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Giugno - Luglio/2009 - Laboratorio
Come ridare sicurezza alle nostre città
di Daniele Tissone

Se è vero che la “città siamo noi” il disagio crescente che ci circonda è soprattutto “il nostro disagio” come persone, abitanti e cittadini.
Cresce l’insicurezza, in particolare presso i grossi agglomerati urbani, ma anche presso i centri più raccolti; stress, smog, mancanza di rapporti umani e di spazi di socializzazione, nonché la presenza di nuovi individui diversi da noi, provocano paure, angoscia e frustrazioni; la città è pertanto sempre meno vista quale un luogo di opportunità, di divertimento o realizzazione delle nostre ambizioni. Questo perché il “bisogno di sicurezza” è oggi, presso il mondo occidentale, una esigenza primaria senza il cui soddisfacimento, esigenze quali svago, tempo libero e divertimento, non possono ragionevolmente trovare posto. Ma come si da sicurezza alla città in cui viviamo?
Innanzitutto non può esistere la sicurezza senza libertà e democrazia e, come ci ricorda Norberto Bobbio, la democrazia vive inoltre di buone leggi e di buoni costumi. Ma non basta, il “bene sicurezza” deve essere garantito a tutti, anche ai più deboli; questo perché la storia dei muri eretti in nome della sicurezza ha spesso fatto sì che “gli abitanti del castello non siano mai riusciti a salvarsi dalla solitudine tanto da esserne stati miseramente travolti”. Per questo gli amministratori dovrebbero pensare ad abbattere le barriere anziché innalzarle. Se siamo d’accordo su questo bisogna pensare a cosa noi tutti possiamo fare, senza cadere in risposte facili e immediate che tendono solo ed esclusivamente a nascondere il problema o a ritardarne gli effetti.
Per questo si deve, da subito, incominciare a rifiutare la logica che tutto possa essere gestito nel “ristretto spazio di un quartiere blindato” perché ciò conduce, inevitabilmente, al disconoscimento e all’abbandono del resto del territorio e una tale “estraneità” porta all’inevitabile pregiudizio, nonché ad un effettivo pericolo. A ciò si risponde con il farsi carico dei problemi, con una paziente integrazione nei confronti degli “ultimi venuti”, nella consapevolezza che il territorio non può né deve subire degradi ulteriori e che tutto deve avvenire nel pieno rispetto della legalità.
In tema di immigrazione, il nostro Paese impiega, diversamente ad altri Paesi d’Europa, un numero considerevole di operatori di Polizia per la trattazione delle pratiche di rilascio e rinnovo dei permessi di soggiorno (circa 3.000 operatori), quando in altri Paesi membri le stesse manzioni sono affidate agli organi amministrativi locali. La risposta delle amministrazioni dovrà consistere, inoltre, nel reperire risorse durevoli da impiegare a scopo di recupero dei centri urbani, e in favore di tutte quelle attività che possono utilmente concorrere allo sviluppo fisico e culturale della città, cercando di eliminarne i conflitti al fine di impedire che si determini una sconfitta culturale in questo campo.
In proposito, le risposte come “l’impiego in città dei militari” spostano più in là, di poche centinaia di metri, il problema senza tentare di risolverlo. Qualcuno obietterà che si tratta, comunque, di una risposta. Questo è vero, ma meglio sarebbe stato impiegare simili risorse (i militari in città hanno costi di missione non trascurabili) per aumentare gli organici delle Forze dell’ordine, ma ciò non è avvenuto e l’attuale Finanziaria ridurrà ulteriormente gli organici degli operatori della sicurezza di 6.000 unità nei prossimi tre anni.
Avremo quindi sempre minori opportunità di contrasto alla criminalità da parte dello Stato, a fronte di “soluzioni fai da te” quali l’istituzione di ronde di cittadini che costituiranno un problema in più per le Forze dell’ordine, aggravato qualora le finalità di queste neo-associazioni risulteranno simili o complementari a quelle degli operatori della sicurezza, operatori che hanno dalla loro importanti requisiti e garanzie quali l’imparzialità e la professionalità.
Le ronde sono pertanto una risorsa sbagliata e pensare di appagare con esse il crescente senso di insicurezza è tradire il messaggio di una maggioranza che ha vinto le elezioni dicendo che avrebbe garantito più sicurezza.
La risposta da dare sul fronte del contrasto alla criminalità è sicuramente quella di investire sulle Forze di polizia e sulla formazione degli operatori con politiche integrate nelle Regioni a maggior presenza di criminalità organizzata. Va quindi messa da parte una certa “politica di facciata” e si deve investire sul serio nelle Forze di polizia e sulle prospettive di sviluppo, a cominciare dalle tecnologie.
La ricetta è pertanto una serie di politiche integrate che, con strumenti dinamici, sappiano affrontare le mutevoli esigenze del territorio, anche in senso fisico ed economico, per gestire i cambiamenti in corso, coordinando gli sforzi di tutti i soggetti che sono impegnati a garantire il benessere e lo sviluppo della città.
La scuola riveste poi un ruolo importante, si pensi a cosa può significare promuovere progetti tendenti alla consapevolezza di appartenere al territorio urbano, o che mirano all’inclusione come all’importanza di pretendere città di qualità e di cure nelle quali lo sviluppo sia realmente armonioso.
L’insicurezza e il sentimento di insicurezza e di abbandono e violenza compromettono (lo si legge nel manifesto del forum europeo per la sicurezza urbana di Napoli del dicembre 2000) gravemente e durevolmente lo sviluppo ed il rinnovamento della città.
La sicurezza è un bene essenziale, indissociabile da altri beni comuni quali l’inclusione sociale, il diritto al lavoro, alla salute, all’educazione e alla cultura. Se non dovessimo essere capaci di garantire tutto questo ci negheremmo la possibilità di ridare sicurezza alle nostre città, garantendoci un domani fatto di solide, durevoli certezze.

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