Si vuore riscrivere il patto fondamentale che ora
dà centralità al Parlamento, e quindi alla dialettica
tra maggioranza e opposizione, mettendo al centro
del sistema costituzionale un altro organo,
il governo, in sostanza le sole maggioranze. Mentre
i contropoteri in un ordinamento democratico
sono assolutamente necessari, come
ha dimostrato anche il “caso Englaro”
Giuditta Brunelli, professore ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico presso l’Università degli Studi di Ferrara, ha da sempre rivolto la sua attenzione di giurista alle tematiche relative i diritti di libertà e le loro garanzie costituzionali e giurisdizionali.
Altri ambiti di ricerca sono stati il controllo parlamentare sull’esecutivo, l’attuazione del Diritto comunitario nell’ordinamento italiano, l’intreccio tra rappresentanza politica e principio di eguaglianza, il referendum abrogativo e le tecniche di giudizio della Corte costituzionale. Si è poi occupata di pari opportunità elettorali (pubblicando per il Mulino il saggio “Donne e politica”) e diritti di cittadinanza, con particolare riferimento al diritto di voto per gli immigrati non comunitari.
L’abbiamo incontrata per chiederle di approfondire lo “stato” attuale dei diritti civili e sociali in Italia, a partire dalla vicenda di Eluana Englaro.
Professoressa Brunelli, che riflessioni suscita in una studiosa di Diritto costituzionale il “caso Englaro”?
Un duplice ordine di considerazioni. La prima, positiva, riguarda il ruolo della magistratura ordinaria – mi riferisco sia alla Corte d’Appello di Milano sia alla Corte di Cassazione – che ha assicurato l’esercizio di un diritto costituzionale.
Rivolgersi ai giudici è stato fondamentale per ribadire quanto chiaramente disposto dall’articolo 32 della nostra Costituzione secondo cui “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge” e in particolare in quei casi in cui, accanto al diritto individuale alla salute, sia contemporaneamente da tutelare un interesse della collettività.
Interesse collettivo che sembra mancare nel caso in esame.
Esattamente. Sono ravvisabili interessi collettivi, ad esempio, nei casi di malattie contagiose, per evitare le quali sono talora imposte determinate vaccinazioni. Ma quando si tratta semplicemente di decidere se sottoporsi o meno a un determinato trattamento sanitario viene in rilievo solamente la libertà del cittadino di autodeterminarsi.
Vorrei ricordare, a questo proposito, che proprio di recente (con la sentenza n. 438 del 2008) la Corte costituzionale ha esplicitamente individuato nell’autodeterminazione in materia di consenso ai trattamenti sanitari un diritto fondamentale della persona.
Quali invece le considerazioni negative?
In primo luogo, il conflitto di attribuzioni che il Parlamento ha sollevato contro la Corte di Cassazione e la Corte d’Appello di Milano sostenendo che i giudici avrebbero interferito nelle sue attribuzioni creando una regola, laddove invece solamente le Camere sarebbero potute intervenire con un proprio atto normativo; la Corte costituzionale ha chiarito che non c’è stata alcuna interferenza o menomazione di attribuzioni da parte della magistratura la quale si è solamente limitata a svolgere compiutamente il suo ruolo, e cioè rispondere alla legittima domanda di un cittadino per dare soddisfazione ad un suo diritto.
L’altro avvenimento molto grave è stato il tentativo di emanazione di un decreto-legge per far proseguire l’alimentazione forzata: il Capo dello Stato si è però rifiutato di firmarlo. Ciò dimostra che i contropoteri in un ordinamento democratico sono assolutamente necessari.
Come spesso avviene, il Parlamento delega alla magistratura la “regolamentazione” di delicate materie perché non è in grado (o non ha la volontà), per vari motivi, di provvedere esso stesso a colmare i vuoti normativi, per poi attaccarla nel momento in cui legittimamente si esprime dando concretezza alle richieste dei cittadini.
In realtà non credo che sul tema del testamento biologico vi sia un vero e proprio vuoto normativo, nel senso che il diritto di scegliere se sottoporsi o meno a determinati trattamenti sanitari è già previsto in Costituzione. Inoltre la Cassazione, nel motivare la sua decisione, si è basata su materiale normativo già vigente nel nostro ordinamento. Potrebbe di conseguenza essere opportuna una legge che andasse a disciplinare solamente le modalità di esercizio di tale diritto costituzionalmente garantito, senza però limitarlo.
Il disegno di legge attualmente in discussione in Parlamento potrebbe assolvere a tale funzione?
No, mi pare che esso – così come formulato – si ponga addirittura in contrasto con l’essenza del testamento biologico: preferirei che tale progetto di legge non venisse nemmeno approvato e, nel caso in cui lo fosse, si esporrebbe senz’altro al giudizio di legittimità costituzionale da parte della Corte, più o meno come è avvenuto con la discussa legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita – di cui molti costituzionalisti denunciarono in più sedi l’incompatibilità con la Costituzione – che è stata dichiarata di recente parzialmente illegittima.
Come valuta il ruolo delle gerarchie ecclesiastiche in tutta questa vicenda?
E’ evidente che le gerarchie hanno giocato un ruolo chiave intervenendo incessantemente e facendo pressioni costanti sulla nostra classe politica per orientarne le decisioni; tale palese attivismo è criticabile anche alla luce del regime concordatario.
Vi sono chiari legami di potere tra le gerarchie e parte del mondo politico, senza distinzione di schieramento: pare talvolta che alcuni parlamentari rappresentino, più che la nazione, la longa manus della Chiesa nelle nostre Istituzioni!
E ciò conduce inevitabilmente ad un indebolimento generale della classe politica.
Certo, infatti la Chiesa per ragioni sue può voler esser più visibile in alcune fasi storiche; il problema che mi pongo da cittadina è quello della libertà e dell’autonomia della classe politica.
Più che l’attivismo esigente delle gerarchie, comunque criticabile, stigmatizzo l’atteggiamento di subordinazione dei nostri politici, che invece di agire liberamente, obbediscono a decisioni assunte in altre sedi.
Per quanto riguarda gli altri diritti civili?
Deserto assoluto. Siamo in una fase in cui, purtroppo, la maggioranza politica chiude le porte al riconoscimento di diritti che in altri Paesi sono ormai ovvi, radicati e pienamente garantiti da tempo, come ad esempio il riconoscimento legislativo delle coppie di fatto, anche omosessuali.
Per non parlare della legislazione puramente repressiva in materia di immigrazione, con assurde aggravanti di pena in caso di condanna che non riguardano la gravità oggettiva dei reati commessi ma lo status personale di irregolarità.
E consideriamo che nel nostro ordinamento è assai facile divenire irregolari, vista la legislazione criminogena che abbiamo.
Proprio così. La nostra legislazione in tema di immigrazione è assolutamente farraginosa: di conseguenza è molto facile anche per chi si trova legittimamente nel nostro Paese passare improvvisamente ad una situazione opposta, di irregolarità.
E’ una legislazione forsennata, emergenziale, tutta di stampo repressivo, con norme irragionevoli ed inutili, senza esiti pratici. Si immettono continuamente nell’ordinamento regole illogiche, completamente prive di reale efficacia.
Come ha affermato di recente in un’intervista il giudice Piercamillo Davigo, invece delle leggi sulla sicurezza si fanno leggi sulla rassicurazione.
Sì, ciò che conta è dare l’impressione di combattere duramente i clandestini, mentre nella realtà non accade proprio nulla. Tra l’altro, tale legislazione irrazionale contro “il diverso”, essendo comunque l’immigrazione un fenomeno irreversibile, renderà impossibile nel lungo periodo la convivenza tra italiani e persone immigrate.
Anche considerando la questione dal punto di vista nostro, di noi cittadini italiani, le normative vigenti, o in discussione, non ci renderanno di certo la vita facile.
Un esempio?
Con l’eliminazione del divieto di denuncia da parte dei medici degli immigrati clandestini, questi senza dubbio preferiranno starsene nascosti e non rivolgersi alle strutture sanitarie per richiedere cure mediche. E se alcuni fossero affetti da malattie infettive contagiose?
Ricordiamoci che la Repubblica dovrebbe tutelare la salute non solo come diritto dell’individuo ad essere curato ma anche come interesse della collettività. Se alcune persone malate, per paura di essere denunciate, non si curano, le conseguenze potrebbero essere gravi non solo per loro, ma per l’intera società.
E la Costituzione? Qual è il suo stato di salute? Secondo lei è da riformare, come sostengono molti uomini politici, o ancora, in molte parti, da attuare?
Personalmente sono contraria ad ipotesi di revisione della Costituzione. Posso ammettere solamente la necessità di qualche aggiustamento puntuale, ad esempio intervenendo su un bicameralismo paritario che non ha dato buona prova di sé.
Ma al di là di singoli e puntuali aggiustamenti, limitati tra l’altro alla sola parte seconda, io assolutamente non andrei e credo che questa continua idea di voler cambiare la Costituzione nasconda in realtà notevoli difficoltà politiche.
Non riuscendo a risolverle in altri modi, si pensa che il cambiamento della Costituzione sia la panacea di tutti i mali, mentre altro non è se non un ulteriore sintomo di debolezza della nostra classe politica.
Il problema, dunque, non è la Costituzione.
No, la nostra è un’ottima Costituzione, da “maneggiare” con cura.
Molte ipotesi di riforma vogliono andare a colpire proprio i poteri di garanzia di cui abbiamo parlato prima.
Credo che l’obiettivo sia esattamente questo. Si fa credere che il governo sia senza poteri, che non si possa decidere velocemente, che i procedimenti parlamentari siano soltanto un’inutile perdita di tempo. Non è affatto vero. Basta analizzare ciò che è successo in Parlamento negli ultimi tempi: leggi che interessavano alla maggioranza sono state approvate in pochi giorni, mi riferisco ad esempio al cosiddetto lodo Alfano (alla cui approvazione le due Camere hanno dedicato complessivamente 34 ore, come è emerso in un recente Seminario svoltosi all’Università di Ferrara).
E’ vero invece che sotto il profilo simbolico si vuole riscrivere il patto fondamentale, che ora dà centralità al Parlamento, e quindi alla dialettica tra maggioranza ed opposizione, mettendo al centro del sistema istituzionale un altro organo, il governo e quindi, in sostanza, la sola maggioranza che esce vincente dalle elezioni.
I cittadini cosa possono fare per difendere la Costituzione?
Molto. Basti ricordare il 2006 quando bocciarono la proposta di revisione costituzionale della parte seconda. Credo che, nonostante tutte le difficoltà, i tempi bui, la propaganda, l’idea della Costituzione come valore sia ancora fortunatamente diffusa tra i cittadini italiani.
E i costituzionalisti?
Come costituzionalista mi sento impegnata a testimoniare la bontà della nostra Costituzione repubblicana in tutte le sedi in cui ciò sia possibile.
FOTO: La professoressa Giuditta Brunelli
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