Il Tribunale tunisino, espressione anch’esso
di una dittatura “illuminata”, volle
processare il giovane Munir che era del tutto
innocente e che doveva coprire bene
altri personaggi
E’ possibile che un governo, quello tunisino, riesca a coprire ad oltranza personaggi importanti anche se si sono macchiati di un crimine odioso?
Certo che è possibile che un governo come quello tunisino riesca a coprire ad oltranza personaggi importanti, anche se si sono macchiati di crimini odiosi come nel caso di Milena Bianchi.
E’ un regime dittatoriale, quello tunisino: il Capo di Stato dittatore Ben Alì, come tutti i dittatori ha la sua corte. L’entourage è sempre una èlite protetta sotto tutti gli aspetti. Protetta sotto la responsabilità giudiziaria, responsabilità morale, politica.
Milena era una bella ragazza di Bassano del Grappa, alta, con la pelle bianca; dico questi particolari perché sono stati decisivi nella scelta di sottrarla alla famiglia; e poi un particolare, che è stato quello decisivo e determinante secondo me e secondo la famiglia Bianchi: lei aveva confidato al gruppo di ragazzi che frequentava, ragazze e ragazzi tunisini, che era vergine. E questo la rendeva più appetibile per una mentalità di tipo arabo.
Nel corso delle tue indagini in Tunisia parli ad un incontro con Bettino Craxi colà residente dopo le note vicende giudiziarie. Cosa ti disse sull’omicidio di Milena Bianchi?
Lui mi disse: “Non t’illudere, non la troverai mai viva questa ragazza. Sicuramente è stata sequestrata, rapita e portata in un harem. Oggi non si chiamano più harem, non ci sono gli eunuchi, i reparti per le giovani e le meno giovani, ma sono bellissime ville di uomini potenti economicamente e politicamente, che sono i beniamini del dittatore, di Ben Alì”.
Io ho scoperto - dal momento che sono stato lungamente in Tunisia per il processo - che Ben Alì come dittatore è comunque “illuminato”.
Una volta mi permisi di dire al Ministro di Grazia e Giustizia, che mi diede la possibilità di iscrivermi all’Albo degli avvocati di Tunisi per poter difendere la famiglia Bianchi, che avevo notato come Ben Alì fosse benvoluto: non un dittatore odiato ma con un certo seguito di ammirazione, e se ci fossero state libere elezioni sarebbe stato rieletto. Il Ministro mi rispose: “E’ un esperimento che non faremo”.
Attraverso numerosi interventi alla televisione italiana, in modo particolare alla trasmissione “Chi l’ha visto?”, parlai di questo Paese, meraviglioso paesaggisticamente, ma arretrato come tutti quelli ove vige una dittatura, dove non funzionano i sistemi democratici, quindi Paesi di sottosviluppo culturale.
Questo mi creò ostilità a livello diplomatico, perché fui segnalato come una persona che stava facendo perdere turisti alla Tunisia.
Nella mia vita professionale sono stato gratificato in quanto avvocato in processi importanti, ma in questo processo ho avuto un ruolo singolare: ero l’avvocato della famiglia Bianchi che aveva perduto la figlia, ritenuta all’inizio sequestrata; poi mi trovai a difendere il giovane Munir, l’unica persona imputata.
Il paradosso nel paradosso; mi resi conto che la dichiarazione di Munir era una confessione estorta.
L’esempio più clamoroso era dato dal fatto che la versione di Munir era stata suggerita, e il punto cruciale era sul come l’aveva ammazzata.
Lui disse di sapere che Milena era vergine, voleva violarla, ma lei non voleva. Raccontò di averla presa con una mano davanti alla faccia e poi sbattuta con la testa al muro.
Io ho fatto fare un’autopsia italiana, e un’autopsia tunisina, ma non c’era una traccia minima di un colpo all’occipite.
E’ stato difficile fare altri tipi di accertamenti autoptici, ma sembra che sia morta per asfissia, il suo corpo era stato oltraggiato, martoriato.
Secondo il tuo parere, allora ed anche oggi, esiste in quel Paese la “tratta delle bianche”?
Certo che esiste la tratta delle bianche. Esiste una èlite di potentati, che costituiscono la corte di Ben Alì, e a questi è concesso di fare tutto.
Sono potentissimi, ad esempio, sul piano economico; Ben Alì, come tutti i dittatori, è uno che concede un appalto, ma se poi non gli piace, i lavori vanno a rilento, lui in pochi minuti manda via tutti, magari li arresta pure, e affida i lavori ad un’altra ditta. E’ sempre un giro di potentati suoi.
Nel tuo libro accenni anche al ruolo, non di secondo piano, di un italiano nella vicenda Bianchi: chi era costui?
Posso dire soltanto che era una delle piste che seguivamo, ma poi non ha avuto un seguito giudiziario, non fu accettata, anche perché la Corte d’Assise non voleva sentire ragioni, voleva soltanto condannare Munir.
Io e la famiglia Bianchi cercammo di fare accertamenti su un italiano che viveva lì e che era in gravi difficoltà economiche, un sospetto molto, molto fondato, ma non posso dire altro.
Una curiosità: durante questi incontri c’era un interprete?
No, io parlavo un “italiano francese”, però mi facevo capire bene; esordii nella prima udienza dicendo che ricusavo la Corte perché era espressione di una dittatura e quindi il magistrato non aveva nessuna indipendenza e non era in grado di giudicare in modo equo.
Dissi che era una ricusazione di carattere morale verso quel Tribunale e verso tutti i Tribunali che sono espressione di una dittatura. A questo punto il Presidente ordinò il mio arresto in aula. Era prevedibile.
Un gruppo di giuristi europarlamentari francesi, con i quali avevo parlato del taglio violento e aggressivo che volevo sostenere, si precipitatò in Tunisia, seguì tutto il processo, e non permise alla Polizia tunisina di avvicinarsi a me. Un’altra persona di grande coraggio è stato Rocco Cangelosi, allora ambasciatore italiano a Tunisi.
Sono stato obbligato, per tutte le udienze, a partire con una macchina dell’ambasciata per arrivare sotto l’aereo e salire. La Polizia stava a pochi metri.
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