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Giugno - Luglio/2009 - Interviste
Medioriente
Jonathan Sierra: “Quando c’è un attentato siamo tutti colpiti”
di a cura di Gianni Verdoliva

Ho 48 anni. Sono cresciuto a Torino e mi sono trasferito in Israele nel 1979 dopo la maturità. Ho messo in pratica l’opzione che viene offerta agli ebrei della diaspora di andare a vivere in Israele. Questa è praticata solo da una piccola parte della comunità ebraica italiana. Da allora, a parte alcune pause, vivo sempre in Israele, per quanto non abbia mai interrotto i rapporti con l’Italia.
Sono religioso ma mi tengo lontano dalle estremizzazioni, potrei essere definito un ortodosso moderno. Sono un imprenditore nel settore della comunicazione visiva e multimediale, e ultimamente mi occupo di collegamenti tra aziende italiane ed israeliane per conto della Compagnia delle Opere che, pur avendo una matrice cattolica, è trasversale, come dimostra tra l’altro la mia presenza. Ho due figli.
Purtroppo conoscevo diverse persone che sono morte negli attentati terroristici. Abito a Gerusalemme, città che è stata molto colpita da questo punto di vista. Da noi quando c’è un attentato siamo tutti colpiti. C’è un senso di identificazione molto forte perché tutti conoscono qualcuno che a sua volta conosce altri che sono morti. Ad esempio la scorsa estate, quando c’è stato il primo attentato col bulldozer, una donna che è riuscita a buttare fuori dalla macchina la figlioletta prima di morire lei stessa. Era la mia vicina di casa.

Cosa pensa del risultato delle ultime elezioni in Israele?
Devo dire che Netaniau non è una delle persone più elastiche o lungimiranti per quel che riguarda la gestione del conflitto e dei negoziati di pace.
Le piace Tzipi Livni? Le piacerebbe potesse essere la nuova Golda Meir?
Livni mi piace. Ha mantenuto un grande rigore, carattere ed affidabilità. Non si è piegata al ricatto dei partiti religiosi ed ha preferito andare all’opposizione piuttosto che rinunciare ad avere la possibilità di mettere in pratica le sue promesse. Non mi piace invece la sua formazione politica.
Quanto al paragone con la Meir ci sono diverse considerazioni da fare. La Meir è vissuta in un’altra epoca. Ed inoltre è stata una leader quando era più anziana della Livni. Che posizione aveva la Meir quando aveva l’età della Livni? Non credo abbiano lo stesso spessore anche se potrebbe essere.
Ho comunque fiducia nelle donne al governo e, in generale, in posizioni di leadership. Non credo che in Israele faccia paura una donna leader.

Quando il governo si è ritirato dalla striscia di Gaza, quale era la sua opinione in merito? Si sarebbe aspettato che da lì sarebbero nati così tanti attacchi?
Purtroppo quello che è accaduto non è una sorpresa. Era prevedibile. Chi si illudeva di dare una chance ad estremisti come Hamas è stato deluso.

Ha degli amici o conoscenti arabi? Se sì, come sono i rapporti con loro?
Sì. Anche se è opportuno distinguere il fatto di avere amici e conoscenti arabi. Qui a Gerusalemme siamo molto mescolati, c’è convivenza. Per cui è facile avere rapporti con gli arabi. Può essere arabo il benzinaio, il medico all’ospedale, etc. Si tratta però nella maggior parte dei casi di rapporti formali. Nel mio caso specifico invece, a causa del mio lavoro, mi trovo ad avere frequenti rapporti con arabi. Senza il contesto lavorativo questo accadrebbe di meno.
Abbiamo visioni diverse della realtà e leggiamo gli avvenimenti della storia in maniera diversa. Eppure la vicinanza con gli arabi mi permette di rapportarmi con la persona al di là delle differenze ideologiche, e di umanizzarla. Questo è molto importante per il dialogo. Ringrazio il cielo di avere amici arabi. Questo mi arricchisce e lo trovo molto positivo. Spero che sia lo stesso anche per loro!

Cosa ne pensa degli ebrei e degli israeliani che manifestano continuamente contro la politica di Israele?
Quando si tratta di israeliani che manifestano in Israele si tratta di espressione di democrazia. Il dissenso può e deve essere permesse e questo, anzi è, a mio avviso, un modello da seguire.
Diverso è il discorso per gli ebrei della diaspora. Una mia amica molto nota di cui non voglio fare il nome e che è spesso citata nei media, non si rende conto che la sua critica, che è legittima e preziosa, viene strumentalizzata. Questo accade in molti altri casi. Ci sono poi ebrei che sono talmente desiderosi di essere accettati dal mondo non-ebraico che arrivano al punto di odiare il loro mondo.

Cosa ha provato quando è venuto a conoscenza delle manifestazioni violente anti-Israele che sono spesso sfociate nell’antisemitismo puro?
Penso solo che si tratta di una forma moderna e politically correct di antisemitismo a volte inconscio.

Cosa la preoccupa di più: il terrorismo palestinese, la minaccia iraniana o il fatto che vi sentite soli come israeliani?
Sicuramente il terrorismo palestinese è di gran lunga il più inquietante. Questo anche a causa delle conseguenze economiche nefaste e dei risvolti destabilizzanti che opera il terrorismo, i cui effetti sono sproporzionati e moltiplicati rispetto al singolo evento.

Tra coloro che denunciano il terrorismo islamico nessuno o quasi prende in considerazione l’importanza economica del petrolio che va a vantaggio dei regimi islamisti totalitari. Non crede sia folle continuare a dipendere dal petrolio tenuto conto che i proventi vanno a finanziare chi odia Israele?
Dipendere dal petrolio non va bene, e questo prima di tutto per una questione di carattere ecologico. Sono fiero che Israele sia un Paese all’avanguardia da questo punto di vista. La dipendenza dal petrolio mette i Paesi arabi ed islamici in una situazione di potere non sempre apparente.
Faccio l’esempio della Cnn i cui servizi sono decisamente antisraeliani anche se non in forma estrema. Ora sempre la Cnn presenta vari passaggi pubblicitari da parte di Paesi arabi. Se non avessero i soldi provenienti dal petrolio, non potrebbero permettersi tutta la pubblicità e, di conseguenza, un sottile controllo sui contenuti trasmessi dall’emittente. Come dicevo prima, ad ogni modo vale il discorso ambientale, come ebrei dobbiamo avere consapevolezza e rispetto per la terra e la natura.

In Israele, per quanto in misura molto minore che negli Stati islamici, esistono degli estremisti religiosi. Come si pone nei loro confronti?
Sono molto critico e arrabbiato. Non solo perché sono un problema in assoluto, ma anche perché costituiscono una travisazione del pensiero ebraico. Inoltre gli estremisti ultraortodossi sono irritanti perché si arrogano l’esclusività del pensiero religioso. Attraverso le loro azioni dissennate forniscono materiale ai media che presentano così un’immagine di Israele come nazione composta da integralisti quando invece, malgrado la loro presenza sia disgraziatamente una realtà, la società israeliana nel suo complesso è decisamente più diversificata e composita.

Cosa le piacerebbe far conoscere di Israele ai lettori?
Tutto sommato si tratta di un Paese giovane con delle potenzialità, Paese che sa esprimere una grande solidarietà, che emerge nei momenti drammatici. Inoltre sottolineo ancora la libertà di espressione e la democrazia, senza le quali Israele non sarebbe sulle prime pagine dei media di tutto il mondo perché se così non fosse il giornalista critico non avrebbe la possibilità di lavorare. Tutto questo può essere scomodo per la ragion di stato ma prezioso per la democrazia.

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