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Agosto-Settembre/2012 - Contributi
GdiF
Morire di “lavoro”
di Cinzia Ficco

Antonio Dal Cin si è ammalato a causa dell’amianto
quando era in servizio nella caserma di Trieste. Oggi combatte
per avere giustizia e perché venga finalmente bonificato
l’immenso territorio impregnato di questa fibra killer


È malato, ma di smettere di lottare proprio non ne vuole sapere.  Dice che deve resistere per sé ed i suoi colleghi. Da anni cerca di non piegarsi al suo male e, nello stesso tempo, combatte perché tanti non facciano la sua fine. Sì, perché la sua patologia l’ha contratta al lavoro. E il rischio che altri militari come lui si ammalino e muoiano, c’è ed è alto. E’ successo e succede ancora. Perché di amianto si continua a morire. 
Questa è la storia di Antonio Dal Cin, nato a Crema quarantadue anni fa, residente a Sabaudia, responsabile e coordinatore nazionale del Settore “Esposti e Vittime Amianto dei militari appartenenti alla Guardia di Finanza” – Osservatorio Nazionale Amianto Ona Onlus, costituito a marzo scorso, che, colpito dall’ amianto,  racconta:  «Sono stato esposto alla fibra killer dal 1992 al 2004 a Trieste durante servizi resi alla Nazione e questo ha determinato l’insorgenza di gravi problemi respiratori e di altre importanti patologie, che stanno incidendo in modo pesante sulla qualità della mia vita.  Dal 2008 mi sono interessato al problema dell’amianto ed ho capito che l’amianto, l’immacolato, l’incorruttibile, non è un problema privato e non poteva restare tale. Sto lottando, affinché nel nostro Paese vengano presto attuate le bonifiche e non resti una sola fibra di amianto».
Per fortuna Antonio, non è solo. Ad aiutarlo, c’è l’avvocato del Foro di Roma, Ezio Bonanni, uno dei massimi esperti della fibra  assassina a livello mondiale. E’ grazie a lui che la battaglia, molto faticosa, va avanti.
«Non possiamo più tollerare – afferma il militare (Guardia di Finanza) –  che famiglie di onesti operai e militari paghino la loro dedizione al lavoro con il tributo più grande: la propria vita. Per questa ragione, nonostante il mio precario stato di salute, i continui ricoveri in vari ospedali d’Italia, ho deciso che devo continuare a lottare fino all’ ultimo dei miei giorni. Voglio impedire che altre persone si ammalino a causa dell’amianto e muoiano a seguito di mesotelioma, carcinoma polmonare e altre patologie correlate all’amianto».
Il 21 marzo scorso Antonio è stato colto da una grave crisi di insufficienza respiratoria, ma dopo alcune ore in ospedale ha deciso di tornare a casa, dove ad attenderlo c’erano sua moglie, affetta da sclerosi multipla e sua figlia, di cinque anni. Va avanti. Non si arrende. Di recente ha scritto una lettera al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, chiedendo che venga subito avviata la bonifica di tutti i siti contaminati e si provveda al risarcimento delle migliaia di vittime dell’amianto. Il Presidente della Repubblica gli ha risposto che la questione amianto in Italia è stata “portata all’attenzione del Ministero dell’Economia e delle Finanze”.
A sentire Antonio, supportato da alcuni studi e dati, non c’è tempo da perdere. «Il professore Claudio Bianchi, una delle più autorevoli personalità nel mondo della medicina legale – afferma –  ha evidenziato che in Italia ci sono 4 mila tumori annui correlati all’amianto, undici al giorno, uno ogni due ore, a fronte di oltre centomila  nel mondo. Purtroppo, questa triste realtà non ha risparmiato il nostro mondo, portando dolore e sofferenza in moltissime famiglie, che, oltre a piangere i loro cari estinti, attendono tuttora giustizia. Mi sto impegnando fermamente, affinché a questi colleghi e alle loro famiglie venga restituita la dignità e vengano riconosciuti tutti quei diritti che sono stati loro negati.  E non è tutto. Questo grande dramma sociale, in termine di perdite di vite umane, vedrà il raggiungimento del suo picco massimo tra il 2018  e il 2025 con costi ingentissimi per il nostro Servizio Sanitario Nazionale, sul quale graveranno le cure e le spese mediche per i malati senza speranza».
Ma perché un quadro così cupo? «Purtroppo, le bonifiche – spiega Antonio –  sono state avviate tardi, talvolta anche a distanza di 18 anni dall’entrata in vigore della Legge 257/1992, con gravi ripercussioni sulla salute dei lavoratori che, esposti per tanti anni alla fibra killer nei luoghi di lavoro, hanno incontrato un nemico invisibile. La fibra di amianto è 1.300 volte più sottile di un capello. Non è possibile pertanto sfuggire al rischio concreto di ammalarsi, senza l’attuazione delle idonee misure di sicurezza previste dalla legge, la bonifica dei siti, che risultano essere l’unico strumento in grado di scongiurare il rischio amianto. Nel nostro Paese questa fibra  è stata utilizzata in maniera indiscriminata ed è entrata nella composizione di oltre tre mila prodotti di uso molto comune come: mastici, sigillanti, pasticche dei freni, corde e tessuti. E’ stata utilizzata  anche per la costruzione di tramezzi, tetti, condutture di acqua potabile, intercapedini e stucchi per abitazioni e strutture pubbliche (asili, scuole, uffici, ospedali, etc.), poiché migliorava la resistenza degli elementi strutturali, assicurava l’isolamento termico ed acustico, e proteggeva contro i rischi di incendio. Sul territorio italiano ci sono ancora 2,5 miliardi di metri quadrati di coperture di eternit, pari a 32 milioni di tonnellate di cemento-amianto e molte tonnellate di amianto friabile, per un totale di amianto puro di circa 8 milioni di metri cubi. Attualmente, leggi severissime ne vietano la produzione, il commercio e l’utilizzazione e, soprattutto, dettano le modalità precise e i controlli, cui deve essere sottoposta la riconversione produttiva e l’attività di bonifica e decontaminazione».
E allora? «Il problema – replica-  è dovuto alla capacità che i materiali con la presenza di amianto hanno di rilasciare nell’aria le microfibre, a causa dell’usura, delle vibrazioni e delle infiltrazioni d’acqua. La situazione è davvero drammatica. Si corra ai ripari senza più rimandare. Io ce la metterò tutta. Desidero che la mia testimonianza possa far riflettere e far capire che tutti possiamo essere dei tipi tosti: basta restare sempre se stessi, mantenere vivi quei valori che purtroppo oggi si stanno perdendo e imparare che è doveroso prestare attenzione a chi soffre ed è vittima di ingiustizie.  Non possiamo far finta di niente e negare la realtà, perché ogni vittima dell’amianto ha un nome, un cognome ed è stata una persona come noi, con i nostri  diritti. Se lo Stato si fosse attivato a tempo debito, molte di queste assurde morti si sarebbero evitate. Continuerò a combattere la mia battaglia fino a quando non vedrò riconosciuti i nostri diritti, non avremo giustizia, non vedremo punire i responsabili, e quelli che hanno cercato di nascondere la verità».

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