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Agosto-Settembre/2009 - Articoli e Inchieste
Bullismo/2
Che fare?
di Marco Cannavicci - Psichiatra - Criminologo

La prevenzione della mentalità
della violenza e della prevaricazione
e la promozione del rispetto
devono essere intese anzitutto
come scelta di un dialogo interpersonale
che crei e sviluppi
comprensione e fiducia


I tentativi di prevenzione dei fenomeni del bullismo, dell'aggressività e della violenza sia fisica che verbale fino ad ora messi in atto all’interno del mondo della scuola, puntano a prevenire direttamente l'azione offensiva e violenta del bullo. L’obiettivo di una auspicata nuova impostazione sarebbe quella di cercare di cambiare il comportamento dell'aggressore e della vittima dall'esterno, insegnando loro delle competenze relazioni ed abilità interpersonali nuove, nell'idea che la crescita e la formazione personale dei minori sia la soluzione giusta.
Queste azioni formative cercano di favorire genericamente le relazioni e la comunicazione all’interno della classe, per giungere ad educare al rispetto per l'altro. E’ possibile definire questi tentativi come prevenzione educativa del bullismo. Tuttavia una disamina degli studi derivati dall’applicazione di questi tentativi finora effettuati presenta in sintesi le seguenti caratteristiche:
a) il bullismo è considerato prevalentemente un problema dei bambini e del gruppo dei pari;
b) centrale è la formazione della persona e l'adulto è visto come la persona più adatta per assolvere a questo compito;
c) le modalità in cui le relazioni e la comunicazione all’interno della classe è l’elemento base per la crescita e la formazione delle competenze relazionali e sociali di tutta la classe.
Questo approccio tuttavia non prende adeguatamente in considerazione il ruolo giocato dagli adulti e dalla comunicazione nella costruzione della mentalità della violenza e della prevaricazione che genera a sua volta il fenomeno del bullismo.
In particolare, la prevenzione della violenza nelle scuole deve essere intesa come un cambiamento di quella mentalità ed impostazione interpersonale e relazionale che rende probabile la violenza e l'offesa. Per pensare alla prevenzione delle azioni offensive e violente, occorre capire il modo in cui gli adulti partecipano e prendono parte alla creazione della mentalità della violenza e della prevaricazione.
Le ricerche hanno finora mostrato da un lato come sia difficile prevenire l’affermarsi della mentalità della violenza e della prevaricazione, dal momento che le relazioni costruite in ambito scolastico sono prevalentemente competitive e normative, mentre dall'altro evidenziano come sia difficile promuovere una mentalità del rispetto in una società che fatica a definire, a discutere e a riflettere concretamente sul rispetto sociale ed interpersonale.
Gli adulti, siano essi genitori od insegnanti, cercano di imporre il rispetto dell’altro come valore astratto e di principio, impedendo ai minori di costruire in autonomia il suo significato: gli insegnanti si rifugiano spesso in un intervento normativo (come l’educazione al rispetto delle regole), osservando l'inefficacia della semplice affettività e del dialogo nel sistema educativo.
Tuttavia, proprio dal dialogo, dall’interazione e dall’empatia che ne deriva (dato da fattori quali le pari opportunità di espressione, ascolto attivo, comprensione, asserzioni in prima persona, apprezzamento e valorizzazione, verifica delle emozioni altrui, fiducia nell'espressione altrui, feedback sull'azione...) nasce il rispetto per la persona unica, specifica ed autonoma.
La prevenzione della mentalità della violenza e della prevaricazione e la promozione del rispetto devono quindi essere intese anzitutto come promozione del dialogo. E’ il dialogo interpersonale che crea le condizioni per lo sviluppo della reciproca comprensione e fiducia.
La formazione alla socializzazione, al dialogo e al rispetto per la persona può essere, in ambito scolastico, perseguita in due modi:
a - attraverso un cambiamento a livello delle forme della comunicazione tra adulti (insegnanti, docenti, genitori) e minori: l'insegnante in particolare dovrebbe, nella comunicazione, combinare rispetto ed autonomia per il suo interlocutore, anche se minore. Deve porsi come un positivo modello da imitare e su cui plasmare il proprio stile comunicativo ed interpersonale;
b - attraverso interventi educativi di promozione della gestione dei conflitti (che possono se non superati degenerare in violenza) attraverso il dialogo ed il colloquio. L'adulto, genitore od insegnante, si presenta come un modello in grado di comunicare le proprie opinioni e i propri sentimenti considerando l'interlocutore come persona degna di essere ascoltata, rispettata, valorizzata.
Approfondendo quindi il tema dell’intervento preventivo e repressivo di antibullismo, si può affermare che l’approccio tradizionale si basa su modelli e strategie classiche soprattutto di tipo reattivo e riparativo, più che preventivo. I modelli e le strategie sono elaborate da esperti esterni e gli insegnanti tentano di applicarle nei rispettivi contesti. Il ruolo adulto, nell’approccio tradizionale al “bullismo”, è quindi soprattutto quello di contrastare e (più difficilmente) di prevenire il fenomeno. Lo sviluppo della consapevolezza del problema della violenza a scuola e dei suoi effetti è ritenuta centrale anche per i minori.
Si possono distinguere interventi preventivi o riparativi da effettuare sui singoli individui ed interventi preventivi che seguono un approccio sistemico su tutto l’ambito scolastico.
A - gli interventi individuali riparativi puntano a cambiare il comportamento del bullo e a sostenere psicologicamente la vittima, partendo dal presupposto che bullo e vittima siano entrambi carenti di abilità sociali ed affettive (come ad esempio l’impegno personale, l’empatia, la collaborazione, il senso di responsabilità) e che il problema sia soprattutto di ordine individuale, per cui occorra sia proteggere la vittima che educare il bullo. La vittima deve essere tutelata e promossa nell’autonomia delle capacità di difendersi, mentre il bullo deve essere fermato e educato sul senso del rispetto delle regole non imposte, ma condivise. Dal lato invece della prevenzione, ritenendo che durante lo sviluppo individuale alcuni eventi fungano da fattori di rischio ed altri da fattori di protezione, si punta ad intervenire potenziando le competenze sociali e le abilità personali considerate protettive rispetto al fenomeno.
In linea generale, l’intervento effettuato sul singolo individuo ha più spesso seguito due tipologie di modelli:
- lo sviluppo di una nuova formazione della personalità del bullo e della vittima (come lo sviluppo di social skills training, life-skills training, training dell’assertività, educazione al rispetto delle regole e della persona);
- lo sviluppo di una attività di sostegno e di counselling (come la relazione d’aiuto) sia con il bullo che la vittima.
A queste tipologie di intervento va aggiunto poi anche l’intervento prettamente di tipo sanzionatorio e repressivo che tende all’estinzione del comportamento attraverso le punizioni.
B – per quanto riguarda gli interventi di tipo sistemico, è possibile affermare tuttavia che sempre più si sono prodotti interventi di tipo sistemico su tutto l’ambito scolastico. Interventi che puntano a cambiare i comportamenti dei bambini-target (sia il bullo che la vittima) a partire dal cambiamento del clima relazionale del sistema scolastico complessivo (sebbene sono soprattutto le relazioni tra bambini, non tra bambini e insegnanti a generare il clima scolastico), agendo a diversi livelli:
- educazione socio-affettiva rivolta alla classe (ad esempio per aumentare l’empatia nei confronti delle vittime, il rispetto nei confronti dell’altro…), mediante attività quali il circle-time ed il brainstorming, al fine di sensibilizzare al bullismo, stimolare una discussione e una riflessione;
- attività didattiche ed esercizi antibullismo, attraverso filmati o narrazioni (facendo ad esempio immaginare finali alternativi), rappresentazioni teatrali e role-playing;
- circoli qualità e attività di sostegno dei pari per coinvolgere e responsabilizzare gli alunni nell’individuazione di soluzioni pratiche ai conflitti e nel sostegno emotivo alle vittime;
- sensibilizzazione degli adulti della scuola e dei genitori, attraverso incontri e colloqui;
- supervisione e controllo da parte del personale scolastico soprattutto nei luoghi a rischio.
Queste tendenze preventive e repressive sono confermate nella loro efficacia anche da una ricognizione del contesto internazionale, dove le azioni di contrasto o preventive possono essere suddivise in:
- interventi a livello di comunità: coinvolgimento della scuola, e soprattutto delle famiglie, attraverso interventi specifici, partendo dall’assunto che lo stile educativo familiare è un possibile fattore di predizione dei successivi disturbi del comportamento;
- politica scolastica contro le prepotenze: consultazione nella scuola sul problema e attivazione di percorsi di intervento a livello di istituto, classe, singoli;
- interventi a livello di gruppo-classe: approccio curricolare: contenuti legati al bullismo (potere, oppressione, violenza, pregiudizio, conflitto) e attività varie (stimoli letterari, role-playing, drammatizzazione teatrale, problem-solving); promozione di un ethos di rispetto: promozione delle regole di convivenza scolastica, create dall’adulto che deve porre chiari limiti al comportamento del bambino anche attraverso sanzioni, oppure promozione della partecipazione dei bambini alla definizione delle regole; potenziamento delle abilità sociali (empatia, comunicazione emotiva) attraverso attività varie (stimoli letterari, role-playing, drammatizzazione teatrale, problem-solving); potenziamento dei comportamenti cooperativi tra bambini (lavori di gruppo con obiettivo comune, es. risoluzione di problemi, come nei circoli qualità); peer support: potenziamento delle capacità dei ragazzi di consolare e offrire sostegno alle vittime attraverso training iniziali; peer mediation: i bambini sono trattati come attori sociali competenti, al pari degli adulti, nell’affrontare situazioni di gestione del conflitto e nell’assumersi responsabilità personali e sociali: ci si aspetta che agiscano come mediatori dopo un’attenta e prolungata formazione da parte degli adulti;
- interventi a livello individuale sul bullo: approccio sulla morale e sulla riflessione; approccio sul rispetto delle regole e gestione delle sanzioni; approccio umanistico, basato sul desiderio dell’adulto di capire il bullo come persona (approccio che deve essere condotto senza accusa, con il metodo dell’interesse condiviso, fino al percorso terapeutico);
- interventi di supporto alla vittima: come ad esempio il telefono-amico; oppure le attività di counselling.
(cannaviccvi@iol.it)


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Consigli pseudo-educativi
contro il bullismo

Quando qualcuno fa il prepotente con te e ti fa stare male, ti potresti accorgere che alcuni tuoi comportamenti o stati d’animo non sono più come prima, per esempio:
- Ti senti insoddisfatto di te stesso
- Ti senti giù di corda o molto triste
- Fai fatica a dormire
- Non hai voglia di uscire
- Non mangi nello stesso modo di prima, mangi troppo o troppo poco
- Ti senti male come quando hai la nausea
- Hai mal di testa
- Hai mal di stomaco
- Non vuoi più andare a scuola o fare le cose che facevi prima

Cosa puoi fare se sei vittima di bullismo

Essere in questa situazione può farti sentire molto triste, spaventato e impotente. Fare qualcosa può sembrarti difficile, ma ci sono alcuni modi utili per affrontare qualcuno che fa il prepotente con te:
- Cerca di farti vedere calmo e tranquillo, anche se hai paura. Prova a fare in modo che chi fa il bullo non capisca che te la prendi perché è proprio quello che vuole
- Non sentirti costretto a fare cose che non vuoi fare
- Prova ad ignorare quello che ti dice e a pensare, invece, a qualcosa di positivo su di te
- Cerca di capire quando è meglio andare via, allontanandoti dalla situazione
- Se ti senti un po’ solo cerca di farti nuovi amici, sono sempre una risorsa importante
- Racconta a qualcuno di cui ti fidi quello che sta succedendo (un insegnante, un amico più grande di te, i tuoi genitori).
- Spiega chiaramente che la situazione ti crea dei problemi e che per te è importante che venga fatto qualcosa.
- Continua a parlare di quello che accade finché non viene raggiunto questo risultato
- Non avere paura di dire a qualcuno quello che succede, non è colpa tua! Parlare con chi ti può aiutare è il modo migliore per risolvere la situazione
- Non pensare che dicendolo a qualcuno andrai incontro a problemi peggiori, se chiedi aiuto allora non sei più da solo e potete pensare insieme a come risolvere questo problema
- Nessuno ha il diritto di fare il prepotente con te, se qualcuno dà fastidio a te o a qualcuno cui vuoi bene ti senti dispiaciuto e a disagio, hai tutte le ragioni per dirlo a qualcuno
- Non accettare che qualcuno sia aggressivo con te! Può non essere facile fermare questo comportamento, ma è possibile!
(da: www.educazione-emotiva.it)
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Glossario dei termini tecnici

Social skills training - per Percorsi di Social Skills Training si intendono dei percorsi, esclusivamente individuali ed applicabili in caso di progetti terapeutico - riabilitativi con soggetti portatori di handicap fisico e/o psichico, finalizzati all'addestramento al recupero di abilità sociali perse o deteriorate dalla presenza di una patologia conclamata;

- life skills training - il life skills training ha l’obiettivo di fornire le abilità necessarie per resistere alle pressioni dei pari rispetto alle condotte violente, sviluppare l’autostima, il senso di padronanza e di sicurezza di sé, insegnare a gestire l’ansia e aumentare le competenze in merito alle conseguenze immediate delle condotte aggressive del bullo;
- training assertività - il training assertività consente di apprendere sia dal punto di vista teorico che pratico abilità sociali che favoriscono le relazioni sociali ed interpersonali;
- counselling - il counselling è uno dei modi di intervenire nelle relazioni di aiuto potenziando gli aspetti positivi più o meno evidenti nella relazione stessa. La specificità del Counselling sta nel fatto che un soggetto con una solida preparazione in materia sarà in grado di gestire la propria intelligenza emotiva e la propria conoscenza nello specifico campo di counselling per aiutare il soggetto che ha richiesto l'aiuto ad incrementare le propriepeer counselling (consulenza tra pari) e peer counsellor (consulente nel “peer counselling”) sono da noi riservate esclusivamente per l’uso dell’attività professionale di peer counselling;
- brainstorming - il brainstorming (letteralmente: tempesta cerebrale) è una tecnica di creatività di gruppo per far emergere idee volte alla risoluzione di un problema. Sinteticamente consiste, dato un problema, nel proporre ciascuno liberamente soluzioni di ogni tipo (anche strampalate o con poco senso apparente) senza che nessuna di esse venga minimamente censurata;
- circle-time - il circle time è una tecnica in "interazione discorsiva" il cosiddetto "tempo del cerchio", molto utile nella classe per esempio dedicare dieci minuti prima di cominciare le lezioni per creare uno spazio preciso in cui i bambini possono confrontarsi, portare i loro problemi e intervenire liberamente rispettando comunque il ruolo;
- role playing - il role playing (o "gioco di ruolo") consiste nella simulazione di una situazione reale attraverso l'identificazione e la recitazione dei diversi ruoli coinvolti; proprio la modalità drammaturgica impiegata implica un coinvolgimento globale del soggetto, a livello cognitivo, sociale, emotivo;
- circoli qualità - un circolo qualità è un gruppo classe che si riunisce una volta alla settimana per cercare di identificare alcune modalità idonee a migliorare l’ organizzazione in cui opera; i circoli mirano a migliorare il clima relazionale complessivo e a trovare soluzioni pratiche a problemi interpersonali attraverso un processo partecipativo strutturato di soluzione dei problemi;
- peer support - peer support è un sostegno mentale ed una guida per le situazioni di tutti i giorni forniti da volontari disabili ai loro pari, ossia a persone che si trovano nelle loro stesse condizioni; il “peer support” si basa sulle esperienze personali di vita e sulle capacità ed informazioni acquisite; la sua forma è la discussione o individuale o di gruppo; coloro che prestano sistematicamente l’attività di peer support, nelle organizzazioni, hanno frequentato un corso di addestramento e si sono impegnati a seguire determinate regole etiche: essi non percepiscono stipendio, ma l’organizzazione spesso rimborsa le spese telefoniche o del viaggio;
- peer mediation - il processo di mediazione è un processo interattivo finalizzato al raggiungimento di un accordo tra due parti in conflitto con l’aiuto di un terzo, neutrale; il lavoro che segue si muove in tale direzione ed individua nel paradigma sistemico-relazionale la sua cornice teorica di riferimento. Alla base del progetto si collocano alcuni principi tecnici quali:
- la consapevolezza della inevitabilità del conflitto nelle relazioni umane e quindi la necessità di individuare e valorizzare gli aspetti costruttivi ed evolutivi del conflitto stesso, al fine di favorire la crescita armonica dei membri del sistema e dei sistemi in interazione tra loro;
- la necessità di ampliare il campo di osservazione a tutti i sistemi coinvolti nella dinamica del conflitto.

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