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Aprile-Maggio/2009 - Contributi
Una eredità morale
di Ennio Di Francesco

La determinazione di battersi sino alla morte perché ciascuno possa esprimere liberamente il proprio pensiero è, parafrasando Voltaire, il discrimine invalicabile dell’autentico “Homo socialis”. Questa stessa determinazione collettiva di un popolo è l’ethos che contraddistingue la Democrazia da ogni altro sistema di governo.
Battersi affinché solo attraverso il libero contraddittorio delle idee possano cambiarsi le regole su cui l’umanità, nella sua evoluzione spesso drammatica, ha costuito o riscoperto i fondamentali del convivere sociale. Primo fra tutti il rispetto assoluto della vita di ogni persona, sempre e dovunque, perché possa anche contestare tale principio.
E’ questa la forza paradossale e magnifica della Democrazia. Ogni diversa prospettiva di cambiamento è solo millantata e deviante astrazione, più o meno subdola, di “cattivi maestri”, giacché ogni violenza sulla libertà di pensiero (si pensi al sequestro, alla tortura...) e sulla vita, suo presupposto essenziale, conduce inevitabilmente a regimi autoritari, di qualsiasi ideologia, colore, fondamentalismo si vestano.
In questo quadro va posta, a mio avviso, la riflessione sul terrorismo degli anni di piombo che ha lacerato il nostro Paese e sul sacrificio dei tanti magistrati, tutori dell’ordine, giornalisti, giuristi, politici che hanno dato la vita, perché le regole e le Istituzioni democratiche non saltassero. Il loro sacrificio è un’eredità morale che trascende quegli anni, che appartiene a tutti, che va tramandata con trepidante sacralità, specie verso le nuove generazioni. Perché quel sacrificio consente non solo di continuare a godere dei diritti quotidiani di cui ciascuno fruisce, ma anche della possibilità di battersi col contrasto più aspro delle idee e delle azioni sociali ogni volta li senta disattesi.
“Lo scopo del terrorismo è mettere fine all’esperienza democratica” ha scritto Emilio Alessandrini. Sergio Segio, il suo assassino, scontati gli anni di condanna, ora discetta presentando il suo libro; Adriano Sofri, condannato per l’omicidio di Luigi Calabresi, pone da trasmissioni televisive domande tramite il conduttore sui massimi sistemi a un Ministro della Repubblica. Pierluigi Concutelli, l’assassimo di Vittorio Occorsio, condannato all’ergastolo e ora libero, presenta il suo “libro nero”. Nelle stesse condizioni Vittorio Antonini, il sequestratore del generale Dozier, prepara a Bologna, dove fu ucciso Marco Biagi, la conferenza in teatro dal titolo “Gli invincibili”. Terroristi di ieri, mai pentiti, rossi e neri, accomunati dalla voglia di discettare sotto riflettori e ovattate domande in nome del “mettiamoci sopra una pietra”. Solo che per Alessandrini, Rossa, Calabresi, Occorsio, Varisco, Tuttobene, Ambrosoli, Bachelet, Galvaligi, Casalegno, Tobagi, Amato, Galli... (Dio quanti sono!) la pietra è stata tombale.
“Non sono samurai invincibili, solo terroristi!” scriveva Walter Tobagi in un ultimo articolo! E se riflettessero bene, ha vinto la Democrazia, quell’odiato sistema che permette loro paradossalmente oggi di parlare, da vivi. Ecco allora il valore della Memoria.
La parola dei morti, dei “servitori dello Stato” che si sono battuti perché esso continuasse a garantire i beni supremi della vita e del pensiero di ciascuno, anche di chi poteva essere ed è stato loro assassino. Le mani ancora sporche di sangue scrivevano nella loro rivendicazione: “Abbiamo giustiziato il magistrato Emilio Alessandrini perché stava dando credibilità alle Istituzioni”. Invincibili, di che?
Tempo fa la figlia dello straordinario democratico vicebrigadiere di Polizia Antonio Custra, ucciso da terroristi a Milano nel ’77, mi ha scritto queste frasi che loro, incessantemente, dovrebbero sentire dentro: “Il mio cuore è colmo di dolore. Papà era una persona semplice, che amava il suo lavoro e soprattutto la sua famiglia, la sua Anna, mia mamma. Non desiderava altro che stringermi tra le braccia e potermi coccolare. Non si è voluto che ciò accadesse; ma io il suo amore, la sua dolcezza l’ho dentro. Anche se non l’ho conosciuto, lui vive con me, nel mio cuore, nella mia anima”.
Sì, la Memoria è patrimonio di tutti, anche delle coscienze di chi fu Caino del fratello, ma non chiede perdono.

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