesa, dove anche insegna e tiene seminari di alta formazione per militari italiani e stranieri. È autore di numerosi libri, tra cui i recenti “Iran 1979: la rivoluzione islamica”, “Soldati italiani in terre straniere”, “Geopolitica dell’Energia” e “Pasdaran” di prossima pubblicazione.
Ci furono forze straniere che parteggiarono per la vittoria dei religiosi in Iran?
Gli iraniani sono culturalmente schiavi del “cospirazionismo”, ogni volta che accade qualcosa è sempre per intervento di una mano straniera. Ed il prototipo del cattivo, del subdolo e del manipolatore è l’inglese.
È chiaro che anche nella rivoluzione c’è chi ha visto la mano degli stranieri come sostenitori dell’una e dell’altra parte. La realtà, a mio avviso, è di ben più modesta entità. Gli americani erano in Iran per spiare i sovietici lungo il confine a nord, e quando arrivò la rivoluzione se ne accorsero quando praticamente era finita. I francesi sono apertamente filo-arabi, e quindi hanno sempre sostenuto gli oppositori del governo di Tehran. Prima ospitando Khomeini (sebbene per poco), poi i Mojaheddin-e Kalq, un gruppetto di ex islamico-marxisti oppositori della Repubblica Islamica, man mano trasformatisi in una vera e propria setta, caratterizzata dal culto della personalità per la coppia che li comanda, Masoud e Maryam Rajavi. I russi hanno sempre usato l’Iran in chiave anti-americana, senza alcun interesse o simpatia reale per l’Iran. Del tutto ricambiati a livello popolare. Gli arabi confinanti hanno sempre temuto ed osteggiato l’Iran, finanziando chiunque lo osteggiasse. Gli altri sono attori marginali.
Credo che il contributo straniero sia stato minimo o nullo. Il mondo ha dovuto invece fronteggiare gli esiti di una rivoluzione imprevista e caratterizzata subito dopo da una resa dei conti assai violenta tra le sue principali “anime”. Ne vinse una sola, e tutte le altre accusarono gli stranieri di cospirazione quando questi ripresero gradualmente le relazioni diplomatiche con l’Iran.
Su 100 rivoluzionari (ipotetico) quanti erano pro-Khomeini e quanti di quei 100, attualmente sono pro-regime?
In teoria 100, dato che la rivoluzione venne fatta in suo nome. In realtà nessuno, dato che Khomeini fu un’icona. La rivoluzione fu popolare e massicciamente compatta nel voler detronizzare lo Scià, ma altrettanto intensa fu la richiesta di democrazia e libertà, che nulla aveva a che fare con i rigori che seguirono il primo impeto rivoluzionario.
Chi radicalizzò lo scontro dopo la rivoluzione, cercando di prevalere sugli altri, furono i gruppi estremisti. Sia religiosi che politici. Vinsero i religiosi, e gli altri accusarono i vincitori di aver fatto un golpe. In realtà la gente non voleva né i radicali religiosi, né gli estremisti marxisti od islamico-marxisti.
Poi arrivò la guerra con l’Iraq, che assorbì ogni energia interna al Paese e consolidò la Repubblica Islamica.
Mousavi rappresenta il nuovo che avanza o è solo il regime che si autoreplica?
Mousavi è un politico brillante e coraggioso. Non è certamente un riformista, e politicamente è ascrivibile all’area dei conservatori. Sebbene moderato e capace di grandi trasformazioni e profonda autocritica. Non vuole certo abbattere la Repubblica Islamica, ma la vorrebbe adeguare ai tempi attraverso processi di mutazione graduali e rispettosi di quella identità nazionale che, vero o falso che sia, è stata conquistata con la rivoluzione e difesa in otto anni di guerra con l’Iraq. Guerra spaventosamente sanguinosa e dolorosa che gli iraniani sentono – a ragione – come imposta dall’Occidente.
Mousavi non è il nuovo che avanza, e non è il regime che si auto replica. Per quanto possa far inorridire i detrattori della Repubblica Islamica, Mousavi è il prodotto di un contesto politico e sociale particolarmente sviluppato e vibrante, che attraverso la sue scelte è capace nel tempo di porre rimedio ai propri errori e rendersi artefice del proprio destino. Come la rivoluzione prima, e la protesta oggi, ci insegnano.
Chi rappresenta la resistenza al regime iraniano in Iran e all'estero?
Non esiste una resistenza. Chi resiste sono gli iraniani che vivono in Iran, ma non bisogna credere che il nemico sia la Repubblica Islamica. Paradossalmente sono in pochi a desiderare il collasso dello Stato e delle Istituzioni, che costituisce il presupposto della stabilità personale della gran parte degli iraniani. In molti domandano riforme, anche sostanziali, ma pochi vorrebbero vedere un crollo delle Istituzioni sotto la spinta di una nuova rivoluzione o di una invasione straniera. L’esperienza dell’Iraq ha profondamente turbato gli iraniani.
All’estero l’opposizione è pressoché inesistente. Ci sono i Mojaheddin-e Kalq, che un tempo furono una popolare forza islamico-marxista ed oggi sono invece una vera e propria setta dedita al culto della personalità della coppia che li comanda, Massoud e Maryam Rajavi. In Iran la popolazione li considera dei terroristi (e sono iscritti nella lista delle organizzazioni terroristiche anche negli Stati Uniti) a causa dei tanti fatti di sangue che li hanno interessati, mentre in Europa – dove si presentano come “Resistenza” – riescono ad avere qualche credito grazie ad una costellazione di associazioni ed enti fittizi caratterizzati dal voler promuovere democrazia e libertà. Attaccano ed accusano di spionaggio a favore di Tehran ,chiunque proponga di dialogare con l’Iran, inondando il web con informazioni faziose e stereotipate.
Poi ci sono i monarchici, ormai ridotti ad uno sparuto numero di nostalgici senza alcuna speranza politica e soprattutto legati solo dal ricordo “del bel tempo che fu”. Si raccolgono malvolentieri intorno al figlio dell’ex Scià, che tuttavia non ha alcuna capacità politica e carisma, e quindi vedrebbero di buon occhio un ruolo per l’ex imperatrice Farah Diba, ben più popolare e capace. Che tuttavia sembra non volerne più sapere dell’Iran e soprattutto degli iraniani. Il resto sono gruppi minori ed insignificanti, senza alcun seguito o capacità di attrazione popolare.
La realtà è che gli iraniani sono politicamente disaffezionati e disillusi, e non credono ad alcuna delle alternative presenti.
Gli iraniani sono stanchi della teocrazia?
Si. La teocrazia è largamente invisa e sempre più mal sopportata. Ma questo non deve far credere che una rivoluzione sia dietro l’angolo o anche solo possibile. Gli iraniani vogliono difendere ciò che hanno, trasformando il Paese progressivamente in un sistema più democratico, più libero e più giusto. Ma prima della libertà e della democrazia desiderano stabilità, occupazione, lavoro. Non bisogna confondere i desideri degli Occidentali o della diaspora iraniana con quelli degli iraniani.
Succederà qualcosa in Iran nei prossimi anni? Ci sarà una nuova rivoluzione o un cambiamento interno? E chi lo guiderà?
È già in atto un cambiamento, da tempo. Lo scontro è oggi tra due generazioni diverse del sistema politico, e prevarrà la più giovane senza dubbio nel medio o nel lungo periodo. È una questione di naturale transizione generazionale. Che questo significhi un cambiamento gradito agli occidentali è invece un’altra cosa.
Personalmente vedo difficile, molto difficile una nuova rivoluzione. Mentre vedo impossibile un ruolo per quelle sparute forze che all’estero cercano di conquistarsi un ruolo ed uno spazio nel dibattito sull’Iran. Il cambiamento avverrà dall’interno, attraverso i protagonisti della vita politica e della società iraniana.
Quando? In sedici anni che mi occupo di Iran ho imparato una sola cosa: mai fare previsioni!
FOTO: Nicola Pedde
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