Non sempre è semplice individuare
le cause di questo fenomeno che può
assumere forme differenti, coinvolgendo
sia maschi che femmine, e che spesso
riesce a passare inosservato agli occhi
degli adulti. In questo, e nel prossimo
numero, analizziamo il clima
psicologico di un contesto
caratterizzato da un lato
dal silenzio delle vittime, dall’altro
dall’arroganza dei bulli
Il tema della violenza e dei comportamenti aggressivi nelle scuole, rappresentati assai spesso dalla stampa nei termini di “bullismo” (il termine italiano che è stato mutuato dall’inglese “bullying”), ha assunto negli ultimi anni una notevole importanza anche nel nostro paese, sulla scia delle immagini di queste violenze che periodicamente vengono diffuse su youtube e che vengono riprese dai mass media. Gli studi conoscitivi e scientifici sul “bullismo” effettuati dalla seconda metà degli anni ’80, seguono tutti un’impostazione psicologica del fenomeno, soffermandosi principalmente sugli attori del fenomeno e poco sul contesto in cui il fenomeno emerge. Tuttavia queste analisi, sia quelle internazionali (condotte fin dal 1995), sia le prime condotte in ambito italiano (nel 1997), sono contrassegnate da alcuni aspetti salienti, in relazione alle seguenti categorie di problemi:
a - la definizione di bullismo,
b - la sua natura,
c - l’entità del fenomeno,
d - la caratterizzazione del bullo e della vittima.
Prendendo in considerazione quanto finora sia stato pubblicato, in ambito nazionale ed internazionale, in argomento, si può affermare che tali studi sono volti ad individuare principalmente le forme e la frequenza degli episodi, a tracciare le caratteristiche psicologiche e personologiche del “bullo” e della “vittima”, molto meno a suggerire strategie prevalentemente riparative.
a - Definizione di bullismo – Iniziamo il nostro viaggio sul tema del bullismo partendo proprio dalla sua definizione. Nell’ambito di queste ricerche la definizione più utilizzata è quella incentrata sulla produzione dell’azione offensiva in quanto tale del bullo. Azione che viene associata prettamente ai rapporti tra coetanei, che viene considerata intenzionale e volutamente continuativa nel tempo. E’ una azione che connota una gerarchia di potere o sproporzione di forze tra bullo e vittima: come una asimmetrica aggressione verso una persona più debole. Nell’ambito della definizione di bullismo viene proposta anche una netta distinzione tra forme dirette, come ad esempio le prevaricazioni fisiche e verbali, e le forme indirette, come i fenomeni di esclusione e diffamazione (vedi tabelle I e II).
b - Natura del bullismo – Gli studi presi in considerazione associano il bullismo a disturbi della condotta individuale, disturbi di norma legati a carenze nello sviluppo di particolari sentimenti positivi verso l’altro (come ad esempio l’altruismo, l’empatia, la solidarietà, la comprensione, l’autostima) e di alcune competenze psicologiche, come ad esempio la capacità di controllare l’intolleranza o l’incapacità di essere assertivi. Secondo questa prospettiva, il bullismo nasce da un deficit socio-cognitivo, che tuttavia non è una condizione naturale dell’infanzia, legata all’immaturità del giovane, ma che deriva dallo sviluppo: il bullismo è il prodotto di forme di socializzazione correlate alla violenza e all’offesa, presenti in alcune sottoculture sociali, che pur essendo considerate problematiche non vengono indagate. L’origine del fenomeno e soprattutto la sua intensità vengono ricondotte in maniera preponderante al gruppo di coetanei, alla sottocultura presente nell’ambito sociale di provenienza del bullo. La vittima ed il bullo sarebbero quindi condizionati dal clima relazionale sociale di appartenenza che viene trasportato anche nella classe, considerato per lo più come un sistema relazionale ancora più chiuso e problematico di quello sociale, improntato quindi su ruoli definiti, su forti stereotipi e pregiudizi ed in cui il gruppo funziona come un rinforzo per il bullo. Questi studi individuano anche fattori di rischio e fattori di protezione per lo sviluppo individuale.
c - Entità del fenomeno - Gli studi più recenti denunciano una notevole presenza del bullismo anche tra i bambini più piccoli, con una frequenza rilevata come in aumento nel nostro Paese e nei Paesi più sviluppati. Tale quantificazione è ritenuta e presentata come oggettiva. Tuttavia nonostante le evidenze, il fenomeno sarebbe sottostimato dagli adulti, per cui occorre porli di fronte all’evidenza dei fatti. Secondo recenti statistiche e studi epidemiologici, in Italia sarebbero colpiti 1 su 2 bambini alle elementari e 1 su 3 bambini alle medie. Si evidenzia quindi un decremento della percentuale delle vittime con l’età ed inoltre si evidenziano delle significative differenze di genere, come ad esempio le forme di bullismo dirette per i maschi e quelle indirette per le femmine (vedi tabella II). La specificità italiana sarebbe inoltre data da percentuali molto più elevate rispetto agli altri contesti internazionali analizzati.
d - Caratterizzazione del bullo e della vittima - Le ricerche giungono quindi a definire i tratti del “tipico” bullo e della “tipica” vittima, attraverso la caratterizzazione di particolari correlati psicologici e di personalità: aggressivo ed impulsivo il bullo, ansiosa e sensibile la vittima.
Sul fenomeno del bullismo, partire dalla fine degli anni ’90, ha preso avvio una riflessione scientifica e psicologica anche in Italia per comprendere meglio il fenomeno emergente dell’antisocialità nelle scuole. Sono quindi state portate alla luce storie di violenza e di prevaricazione all’interno di molte scuole ed il mito della pubertà e dell’adolescenza “spensierata e felice” si è sempre più incrinato. Gli studi e le osservazioni di questi ultimi anni, attraverso le nuove tecnologie quali i telefoni cellulari ed i video immessi su alcuni siti di internet, ha fatto emergere delle forme del fenomeno bullismo che vedevano anche altri insospettabili attori coinvolti, come gli insegnanti ed i genitori. Con il coinvolgimento degli insegnanti e dei genitori si è passati dalla semplice analisi e individuazione delle caratteristiche psicologiche del bullo e della vittima a quella più complessa delle componenti sociali e ambientali del fenomeno, come ad esempio il contesto familiare e sociale di riferimento del bullo.Queste riflessioni hanno condotto infine a porre l’attenzione anche per il suo opposto positivo, vale a dire la formazione l’affermazione della prosocialità e delle condotte prosociali.
In questo senso in misura sempre crescente si è posto il problema di andare oltre all’azione reattiva sui singoli coinvolti e di approfondire le strategie e le tecniche per impostare un lavoro sulle relazioni in classe e a scuola, a partire dall’assunto che un clima scolastico caratterizzato da solidarietà, partecipazione, rispetto per l’altro come persona, possa agire come un significativo e potente fattore di prevenzione dell’antisocialità. A tal proposito si è iniziato a riflettere anche sulla qualità delle relazioni insegnanti-studenti e sul ruolo degli insegnanti rispetto al fenomeno della violenza nelle scuole.
Si tratta quindi di un approccio sociologico nuovo che poggia, quale presupposto teorico fondamentale, sulla centralità della comunicazione tra gli allievi, tra gli allievi ed i familiari, tra gli allievi ed i docenti, tra la scuola e la società, a partire dalla teoria dei sistemi sociali intesi come sistemi di comunicazioni. Ad esempio, famiglia, scuola e gruppo dei pari sono i principali sottosistemi della società deputati alla socializzazione dei bambini e strutturati da forme di comunicazione assai diverse. La società si aspetta che un individuo venga, prima dalla famiglia e poi dalla scuola, adeguatamente istruito e socializzato e che partecipi quindi nei vari ruoli sociali mostrando autonomia nelle scelte e responsabilità personale. Questa esigenza deriva dalla crescente rilevanza acquisita nell’ultimo secolo dal processo sociale in base al quale un individuo viene osservato e trattato nella comunicazione come unico, specifico ed autonomo, ossia viene considerato una persona.
La persona adulta è quindi il prodotto finale della costruzione sociale del significato dell’espressione unica e specifica dell’individuo.
Nella costruzione della persona adulta la famiglia, ed il gruppo dei pari, pone le basi affettive della socializzazione, mentre la scuola offre prevalentemente le basi cognitive, come la conoscenza, e le basi normative, come le regole di comportamento. Regole che se osservate dapprima nell’ambito scolastico lo saranno anche successivamente nell’ambito sociale.
La famiglia contemporanea, così come è considerata in Italia, è centrata sull’amore, sulla comprensione e sull’affetto, al suo interno avviene una forma di comunicazione interpersonale intima che assegna il primato alle aspettative affettive. La famiglia italiana è molto poco normativa e pronta alla comprensione di qualsiasi condotta dei figli, anche di quelle devianti.
La famiglia addestra il bambino principalmente all’espressione delle emozioni e lo fa sentire come persona unica e significativa. Quando la famiglia non è in grado nemmeno di offrire affetto ed emozioni si assiste ad una partecipazione disagiata di bambini e quindi si inizia a produrre una socializzazione inadeguata attraverso forme di comunicazione che non permettono la formazione dell’autonomia personale. Il mancato inserimento affettivo familiare renderà ancora più problematico e disagiato il futuro inserimento nell’ambito scolastico, creando le premesse per la mancanza di quelle competenze psicologiche e sociali che in precedenza sono state ricordate come la base per le condotte devianti scolastiche.
Nel passaggio poi dall’infanzia all’adolescenza possono evidenziarsi ulteriori difficoltà di comunicazione tra genitori e figli, tra i figli con gli altri bambini e con i docenti della scuola. Il preadolescente, privo di queste competenze, viene comunque investito dal mondo scolastico di aspettative relative alle sue competenze cognitive e normative, provocando un ulteriore abbassamento delle componenti affettive.
L’educazione scolastica, indotta ad un adolescente privo di componenti affettive, tende così ad essere rifiutata e produce condotte antisociali e di ribellione. A differenza della famiglia, il sistema educativo produce una socializzazione forzata e programmata dei minori, caratterizzata prevalentemente da prestazioni impersonali, come il rendimento scolastico, standardizzazione e neutralità affettiva, ed è volta alla formazione e all’apprendimento di competenze, per le quali la specificità e l’unicità della persona non sono primariamente rilevanti.
In questo quadro formativo il manifestarsi del “bullismo” diviene un naturale prodotto della mancata socializzazione alle norme, non resa possibile dalla iniziale inadeguatezza affettiva familiare, attraverso condotte di offesa e di violenza.
Condotte violente i cui significati sono stati in precedenza costruiti nella mancata comunicazione e comprensione con gli adulti della famiglia ed ulteriormente elaborati autonomamente in senso antisociale ed espressi poi in una cultura scolastica che produce una comunicazione asimmetrica tra coetanei: l’aggressivo e l’impulsivo contro l’ansioso ed il sensibile.
[segue nel prossimo numero]
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Tabella I - Si parla di bullismo
quando esistono insieme:
il desiderio di fare del male con:
un'azione offensiva
uno squilibrio di potere
una periodica ripetizione
un utilizzo ingiusto di potere
un piacere evidente da parte dell'aggressore
la sensazione della vittima di essere oppresso
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Tabella III
Fattori che possono predisporre alcuni
alunni ad assumere il ruolo di bulli:
Pensano che la prepotenza paghi - in qualche scuola i prepotenti sono ammirati dagli altri, riescono ad ottenere quello che vogliono ed hanno meno probabilità degli altri di essere vittimizzati.
Sono aggressivi ed impulsivi, il che li rende costituzionalmente più inclini ad intraprendere comportamenti da bullo.
Si compiacciono della sottomissione degli altri, trovano gratificante dominare gli altri e ottenere da loro accondiscendenza e complicità.
Fare i prepotenti è coerente con l'immagine potente o di duro - si tratta di uno stereotipo diffuso specialmente tra i maschi, ma sempre più anche nelle femmine.
Sembra una cosa divertente, specialmente quando si fa parte di un gruppo che molesta qualcuno.
Hanno livelli relativamente bassi di empatia, per cui il prepotente è insensibile all'evidente sofferenza degli altri.
Il pregiudizio li porta a credere che alcuni tipi di persone si meritino di essere prevaricati - ad esempio, persone di un gruppo etnico differente o ad orientamento sessuale diverso.
Una generale ostilità verso gli altri che è stata generata da esperienze negative con genitori e parenti, specialmente il sentirsi non amati e/o ipercontrollati.
Sono stati influenzati da "modelli" aggressivi, nella vita reale e/o guardando film e video violenti.
La vittima è percepita come se avesse provocato il trattamento negativo - comunemente, i bulli considerano il proprio comportamento prevaricatore come una "vendetta".
Una monotonia cronica a scuola può portare comportamenti prevaricanti come mezzo per rendere la vita scolastica più interessante.
ll raggiungimento dell’obiettivo desiderato è considerato più importante dei brutali mezzi impiegati per ottenerlo. Ciò si applica in particolar modo ad alcune persone che si trovano ad occupare una posizione di controllo e di potere.
Lo considerano parte della loro condizione; ad esempio in seguito al fatto di essere sempre stati trattati come alunni particolarmente problematici.
(da: www.educazione-emotiva.it)
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