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Giugno - Luglio/2009 - Mondo Poliziotto
Storia del sindacato - Origini e loro futuro
di a cura della Segr.Reg. Siulp - Liguria

Nel bene e nel male sta passando una generazione. Oggi, l’età media dei poliziotti è 35-40 anni, la maggioranza è entrata in ruolo dopo la Riforma di Polizia, 1981.
Tra la fine del 2008 e l’inizio di quest’anno, solo presso la Polizia Stradale di questa provincia, 10 colleghi lasciano il servizio attivo per motivi anagrafici; se il conto è fatto su tutti i poliziotti della provincia la situazione aumenta; una generazione lascia la Polizia.
E’ per questo che si è sentita l’esigenza di fare un punto, di guardarsi un po’ indietro per vedere chi siamo e soprattutto da dove veniamo – l’esigenza di questo incontro per capire origini e dove si vuole andare.
Soprattutto per ricordare a noi e a voi la nostra Storia. Sì, perché il Siulp, anche se non si legge sui libri di scuola, fa parte della Storia d’Italia.
Qualcuno ha detto che “una civiltà senza radici non ha storia”. Noi del Siulp abbiamo un passato, un futuro e una Storia da raccontare. Ai giovani chiediamo di leggere questa Storia, per non dimenticare. Per non dimenticare le lotte, i sacrifici, le umiliazioni che tanti colleghi hanno dovuto sopportare, anche con le loro famiglie, per arrivare a oggi ad avere una Polizia democratica, una Polizia a misura d’uomo.
Chiedete pure ad un poliziotto di raccontarvi la storia del Siulp. Ognuno ve la racconterà in modo diverso, più o meno a secondo dell’età che ha e dell’esperienza che ha vissuto.
Se è un poliziotto come Armando Fontana, vi parlerà forse di quello che successe nel secondo dopoguerra italiano, quando dopo la Liberazione centinaia di ex partigiani entrarono nelle file della Pubblica Sicurezza, e già allora cominciarono a fare i conti per la creazione di un Corpo di Polizia adeguato alla nascente democrazia repubblicana.
Un poliziotto di 50 anni vi racconterà di quando, agli inizi degli anni Ottanta, la Polizia di Stato ancora tentennava tra un livello civile e un modello militare, nell’ansia e nello sforzo di trovare un’identità stabile, mentre sul fronte esterno urgeva la lotta per battere e contrastare la criminalità mafiosa.
Io poi sono un poliziotto di 60 anni, e per me la storia del Siulp comincia negli anni Settanta a Milano, quando in una piazza un giovane collega rimane ucciso in uno scontro con i manifestanti: si chiamava Antonio Annarumma, aveva 22 anni (la mia stessa età) ed eravamo corregionali.
Come tanti colleghi, non sapevo molto, allora, dei miti del Sessantotto, della rivoluzione studentesca, dei gruppi organizzati “rossi” e “neri” (oggi black-blok), di movimenti più o meno radicali, del femminismo e altro, o dei carri armati mandati ad occupare i palazzi del governo dell’Est Europa.
Conoscevo bene, invece, la situazione lavorativa, professionale, umana: percepivo quella sensazione continua di rabbia, umiliazione, impotenza e frustrazione alla quale pareva che un destino ingrato avesse relegato me e i miei colleghi, senza quasi nessuna speranza d’uscita. Eppure ero entrato nel Corpo delle Guardie di Ps, con grande entusiasmo, pensavo alla mia Polizia Stradale.
Sapevo bene inoltre poiché avevo 20 anni, cosa i miei coetanei “civili” pensavano di me; come giudicavano in genere un poliziotto dei Reparti Mobili, dei Reparti Celeri.
Pensavano che fossi un cittadino di serie B, che avessi rinunciato, per necessità o altro, al bene più prezioso per qualsiasi uomo in ogni parte del mondo: la propria dignità. Odiati, e lo sapevamo, perché nessuno di noi in “libera uscita” si vantava di essere un poliziotto.
All’interno delle nostre caserme, la qualità della vita non era migliore di quella delle piazze in servizio di ordine pubblico: mal vestiti, mal pagati, con turni massacranti, iniziavi la giornata e non sapevi mai quando finiva, ci facevano salire sui camion della Polizia (telonati) con il buio e, dopo qualche settimana, non eri ancora rientrato nel Reparto; senza sapere dove andavi, cosa andavi a fare e, magari, si dimenticavano anche di farti mangiare quei sacchetti schifosi con dei panini secchi; senza riposo settimanale, le ferie quando c’erano lo decidevano loro, senza assicurazione sulle malattie; se ti moriva un parente decidevano gli altri se potevi andare o no; i trasferimenti erano all’ordine del giorno e la Sicilia e la Sardegna erano sempre lì che ti aspettavano (ti sbatto in Sardegna), io ci sono stato e mi è piaciuta.
Se non avevi 30 anni non si poteva contrarre matrimonio e, comunque, non potevi sposare chi volevi, ci voleva l’autorizzazione del comando e, soprattutto, non potevi far servizio dove eri nato o nella provincia dove era nata la moglie, oppure era residente.
Siccome l’animo umano non sempre è rispettoso della vita altrui, avevamo degli ufficiali, dei comandanti (non tutti), che non mancavano di trattare il personale (la truppa) come bestie, e se protestavi la dose ti era raddoppiata.
Per non parlare della disciplina, senza nessun motivo (magari solo perché li avevi guardati negli occhi, per loro era una sfida) ti consegnavano in caserma anche per un mese senza mai uscire.
Poi c’era la Cps o la Cpr, la camera di punizione; era la cosa più schifosa e umiliante per un poliziotto; ti toglievano i lacci delle scarpe, la cintura dei pantaloni, ti svuotavano le tasche, compreso il portafoglio, e ti chiudevano in una camera senza luce e bagno, dormivi su un tavolaccio come un animale; un trattamento che non era riservato neanche per i delinquenti, e non c’era distinzione tra scapoli e ammogliati con figli, fuori la camera di punizione c’era un collega armato di mitra che non ci potevi parlare.
Un giorno, dopo aver scontato la mia settimana in camera di punizione, un amico-collega mi chiese se era più umiliante e faceva più male essere trattato come un delinquente da chi ti comandava, oppure essere sputato addosso e fatto segno da monetine in piazza dai dimostrati. Io, che avevo 20 anni come lui, gli dissi che era lo stesso schifo.
Oggi, dopo tanti anni ne sono ancora più convinto, perché in tutte e due i casi c’era qualcuno che calpestava la tua dignità di uomo.
Ecco, per noi poliziotti di quel tempo, il periodo Sessantottino rappresentò soprattutto questo: l’anno in cui iniziammo a reagire per superare la condizione di “esclusi”, e per far valere anche noi i nostri diritti, le nostre rivendicazioni. Per essere cittadini e lavoratori di serie A, come tutti gli altri.
Da allora, di strada ne abbiamo fatta, e tanta. Da allora, i lavoratori della Polizia sono entrati a pieno titolo nel mondo sindacale, suscitando grandi energie di progresso e riforma della vita della Pubblica Sicurezza. Ed è una storia, la nostra, che può essere raccontata in tanti modi, ma che soltanto noi possiamo raccontare: perché noi siamo il Siulp, perché da noi tutto ha avuto origine.
Dopo tanti giri per l’Italia, una sera del 1972, appena trasferito a Savona, partecipavo ad una assemblea sindacale, è lì che ho conosciuto Franco Fedeli.
C’è un dato che in proposito merita particolare attenzione: quando, prima della legge 121, avviammo la campagna per l’adesione al Movimento democratico, gli aderenti ammontavano all’83% dei poliziotti in servizio.
Ad Imperia si superò il 90%. Oggi i colleghi sindacalizzati ammontano al 93% della forza organica: il che vuol dire che, a distanza di tempo, è ancora fortissima l’esigenza di un vero sindacato nella nostra organizzazione del lavoro.
Ricordiamocelo sempre, il nostro senso di responsabilità ha caratterizzato la nostra Storia, ha segnato il nostro destino, di uomini e donne impegnati nel Siulp.
Come primo sindacato, e come sindacato storico, questo è un peso che noi portiamo sulle spalle, nella quotidiana attività sindacale, e che ci costringe ad usare toni pacati, modi opportuni, maniere educate, ma sicuramente al cospetto della nostra controparte non siamo mai andati, e non andremo mai, con il cappello in mano, perché il contenuto delle nostre rivendicazioni è stato sempre esplosivo, innovativo, sorprendente.
Un solo esempio. Siamo stati capaci, proprio in quei difficili anni ’70, di invertire la tendenza alla pura e semplice repressione. Dopo la tragica morte di Annarumma, qualcuno tentò, in maniera chiara ed inequivocabile, di rispolverare la dottrina dell’azione di Polizia come “repressione, punto e basta”. Qualcuno tentò di convogliare la sacrosanta protesta dei poliziotti verso l’interno, facendo implodere il sistema, trasformando l’apparato sicurezza in un serbatoio di uomini rancorosi e assetati di vendetta, da scagliare alla cieca, alla prima occasione, contro studenti, operai, lavoratori, manifestanti.
Noi siamo riusciti, invece, a respingere questi tentativi. E allora trovammo con la forza dei disperati, lo sbocco esterno per la nostra protesta: coinvolgendo parlamentari, intellettuali, magistrati, giornalisti e, soprattutto, Cgil, Cisl e Uil. Chiedevamo soprattutto una cosa: di essere trattati da uomini liberi in un Paese democratico e moderno.
Da tutto questo groviglio di speranze, rabbia, esigenze umane di diritti e volontà di far vivere in meglio la nostra democrazia, nasce il Siulp. Una forza che, da allora, è sempre stata vicina agli uomini della Sicurezza, ai poliziotti-cittadini che operano per la garanzia e la tutela di tutta la cittadinanza italiana, e che si battono per affermare una sempre più vasta comprensione reciproca tra la società e le Istituzioni. Un baluardo a difesa della democrazia nel nostro Paese.
Per il futuro, lavoratori siamo, e insieme agli altri lavoratori confederali vogliamo stare, con gli stessi diritti e, certo, con maggiori doveri, ma con una missione soprattutto: quella di migliorare il servizio offerto ai cittadini, quella di rendere più democratica e trasparente la gestione della Polizia di Stato, quella di stare al fianco dei lavoratori. Soprattutto a fianco della Confederazione Cisl.
Navighiamo pertanto in mare aperto, in un momento in cui la sicurezza è il tema dominante e ognuno aspira ad avere qualche ruolo nel gestire la funzione di Polizia.
Come Siulp, dobbiamo e vogliamo dimostrare – e siamo sicuri di farcela – che si può migliorare il livello di sicurezza mantenendo inalterato l’attuale livello di libertà.
Sicuramente, non bisogna abbandonare la cultura della prevenzione, la cultura della trasparenza nell’azione della Pubblica amministrazione e della partecipazione diffusa ai problemi della sicurezza.
Il fattore umano deve restare al centro di ogni progetto di riforma.
Se ad un operatore di Polizia, voi date motivazione economica e professionale, adeguata formazione e mezzi sufficienti per la propria quotidiana attività, voi, privilegiando la risorsa umana, avrete fatto un investimento di qualità, destinato a durare nel tempo, con risvolti positivi sull’efficacia del servizio prestato e sulla sicurezza dei cittadini.
Se voi privilegerete l’azione di massa, quella nella quale l’impatto dei grandi numeri diventa priorità assoluta, allora si sarà fatta una scelta di quantità, e quindi di cultura repressiva, allora sarà aperta una strada verso l’organizzazione militare che, sicuramente, non ha nulla a che vedere con la democrazia.
Noi del Siulp, noi poliziotti, per il futuro vogliamo dare più sicurezza, senza rinunciare alla nostra libertà: vogliamo essere poliziotti senza rinunciare alla nostra dignità. Soltanto uniti possiamo vincere, e noi decideremo di stare uniti perché la nostra vittoria sarà la vittoria della Democrazia, dello Stato, del Giusto.
Uniti si può vincere, e noi vinceremo.
Viva la Polizia di Stato.

[tratto da Flah Siulp - n. 12 - 15/5/09]

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