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Aprile-Maggio/2009 - Articoli e Inchieste
Polemiche
La castrazione chimica
di Marco Cannavicci - Psichiatra - Criminologo

Proposta come rimedio per le violenze
sessuali presenta molti dubbi: il farmaco
non incide sulla personalità e il soggetto
può continuare ad avere fantasie sessuali
aumentando così l’aggressività. Sembra
quindi una falsa certezza per combattere
gli stupratori: la violenza sessuale, quasi mai
soddisfatta per un bisogno fisiologico, spesso
trae soddisfazione dall'esercizio del potere
e del controllo della vittima


In relazione ai recenti episodi di cronaca, che hanno visto incrementarsi i casi di violenza sessuale, anche in Italia è stata invocata la castrazione chimica, come pena per i reati a sfondo sessuale, soprattutto da diversi esponenti della Lega Nord. La richiesta d'alcuni politici di introdurre la castrazione chimica, per dare una risposta dura all'escalation di crimini a sfondo sessuale ai danni di giovani donne, ha fatto molto discutere negli ultimi tempi. Molte affermazioni provenivano da non addetti ai lavori, per cui molta confusione è stata fatta intorno a questo provvedimento, al punto che gli specialisti si sono sentiti in obbligo di fornire alcune delucidazioni in argomento. Tentiamo quindi di rispondere ad alcune domande fondamentali, come ad esempio: ma è proprio vero che i farmaci possono tenere a bada gli impulsi sessuali che inducono alcuni uomini ad aggredire e stuprare le donne? E soprattutto, può essere considerato un intervento valido dal punto di vista etico?
La castrazione chimica è un tipo di castrazione, solitamente non definitiva, che viene provocata tramite l’utilizzo di farmaci a base di ormoni. Fu inizialmente sviluppata in alcuni Paesi come misura temporanea e preventiva per gli stupratori ed i pedofili. Ed è tuttora applicata, come parte della pena, per i reati a sfondo sessuale, in diversi Paesi, inclusi gli Stati Uniti.
Al di fuori dell'ambito della prevenzione e della repressione del crimine, la castrazione chimica viene eseguita come fase preliminare nel trattamento ormonale per il cambiamento di sesso, da uomo a donna, nei soggetti transessuali. In questo caso, la trasformazione è irreversibile dopo circa sei mesi dall'inizio del trattamento farmacologico. Il farmaco più in uso per questo trattamento è attualmente il Depo-Provera. Questo farmaco agisce sul cervello, in una parte specifica detta ipotalamo, inibendo la produzione ed il rilascio in circolo degli ormoni che stimolano i testicoli alla produzione di testosterone, l’ormone androgeno della sessualità maschile.
La castrazione chimica, che si attua come abbiamo visto attraverso una combinazione di farmaci a base di ormoni e che permette di inibire gli impulsi sessuali, viene da tempo utilizzata negli Stati Uniti contro pedofili e stupratori. In Europa, la Germania, la Svezia, la Danimarca, la Norvegia e la Francia, in presenza di alcuni requisiti, la applicano per impedire che il condannato, una volta libero, ripeta la violenza.
Anche se in alcune parti del mondo l'intervento consegue un certo successo, la questione rimane aperta, soprattutto per quanto riguarda la capacità dei farmaci di innescare, di per sé, uno stabile mutamento del comportamento. Il presidente della Società mondiale di sessuologia, Eli Coleman, docente dell'Università di Minneapolis, nel Minnesota, ha un'opinione molto favorevole rispetto all'intervento farmacologico. A patto però che sia associato ad una psicoterapia centrata sullo specifico problema nel caso dei pedofili o di persone socialmente pericolose a causa della loro parafilia. La somministrazione di sostanze antiandrogene, come il ciproterone acetato o il medrossiprogesterone acetato, quest'ultimo largamente utilizzato negli Stati Uniti, riducendo i livelli di testosterone può indurre un notevole abbassamento della libido e di conseguenza un possibile controllo del comportamento aggressivo o parafiliaco. Esistono tuttavia diversi aspetti controversi, che non possono essere passati sotto silenzio.
Un primo aspetto controverso riguarda l’ambito medico, vale a dire gli effetti collaterali che vengono prodotti dai farmaci in questione, se utilizzati per lungo tempo, e che possono essere notevoli, come ad esempio l’induzione del diabete mellito, della depressione psichica e dell’ipertensione arteriosa. C’è da aggiungere che l'assunzione di queste sostanze incide negativamente sulla libido fintanto che la cura sussiste, per poi cessare ogni effetto in seguito alla sospensione della terapia. Da qui la necessità di affiancare un trattamento diverso, d'ordine psicologico e psicoterapeutico.
Un secondo aspetto controverso investe proprio gli aspetti psico-motivazionali. Negli Stati Uniti una persona giudicata pericolosa o malata in questo senso può scegliere, in alternativa alla detenzione, un iter di riabilitazione che prevede sia l'intervento farmacologico sia la psicoterapia. La scelta dunque è solo parzialmente libera, poichè potrebbe essere una scelta di comodo, effettuata solo per abbreviare la detenzione. Gli psicologi che effettuano la psicoterapia sanno benissimo quanto conti, ai fini della riuscita della stessa, la motivazione personale al cambiamento che, in questo caso, sarebbe molto debole e solo strumentale all’evitamento del carcere.
Un ultimo punto controverso, forse fra tutti quello più complesso, riguarda gli aspetti etici. Una castrazione, anche se chimica, è pur sempre una castrazione, e questo evoca pratiche oscurantiste e drammatiche, come la lobotomia e l’elettroshock, cioè delle pratiche poco in linea con una civiltà evoluta.
Nei Paesi dove la castrazione chimica è stata introdotta viene applicata come una pratica volontaria, perché oltre al problema di ammettere un trattamento sanitario obbligatorio come pena, c'è anche l’evidenza che la sua efficacia nella diminuzione della recidiva della violenza sessuale è stata rilevata come molto modesta. Pensare di forzare qualcuno alla castrazione chimica è difficilmente concepibile, tanto più che è possibile contrastare gli effetti del farmaco con sostanze antagoniste facilmente reperibili o farmaci che favoriscono l'effetto contrario, come ad esempio il Viagra o il Cialis. L’efficacia del trattamento è quindi difficilmente ipotizzabile in caso di volontà contraria del condannato. Dettaglio non secondario sono poi i già citati effetti collaterali, connessi all'assunzione dei farmaci in questione, per l’aumento dell'incidenza dell’ipertensione e del diabete. Essendo il diabete una malattia invalidante, introducendo la castrazione chimica forzata si introdurrebbe una pericolosa “mutilazione permanente dell'integrità fisica” nel sistema italiano delle pene. Evento in realtà non molto diverso dall’islamico taglio della mano.
Ci sono però altre considerazioni che meritano di essere portate all'attenzione dei politici, prima di tutte quella per la quale i delitti a sfondo sessuale sono difficilmente omologabili in un modello standard. Probabilmente è molto sottile il confine tra disturbo psicologico, patologia e “semplice e controllata o controllabile” perversione sessuale. Nei primi casi la temporaneità d’efficacia della castrazione chimica la rende inutile, perché non combatte la causa del problema, mentre negli altri casi, dove nulla c’è da curare, più che inutile, tale misura sembra essere, invece, decisamente insufficiente. I destinatari di questo trattamento chimico possono essere solo dei criminali, anche se della peggior specie, e non persone affette da devianze o patologie. C’è poi da aggiungere che i pedofili molto difficilmente sono suscettibili di terapie, per cui non “guariscono” mai dal loro disturbo, perché è impossibile cambiare clinicamente le tendenze e le devianze sessuali. La castrazione, inoltre, può avere effetto solo per un periodo determinato e, una volta terminati gli effetti, nessuno garantisce la non recidività del soggetto. Ogni singolo pedofilo che si è reso colpevole di abusi sessuali a danno di bambini indifesi è vittima di gravi e incurabili devianze psicologiche ed egli stesso è vittima di atteggiamenti impossibili da prevenire e modificare, pur dopo una forte terapia ormonale. Esistono poi persone perfettamente coscienti, ma amorali e semplicemente incapaci di resistere ai loro più bassi istinti, che commettono reati sessuali e che non trarrebbero alcun beneficio dal trattamento chimico. Per loro sarebbe come dire che tutti i ladri soffrono di cleptomania, sarebbe come affermare che tutti i distinti uomini d’affari di ritorno dai Paesi dell’est asiatico per i loro sporchi traffici debbano, necessariamente, una volta a casa, abusare anche dei loro figli.
Tornando alla castrazione chimica, possiamo dire che questa genera un sicuro effetto di impatto psicologico nelle persone, utile come deterrente, tuttavia sul piano pratico mira solo a contrastare l'impulso sessuale maschile identificato come la fonte scaturente dell'aggressione sessuale. Si pensa che represso lo stimolo fisico alla sessualità, si dovrebbe risolvere il problema, ma questo è un approccio scientificamente ingenuo. La violenza sessuale non è quasi mai la soddisfazione di un impellente bisogno fisiologico, ma spesso trae soddisfazione dall'esercizio del potere, della forza, dell'umiliazione e del controllo della vittima.
C'è poi da dire che molti tra gli aggressori seriali sono risultati sessualmente impotenti, che circa il 5% delle violenze sessuali sono opera di donne, che ci sono anche le molte violenze su donne, transessuali e minori da parte della criminalità organizzata, motivate dal denaro come quelle dei produttori e commercianti di materiale pedo-pornografico, dalla violenza sacrificale dei culti più allucinati, dalle truci bestie di Satana fino alle associazioni finalizzate alla sopraffazione degli altri, all’affermazione del proprio disegno delirante o ad un interesse materiale. In tutti questi casi la castrazione chimica non rappresenterebbe affatto un ostacolo o un impedimento, così come difficilmente inciderebbe sul complesso quadro psicologico ed emozionale del pedofilo seriale. Proporla quindi è privo di qualsiasi senso, quando non sia impossibile come nel caso in cui il condannato sia una donna.
C'è poi da notare che paradossalmente l'effetto di una somministrazione forzosa ai recidivi rischia veramente di aggravare sociopatie già drammatiche, ottenendo anche in questo caso effetti nulli se non controproducenti, tanto che nelle terapie fino ad ora sperimentate sono somministrati anche altri farmaci per minimizzare gli effetti collaterali sul fisico e sul carattere.
Ancora più assurdo diventa il caso se si considerano le necessità di erogazione di pene detentive più brevi a chi abbia la somministrazione del trattamento, senza che ci si possa attendere un ragionevole calo della recidiva. A parità di reato chi sarà sottoposto al trattamento avrà una pena detentiva necessariamente più breve di chi, per condizione soggettiva, non possa riceverlo, vedi i casi della donna o dell'impotente. Così la castrazione chimica forzata, pur non servendo a niente, diventa in realtà uno sconto di pena che non tutela nemmeno l'interesse più immediato della protezione delle potenziali vittime future. La castrazione chimica è quindi una soluzione sotto molti punti di vista inefficace e inutile.
(cannavicci@iol.it)
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Secondo gli esperti
“la terapia rende più aggressivi”

Psicologi, criminologi, associazioni anti-pedofilia e sacerdoti si schierano contro il disegno di legge Calderoli sulla castrazione chimica. Perché? La castrazione è una questione non tanto chiara. Da un lato provoca un temporaneo abbassamento dei desideri sessuali, dall'altro rende il soggetto più aggressivo. I dati provengono da una ricerca condotta in California e Canada, dove è praticata da tempo la castrazione chimica. Contrari al disegno di legge anche gli esperti del Moige, il Movimento Italiano Genitori. La loro motivazione è che la castrazione chimica consiste nella somministrazione d'ormoni che tuttavia non modifica l'assetto di personalità del pedofilo, perciò è inutile. Secondo loro una valida alternativa è rappresentata dall’utilizzo di un trattamento psicoterapico durante il periodo di detenzione.
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L’opinione dell’Istituto
“Mario Negri” di Milano

Secondo gli esperti dell’Istituto “Mario Negri” di Milano non vi è alcuna certezza che questo tipo di trattamenti possano avere effetti veramente disincentivanti sulla violenza sessuale. Lo stesso Silvio Garattini, Direttore dell’Istituto, notava che questo problema sessuale nasce nella psiche di una persona, ma non nei suoi livelli di testosterone. Su questi punti chiave la politica e l’informazione dovrebbero discutere, esplicitando e motivando a quale scienza danno credito e di quale ricerca accettano le conclusioni.
Una parte della ricerca infatti offre prove sugli effetti della somministrazione di queste sostanze chimiche solo in alcune parti del corpo e nel breve periodo di tempo. Nel caso concreto si tratta di un farmaco, noto come acetato di ciproterone, che viene usato tra l’altro dai transessuali per ridurre i caratteri maschili del corpo. Che tale sostanza determini un blocco reversibile a livello del testosterone, cioè una sorta di “castrazione chimica”, è evidente. Cosa questo comporti sulla persona intera e nel corso del tempo viene taciuto da questo tipo di ricerca, anzi non viene proprio indagato. Gli effetti sono solo somatici e di breve periodo. In altre parole, un “pezzo” del corpo di una persona, il suo sesso, viene preso per il tutto, e i mutamenti di questo “pezzo” a seguito dell’uso di determinate sostanze vengono automaticamente estesi alla persona nel suo insieme, azzerando il peso, non di poco conto, della mente, dell’esperienza esistenziale e della condizione sociale. Salvo poi restare perplessi quando si scopre, come è accaduto in Germania una ventina di anni fa, che un uomo castrato chirurgicamente aveva ucciso il bambino che cercava di violentare.
Quanto tale riduzionismo sia metodologicamente scorretto e quanto superficiale sia la visione dell’umano che ne emerge, è dimostrato da una mole enorme di ricerca scientifica in vari campi. Eppure, queste visioni semplificate hanno un successo politico e mediatico che può essere incomprensibile se non si tiene conto, da un lato, delle emozioni pubbliche che certi accadimenti mettono in moto, e dall’altro del fatto che la politica si riduce sempre più a comunicazione politica e la comunicazione ad amplificazione acritica di ogni inverificato comunicato stampa. Così come si riceve ciclicamente la notizia che è stato trovato il gene della schizofrenia, la pillola della felicità, la sostanza che cura i bambini-Pinocchio o quella che risolve la pedofilia, e si discute di questo con generico scandalo o infondato ottimismo, senza chiedere alla ricerca di mettere le carte in tavola, senza andare a cercare le sue credenziali. In questo modo, conoscenze anche importanti vengono derubricate al rango di semplici ricette per l’improbabile soluzione di problemi complessi, ed è una specie di campagna pubblicitaria continua in cui la scienza è la prima che ci perde, senza un pensiero critico che la interroghi e la sostenga.

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