Si è conclusa da poco a Londra
la grande esposizione dedicata
all'artista americano Jeff Koons, ospitata
dal 2 luglio dalla Serpentine Gallery. Animali
colorati, pupazzi gonfiati d'aria, oggetti di uso
comune e personaggi dei fumetti. Uno su tutti: Braccio
di Ferro. Il cinquantaquattrenne ex marito di Cicciolina, erede spirituale
di Andy Warhol e della Pop art, torna a far parlare di sé. Mostrando
che, dietro l'immagine di irriverente provocatore, si nasconde un padre
di sei figli convinto che l'arte possa salvare il mondo
Aben guardare i muscoli dei suoi avambracci, non gli daresti certo del vecchietto. Eppure Popeye (Braccio di Ferro per noi italiani), il marinaio più famoso del mondo, con il corpo ossuto e l'eterna pipetta di sughero in bocca, festeggia quest'anno il suo ottantesimo compleanno. A celebrarlo è l'artista più quotato al mondo, colui che ha reinventato il ready made di Duchamp, l'ex marito di Ilona Staller, il broker di Wall Street: Jeff Koons. Popeye Series è, infatti, il nome della grande mostra ospitata fino al 13 settembre dalla Serpentine Gallery di Londra, tempio dell'arte contemporanea immerso nei giardini di Kensington, che, grazie a prestiti da collezioni pubbliche e private, ha raccolto opere fino ad ora mai mostrate al pubblico. In occasione di quest'evento, il famoso artista ha presentato i lavori realizzati negli ultimi sette anni, sculture e dipinti che reinterpretano il mondo in chiave surreale, elementi della quotidianità mescolati con personaggi della finzione, giocattoli dagli accenti infantili e vagamente pop, riferimenti alla storia dell'arte intrecciati a citazioni dai cartoon. E così, l'artista più controverso del momento affianca un'aragosta gonfiabile a un cestino della spazzatura e a una sedia, in una sorta di danza acrobatica (Acrobat, non a caso, è il nome dell'istallazione); oppure crea un delfino con sottili fogli di alluminio, animandolo con un tocco di colore, e completa la serie di sculture con delle scimmie e un bruco intrappolato in una scala di ferro.
A farla da padrone, però, è il marinaio attaccabrighe creato nel 1929 da Elsie Crisler Segar, Braccio di Ferro, personaggio che pare sia stato pensato appositamente come antidoto alla Grande Depressione. Se, infatti, i supereroi dei fumetti indicavano all'americano depresso una fuga dalla realtà e la possibilità di evadere solo svolazzando nello spazio o attorno ai grattacieli, Braccio di Ferro era un invito a reagire con i piedi per terra: prima arrabbiandosi, poi ribellandosi e lottando, infine avendo ragione delle situazioni più disperate. I superpoteri, inoltre, non gli derivavano dalle galassie, bensì da un alimento umile come gli spinaci in lattina. Come a dire che la forza per reagire e vincere si poteva trovare nella quotidianità.
Jeff Koons, che nella sua carriera non ha esitato a fare dell'arte un mezzo per affrontare i temi sociali, non a caso riporta Popeye sulle scene proprio adesso. Ma tiene a precisare che il suo lavoro ha una prospettiva più vasta del solo impegno politico: è un veicolo per l'accettazione di sé e per il miglioramento di ogni individuo.
In principio era Duchamp
«Mi sono servito della pittura, dell’arte, per stabilire un modus vivendi, una specie di metodo per capire la vita; cercare, cioè, di fare della mia vita un’opera d’arte, invece di passarla a creare quadri o sculture. Ora, penso che si possa usare il proprio modo di respirare, di agire e di reagire agli altri (...) Si può trattarli come un quadro, un tableau vivant, o un’immagine cinematografica, se volete».
Sono parole di Marcel Duchamp, uno dei maggiori rappresentanti del Dadaismo, benché egli stesso non abbia mai accettato di buon grado questa definizione. La cosa, conoscendo il personaggio, non deve stupire: la personalità di Duchamp, infatti, sfugge a qualsiasi catalogazione e schema. Egli, in realtà, è stato uno dei più grandi artisti del Novecento proprio per il suo modo di essere. Con lui nasce un nuovo prototipo di artista, un intellettuale sempre pronto a proporsi in maniera inaspettata, anche solo per il piacere di essere diverso dal normale. Duchamp, di fatto, elevato l'anormalità, intesa come rifiuto di qualsiasi norma, a pratica sia di arte che di vita. La sua attività non ha mai perso il gusto della provocazione, e l'invenzione dei ready-made ne è uno degli esempi più classici. Fu proprio Duchamp, infatti, il primo a proporre oggetti di uso quotidiano come opere d'arte.
Tutto è cominciato con una ruota di bicicletta. Una semplice ruota piantata su uno sgabello. L'associazione di questi due elementi è molto interessante: egli, infatti, unisce un oggetto nato per generare movimento a uno deputato alla stasi. Tradotto: l'arte è movimento, azione, pensiero, ma per essere reputata tale ha bisogno di essere esposta in un contesto statico come quello del museo. Ma come si fa a considerare un oggetto così bizzarro alla stregua di un'opera d'arte? Duchamp era convinto che bastasse estrapolarlo dal suo contesto usuale e inserirlo in uno in cui convenzionalmente l'uomo è indotto a considerare tutto come "arte". E così è stato anche per gli altri ready-made. L'orinatoio, ad esempio. Un orinatoio rovesciato dall'emblematico titolo di Fontana. Quando questo oggetto venne presentato alla mostra organizzata dalla Società per gli Artisti Indipendenti, venne rifiutato. Duchamp lo espose ugualmente: il fatto che l'artista (sotto lo pseudonimo di Mutt) non avesse realizzato l'opera con le sue mani non aveva a suo avviso nessuna rilevanza. Ciò che importava era che lui avesse scelto un oggetto, riproponendolo come qualcosa di nuovo e di completamente scisso dalle sue consuete prerogative di utilizzo. L'operazione artistica, insomma, si svincola dal suo atavico legame col concetto di "fare" per abbracciare quello di "scegliere", divenendo pura azione concettuale.
Ma perché decidere di esporre un orinatoio? La risposta è abbastanza scontata. Trovare un oggetto simile, deputato alle nostre funzioni corporali, in un contesto accademico e azzimato come quello di un museo non poteva che suscitare una sensazione di rigetto. Proprio per questo è stato scelto: per suscitare reazioni, per smuovere le coscienze. Per far riflettere sulla natura dell'arte che, in quel momento, aveva bisogno di essere viva e non rispolverata come un vecchio soprammobile di valore.
La bicicletta incustodita
Quando Andy Warhol vide la Ruota di Duchamp ne rimase talmente colpito che da quel giorno si ricordò sempre di legare la sua bicicletta con la catena. E in un cartellone pubblicitario, poi ricoperto da scritte con lo spray lasciate da artisti ignoti, raffigurò dieci biciclette prive della ruota anteriore, allineate sulla linea di partenza. Il cartello si intitolava "La corsa delle bici rubate".
In comune Warhol e Duchamp non hanno, però, solo una certa passione per le ruote delle biciclette. Duchamp, infatti, è stato il primo artista ad aver attribuito all'arte un valore commerciale, considerandola alla stregua di un prodotto. Cinquant'anni dopo Warhol parlerà di sé come un “artista degli affari” e affermerà: «Essere bravo negli affari è la forma d'arte più affascinante». Ma cosa si intende per arte “commerciale”? Prendiamo, ad esempio, una bottiglia di Coca-cola: questa, a suo modo, è un oggetto d'arte, perché studiata per entrare nell'immaginario collettivo, per carpirne l'attenzione e solleticare le intermittenze cerebrali più impensate (o meglio apparentemente impensate, visto che la bottiglia richiama la sinuosità e le proporzioni femminili).
Nata dall'elaborazione dei continui input che provengono dal mondo della pubblicità e dei media, l'arte di Warhol ne smaschera cause ed effetti proponendoli nella loro più cruda realtà formale. La sua è un'esasperazione delle caratteristiche più sfacciate e minacciose della cultura dei consumi, è una rappresentazione delle cose che diciamo di odiare ma di cui siamo sempre più schiavi, in quanto oggetto di un costante e più o meno subliminale bombardamento psicologico, tanto da ritenerle necessariamente indispensabili nella loro ovvia superfluità. Un'arte che, nella ripetizione ossessiva di una stessa immagine, lancia un messaggio isterico di “vuoto”.
Uno, nessuno e centomila Koons
Se è vero che l'arte è fatta di richiami, di rimandi e di continuità, per parlare di Jeff Koons e del suo lavoro questa digressione era necessaria. Perché senza i ready made e le altre provocazioni duchampiane, senza la Pop art e il gusto del kitsch inaugurati da Warhol, le opere dell'ex signor Staller rischiano di apparire come una vuota operazione commerciale, persino di dubbio gusto.
Non c'è dubbio che, negli ultimi vent'anni, Jeff Koons si sia guadagnato l'etichetta di icona della provocazione, non solo in quanto autore di alcune delle opere più controverse degli ultimi tempi, specchio e parodia dei peggiori eccessi del mondo dell'arte, ma anche per la sua scandalosa relazione con la pornostar Cicciolina, sua musa e madre del figlio Ludwig, per la custodia del quale tra i due è andata avanti per molti anni una battaglia legale all'ultimo sangue. Ciò non toglie che, dietro questa immagine di irriverente provocatore, c'è un padre di sei figli che pensa all'arte come a qualcosa che possa insegnare il rispetto di sé e l'importanza del rapporto con gli altri. E che, insieme all'attuale moglie Justine, ha istituito una fondazione dedicata all'infanzia.
Jeff Koons nasce a York, in Pennsylvania, il 21 gennaio del 1955. Incoraggiato dai genitori nella sua passione per la pittura, prende lezioni private ed espone i suoi primi lavori (riproduzioni di opere d'arte celebri) nella vetrina del negozio di arredamento del padre. A vent'anni si iscrive all'Art Institute di Chicago: qui segue le lezioni del pittore Ed Pasche, del quale diventerà l'assistente di studio. Fin da giovanissimo Koons dimostra una certa intraprendenza, tanto che ancora studente non esita a chiamare Salvador Dalì al telefono per chiedergli un breve incontro. Dopo essersi laureato al Maryland Institute College of Art di Baltimora, si trasferisce a New York, la cui vivace scena culturale contribuisce a modificare le sue passioni pittoriche verso correnti meno tradizionali, come l'arte concettuale e i lavori di artisti atipici come Robert Smithson e Martin Kippenberger. In quegli anni ottiene un incarico come assistente alle relazioni con il pubblico al MoMa e, avendo dimostrato una brillante capacità di trattare con le persone, qualcuno gli propone di lavorare a Wall Street come venditore di fondi comuni d'investimento. Avendo bisogno di soldi per realizzare i suoi progetti artistici, Koons decide di entrare nel mondo della finanza, ma a lungo andare si rende conto che conciliare quel lavoro con la sua reale passione era impossibile.
La prima occasione importante arriva nel 1980 con un intervento nelle vetrine del New Museum, nella vecchia sede di Brodway, dove Koons espone The New, una particolare installazione realizzata con degli aspirapolvere che stabilisce una singolare coincidenza con l'intervento di Andy Warhol nelle vetrine del grande magazzino Bonwit Teller a New York nel 1961. In questi anni il lavoro di Koons viene etichettato con la le definizioni neo-geo (da nuova geometria) e neo-pop; quest'ultima, in particolare, alludeva al fatto che, al pari degli artisti pop, Koons rifletteva nelle proprie opere le ossessioni del mondo contemporaneo, dominato dal desiderio per le immagini narcisistiche e per lo sconfinato mondo delle merci. Per smascherare e dissacrare le dinamiche capitalistiche della società occidentale, Koons non esita ad utilizzare le stesse armi che la contraddistinguono, comportandosi da vero professionista del marketing e della pubblicità.
Agli anni Ottanta risale anche l'incontro con la famosa pornostar Ilona Staller. Koons la notò in una fotografia di una rivista tedesca. Ne rimase subito colpito. In quel periodo il Whitney Museum gli aveva chiesto di produrre un'opera per una mostra dedicata ai media intitolata “Image World”. Da tempo meditava sul fatto che, nella cultura americana, non esisti se non sei nel cinema, così pensò di fare un collage e di mischiare immagini di se stesso a quelle della donna vista in foto, proprio come se si trattasse di un film in uscita. Cicciolina diventa, ben presto, la sua musa (famosissima la scultura Jeff and Ilona (Made in Heaven), che raffigura i due amanti come Adamo ed Eva). Nel 1991 si sposano e poco dopo nasce il figlio Ludwig. Due anni dopo, però, i due divorziano. Ha inizio allora la lunga battaglia legale per la custodia del bambino, inizialmente concessa al padre, poi, nel 1998, affidata a Ilona, che ne ottiene anche il mantenimento. A colmare il vuoto lasciato dalla distanza del figlio sarebbe stata l'arte: «Attraverso le opere di Celebration», ha raccontato Koons, «cercavo un modo per comunicare a distanza con lui, per dirgli quanto volevo tenerlo con me e quanto mi stava a cuore. [...] Cercavo di riavere mio figlio, ma non ci sono riuscito, così ho costruito la mia vita e il mio lavoro pensando che dovesse e potesse servirgli».
Alla nascita del figlio risale una delle opere più famose della sua carriera, Puppy, un West Highland White Terrier alto tredici metri composto di un'armatura capace di contenere 70.000 fiori. Un'opera, a detta dell'artista, circondata da un'aura mitica, una sorta di cavallo di Troia che invece di contenere ostilità e desiderio di vendetta porta in sé amore, calore e felicità. Quest'opera fa il giro del mondo: dal castello barocco di Arolsen, in Germania, al porto di Sydney, per poi finire davanti al Guggenheim Museum di Bilbao.
Tante e sempre controverse le opere che seguono: dalla scultura alla fotografia, ogni lavoro sembra contraddistinguersi per il gusto dell'eccesso e del kitsch. Si arriva al 2007, l'anno in cui Koons riesce a vendere il suo Hanging Heart (Magenta/Gold) per 16.129.937 euro, diventando l'artista vivente più quotato al mondo, battendo il record di circa 8 milioni di euro raggiunto dall'autore il giorno prima con la scultura Diamond (Blue). Aggiudicazioni passate ben presto in sordina, visto che il 30 giugno del 2008 un'altra opera di Koons venduta alla Christie's di Londra fa ancora notizia sul mercato. Si tratta di Balloon Flower Magenta, una scultura d'acciaio che ricrea un palloncino a forma di fiore, venduta per 16.307.506 euro.
Cifre da capogiro per quelle che molti stentano a credere opere d'arte. Un semplice cuore appeso, simile a quelli che ognuno di noi può acquistare in un negozio di giocattoli o dal tabaccaio, cosa può significare? Cosa rende un oggetto così facilmente reperibile e banale alla stregua di un'opera d'arte? A ben pensarci è la stessa domanda che quasi cento anni prima scaturì dalla vista dell'orinatoio di Duchamp.
A chi gli chiede se la sua arte sia deliberatamente provocatoria, Koons risponde con un categorico no. «Credo che se fai qualcosa con il solo intento di provocare questa svanisca nell'arco di poco tempo. Ciò che la gente scambia per pura provocazione è la mia onestà», ha dichiarato l'artista in un'intervista rilasciata alla rivista americana Artinfo. «Per me l'arte è un veicolo di autoaccettazione, un'esperienza non solo intellettuale, ma anche fisica, biologica, che può cambiare gli individui. E quindi il mondo».
Abile pubblicitario che sa prendersi gioco del mercato dell'arte, maestro della provocazione, amorevole padre di famiglia, artista impegnato: chi è il vero Jeff Koons? A voi la scelta.
FOTO: Jeff Koons
|