I rilievi e gli accertamenti tecnici
ad opera dei Reparti Scientifici
delle Forze dell’ordine - o di altri Istituti
idonei al caso in esame - rappresentano
un supporto all’indagine investigativa
tradizionale per assicurare le fonti
di prova nell’identificazione e ricerca
degli autori dei reati
Le investigazioni scientifiche hanno il duplice compito di rispondere alle esigenze connesse all’attività svolta dai Reparti territoriali delle Forze dell’ordine, sopperendo anche alle richieste avanzate dalla magistratura. Tali attività possono interessare sia la ricostruzione di un’eventuale azione criminosa - in questo caso ricorrendo alle metodologie che spaziano nelle materie su cui è articolata la criminalistica - concretizzandosi con l’identificazione del reo, ovvero espletando accertamenti tecnici su delega della magistratura durante i momenti previsti dalla legislazione penale.
Considerando quanto appena descritto è facile intuire come nel primo caso vi sia un intervento diretto sulla scena del reato da parte degli organi di Polizia, mentre nel secondo vi è la possibilità che questi siano parte integrante del processo: le figure ricorrenti sono il Ctu (Consulente tecnico d’ufficio), ovvero “teste” in conseguenza dell’indagine svolta.
I rilievi e gli accertamenti
tecnico-scientifici
L’azione portata avanti dagli inquirenti viene dettata dai tempi e dai criteri previsti dal Codice di procedura penale:
- art. 55: la Polizia giudiziaria ha il compito di assicurare le fonti di prova;
- art. 347: comunicazione di notizia di reato all’Autorità giudiziaria;
- art. 348, comma 4: prevede per il compimento di atti finalizzati all’assicurazione delle fonti di prova - le prove si formeranno durante il dibattimento - l’ausilio di personale esperto in materia, debitamente nominato mediante redazione di un verbale, quale ausiliario di Polizia giudiziaria(1);
- art. 354: questo articolo prevede la presenza della Polizia giudiziaria sulla scena del reato e quindi indica come essa sia in grado di procedere, laddove il pm non possa intervenire o non sia stato ancora designato, per impedire la modifica dello stato dei luoghi e la conservazione delle tracce pertinenti al reato appena compiuto(2).
Altri articoli interessano le non ripetibili - art. 360 C.p.p. - oppure gli accertamenti volti ad identificare “compiutamente” l’indagato mediante l’assunzione delle impronte papillari - art. 349 C.p.p.; alla panoplia normativa appena citata devono essere aggiunte le leggi ordinarie e speciali quindi le massime espresse dalla Corte di Cassazione.
Andiamo per ordine. Sicuramente i tempi di indagine tecnica o di Polizia giudiziaria non rispecchiano quanto riscontrabile nei serial televisivi dettati, ovviamente, dai brevissimi periodi dello sceneggiato intervallati solo dalle pause pubblicitarie, ogni momento è invece scandito dagli articoli precedentemente richiamati e dalla professionalità degli inquirenti a vario livello. Una prima differenza potrebbe essere individuata tra indagine di Polizia giudiziaria e indagine tecnica.
L’indagine di Polizia giudiziaria è la classica attività investigativa portata avanti dagli uffici di Polizia appena ricevuta la notizia di reato e si concretizza mediante l’uso di pratiche tradizionali affiancate da nuovi ritrovati della tecnologia; l’indagine tecnica, invece, prescinde dai pedinamenti o dalle intercettazioni telefoniche e viene realizzata dai Reparti scientifici delle Forze dell’ordine, dalle Università mediante gli Istituti più idonei al caso in esame, ovvero da Enti privati che posseggono competenze tecniche e materiali, ancora pochi nel nostro Paese, atte allo svolgimento degli accertamenti in parola.
A tal proposito bisogna richiamare le modifiche intervenute nella legislazione penale con il d.lgs 397/2000 che regolamenta le “indagini difensive” autorizzando il legale ad esperire tutti gli accertamenti ritenuti opportuni mediante strutture idonee: all’epoca la stampa parlò di “legge Parry Mason” a causa del connubio avvocato/investigatore, dovendo il legale sottostare ai medesimi limiti del pm, specie per quanto concerne gli accertamenti ex art. 360 C.p.p.
Se l’indagine di Polizia giudiziaria si “complica” a causa dell’interpretazione di tracce individuate sulla scena del crimine(3), è logico che gli inquirenti investiranno le competenze del Comparto Scientifico del proprio Corpo ed ecco che l’indagine tecnica seguirà l’indagine di Polizia giudiziaria dove l’operatore in laboratorio svolgerà tutti gli accertamenti utili sui reperti messogli a disposizione, stilando una relazione tecnica che confluirà nel fascicolo del dibattimento (art. 431 C.p.p.). Occorre una precisazione: molto spesso, anche in questo testo, si parla di “accertamento” e di “rilievi”, lo stesso legislatore cita le due attività senza porre direttamente delle differenze o esplicando le competenze necessarie per la loro attuazione.
Per dirimere eventuali dubbi è intervenuta la Corte di Cassazione - V^ Sezione - con sentenza del 20 novembre 2000(4): “Con ‘rilievi’ s’intende la semplice individuazione, raccolta ed acquisizione dei dati, con ‘accertamento’ viene individuato l’Istituto che opera uno studio critico sui dati elaborando una relazione finale”; ad esempio, relativamente allo studio delle impronte papillari, abbiamo la prima fase, quella dei rilievi, effettuata da personale qualificato presso le organizzazioni territoriali delle Forze dell’ordine che repertano sulla scena criminis i frammenti individuati, la seconda fase, l’accertamento, è posta in essere dal dattiloscopista in servizio presso i Reparti Scientifici, dove materialmente avviene la comparazione con i dati rinvenuti nel database Afis.
L’indagine tecnica, in aggiunta al caso appena proposto, può anche essere delegata dalla magistratura e gli istituti in materia sono due: consulenza e perizia, la differenza consta nel momento procedurale in cui viene richiesta e conseguentemente dalla figura che la richiede. L’art. 359 C.p.p. prevede che il pm, per eseguire le operazioni tecniche per cui sono necessarie specifiche competenze, può avvalersi di consulenti autorizzando gli stessi ad assistere la Polizia giudiziaria in ogni atto dell’inchiesta, si evince chiaramente come questa rientri nella fase iniziale del procedimento, ed è qui che si possono verificare gli accertamenti ex art. 360 C.p.p.
L’articolo appena citato indica la tipica attività d’indagine del pm effettuata al fine di evitare la dispersione delle risultanze di una prova tecnica che può sfociare nell’incidente probatorio(5). La prova in questione non è differibile in dibattimento ed ecco che al momento della sua “formazione” vengono invitati ad assistervi tutte le parti interessate nel procedimento: Procura della Repubblica e collegio difensivo accompagnati dai rispettivi consulenti. Se la consulenza è presente nella fase inquisitoria la perizia verrà richiesta dal giudice(6) durante la fase processuale, quindi ad indagine conclusa con rinvio a giudizio dell’indagato, protagonista ora nella nuova veste di imputato. Il fine perseguito da entrambi gli istituti è il medesimo: accertare la verità dei fatti, nel primo caso mediante una delega d’indagine tecnica volta a coadiuvare la Polizia giudiziaria da parte del pm, nel secondo l’obiettivo è rendere fruibile questa volta al giudice - peritus peritorum - determinate conoscenze delle quali lo stesso magistrato è estraneo per oggettiva incapacità.
La fase del dibattimento è caratterizzata dal rispetto delle norme del Nuovo Codice di procedura penale e del testo costituzionale. Il libero contraddittorio tra le parti avviene davanti ad un collegio giudicante, imparziale ed ossequioso delle sole leggi, dove si formeranno le prove a carico dell’imputato, esaminando quanto confluito nel fascicolo dibattimentale durante la fase inquisitoria. Qui i testimoni ed i consulenti saranno oggetto della cross-examination, l’esame incrociato operato dall’accusa e dalla difesa - art. 498 e 422 C.p.p. - che costituisce il principale mezzo di acquisizione della prova testimoniale nell’udienza penale, seguirà la sentenza ed eventuale appello nei successivi gradi.
Si noti come nello scorrere queste pagine, si sia passato dall’esame di una scena del crimine alle aule di un Tribunale, rispettando e delineando i vari ruoli dei soggetti che, susseguendosi, si completano reciprocamente. Questa sottigliezza non viene evidenziata nei serial televisivi dove spesso avviene tutt’altro e dove si nota il tecnico di laboratorio, quindi un elemento complementare ed in alcuni casi addirittura finale, nell’investigazione svolgere una parte fondamentale dell’inchiesta quasi prevaricando le indagini “classiche” (osservazione, pedinamenti, indagini patrimoniali, interrogatori e l’immancabile redazione dei verbali necessari) sottolineando una figura estranea alla realtà nel nostro Paese(7).
L’indagine tecnica non vuole e non può essere risolutiva o autosufficiente per l’inchiesta in atto(8): una traccia individuata sul luogo del reato lega il soggetto che l’ha depositata alla scena, ma non necessariamente all’evento. Ad esempio, considerando il settore dattiloscopico, vengono assunte le impronte “per esclusione” ai soggetti che legittimamente accedono a quel luogo, sarebbe impensabile arrestare l’impiegato di una banca poiché le sue impronte sono state repertate all’interno dell’istituto di credito appena rapinato, molto più logico raccogliere maggiori indizi possibili per l’individuazione di un eventuale basista, ricostruendo la dinamica dei fatti attraverso metodologie tradizionali ed affiancando a ciò le risultanze degli accertamenti tecnici.
La traccia forense, individuata ed analizzata, ha una sua importanza, anzi una duplice importanza: in un caso potrebbe essere d’aiuto alle indagini avvalorando le tesi fino ad ora seguite dall’Autorità giudiziaria, ma alla stessa stregua può aiutare a salvare un innocente aprendo nuove piste investigative agli inquirenti.
Avviandosi alla conclusione si può accennare come un nuovo filone d’indagine tecnica sempre più frequentemente venga evidenziata dalla stampa per la sua “anormalità”: non vi sono infatti crimini efferati da scoprire -, almeno avvenuti recentemente - non vi sono revisioni di processi in atto a causa della riapertura di un caso investigativo, ma più semplicemente vede coinvolta la Polizia Scientifica nell’Arte o nella “storia”.
Capita sovente che i Comparti delle Forze dell’ordine mettano a disposizione la loro competenza a favore di collaborazioni scientifiche/culturali: si pensi alle analisi esperite dal Reparto Dattiloscopia preventiva dei Carabinieri su alcune tele leonardesche al fine di individuare eventuali impronte papillari del celebre personaggio toscano. Analogo settore ha interessato più volte anche i Reparti della Polizia di Stato, esempi sono le collaborazioni del gabinetto di Polizia Scientifica del Piemonte con il Museo Egizio di Torino, oppure le analisi dei tecnici dell’Ert (Esperti ricerca tracce) in Abruzzo sui resti di un Vescovo vissuto nel Medioevo al fine di accertarne le cause del decesso.
In generale l’argomento sull’indagine tecnica è sicuramente interessante e poliedrico per le varie sfaccettature con le quali si presenta, ma alcune cose debbono essere ben chiare: l’indagine tecnica a seguito di un fatto reato dev’essere sempre vista come un supporto all’indagine tradizionale, mentre si potrebbe azzardare un’inversione di tendenza sulle indagini nella “storia” dove le protagoniste sono le componenti scientifiche - unitamente ad esperti del settore: storici, critici d’arte, medici, utilissimi per contestualizzare le nuove informazioni -, a causa, spesso, della mancanza di testimonianze oggettive.
L’analisi su tracce ben conservate può portare ad interesanti scoperte anche a distanza di secoli: si pensi alla morte di Federico I de Medici, avvenuta per avvelenamento da arsenico, come riportato dagli studi delle Università di Firenze e Pavia nel 2004, fatto appurato dopo 420 anni dalla morte rivoluzionandone la biografia(9).
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Note:
1) L’esempio più banale, prima dell’arruolamento capillare nelle Forze dell’ordine del personale femminile, è la nomina di una donna quale ausiliario di Polizia giudiziaria per la perquisizione di altro soggetto di sesso femminile, i casi poi possono essere vari, si pensi ad esempio alle violazioni edilizie in ordine all’art. 7 della legge 47 del 28/02/1985, per i quali sovente le Forze dell’ordine operano con l’ausilio di personale tecnico del Comune.
2) Articolo che lascia spazio ad interpretazioni di natura pratica: la maggior parte dei Reparti investigativi presenta un organico con un congruo numero di ufficiali ed uno esiguo di agenti di Polizia giudiziaria. Sulla scena del reato capita sovente che giungano, nell’immediateza dei fatti, questi ultimi conseguendone la non osservanza della disposizione in parola che pone l’accento sull’attività che deve essere espletata dagli Upg. Sul testo “Il segnalamento ed il sopralluogo” di Paternò e Diana (ed. Robuffo) si mette in evidenza ciò con un esempio: il repertamento di una traccia ematica la cui integrità è minacciata da intemperie, logico che in ossequio al combinato disposto tra gli artt. 354 e 55 C.p.p. il mero agente di Polizia giudiziaria provvederà ugualmente a repertarla senza per questo invalidarne l’eventuale importanza.
3) La fase analitico-descrittiva della scena del crimine spetta alla Polizia giudiziaria ed interessa non solo il luogo dove il crimine materialmente si è compiuto, ma tutte le pertinenze annesse, ai sensi della circolare n. 1667 del 24 luglio 1910 del ministero della Giustizia: sono da considerare impronte “tutte quelle tracce che si possono riscontrare nel cadavere, nel pavimento, nelle pareti, nei vetri, negli usci, negli oggetti, sulla strada lasciate dalle mani, dai piedi -nudi o calzati - dai denti, dagli strumenti adoperati”.
Secondo Armando Palmeggiani, Ert della Polizia Scientifica, “la scena del crimine è il punto di congiunzione tra la criminalistica e la criminologia qui vi sono tre differenti zone: la scena del crimine primaria, dove è avvenuto il fatto delittuoso, la scena del crimine secondaria, in prossimità della precedente, e la zona d’interesse investigativo poiché l’autore vi è sicuramente transitato”(Napoli, 26/01/2008, seminario di approfondimento “Serial killer - fenomenologia dell’omicidio seriale ed il caso del mostro di Firenze” organizzato da www.criminiseriali.it).
4) Tratto da “Formazione decentrata del distretto della Corte d’Appello di Salerno” - Ercole Aprile, prof. Diritto processuale penale comparato e internazionale, Università di Salerno (Master in Gestione della Sicurezza - Isiaf).
5) L’incidente probatorio, previsto dall’art. 392 C.p.p., di fatto rappresenta una parentesi accusatoria nella componente inquisitoria. La formazione della prova richiesta mediante l’art. 360 C.p.p. - portata avanti dal pm o dall’indagato - viene reputata, dalla parte interessata, fondamentale e non procrastinabile. Si ricordi che la prova si deve formare nelle aule del Tribunale e non durante l’inchiesta, ma evidentemente la natura dell’accertamento, che può interessare sia luoghi che persone, non è rinviabile. L’esempio più diffuso è l’interrogatorio di un soggetto in procinto di morire.
6) L’albo dei periti, diviso in categorie, è tenuto presso il Tribunale. Ai sensi dell’art. 67 disp. att. C.p.p. qualora il giudice decida di avvalersi di un esperto non rientrante nell’albo deve trattarsi di persona che svolge la propria attività professionale presso un Ente pubblico: la maggior parte dei periti, rientranti in questa categoria, sono menbri delle Forze dell’ordine in servizio presso Reparti Scientifici ovvero docenti universitari che svolgono la professione presso gli istituti al momento più idonei al caso in esame: l’Istituto di Medicina legale per un’autopsia, il titolare della cattedra di Tossicologia forense per esami su sostanze stupefacenti.
7) Forensic Awareness è un termine inglese indicante l’acquisizione da parte dei “non addetti ai lavori” della terminologia e della natura degli accertamenti svolti sulla scena criminis e nei laboratori della Polizia Scientifica, sinonimo dello stesso è “effetto Csi” traendo la propria denominazione dall’omonima serie televisiva Usa. Se da un lato tutto ciò ha provocato una maggiore presa di coscienza da parte dei criminali delle tecniche adottate dalla controparte, dall’altra ha indotto il mondo accademico ad incrementare i corsi di studi nelle scienze forensi (Max Houck, director of West Virginia University’s forensic science iniziative - “Manuale d’investigazione criminale” di Marco Strano, edizioni Nuovo Studio Tecna).
8) Alberto Intini, direttore del Servizio di Polizia Scientifica, dice: “La lettura di una traccia forense non può mai essere univoca, da sola non dice nulla” - intervento tratto da “Se anche chi indaga crede di essere su Csi” di Carlo Bonini ne “Il Venerdì di Repubblica” del 30/11/2007, pag. 19.
Nicola Paggetti, comandante del Raggruppamento investigazioni scientifiche dei Carabinieri, dice: “Ormai ci chiedono la luna nel pozzo, bisogna far capire alla gente che la realtà non è quella della tv. Toglietevi dalla testa che la prova scientifica risolva il caso”, tratto dall’intervista rilasciata a Emilio Marrese per “Il Venerdì di Repubblica” del 30/11/2007, pag. 18.
Luciano Garofano, comandante Ris Parma, dice: “Un Dna non fa un assassino ma insieme ad altri elementi sì. Non si deve caricare l’investigazione scientifica della responsabilità di essere l’unica soluzione per risolvere un caso, il nostro lavoro è un tassello che i affianca a seconda delle esigenze all’indagine tradizionale, criminalistica, psicologica”, Milano, Teatro San Babila, “Delitti d’autore”, 13/05/2008.
9) Non ho fatto riferimento ai “casi freddi” riaperti successivamente al rinvenimento di nuove tracce forensi per due motivi: il primo risiede nello status giuridico degli stessi,, l’inchiesta può essere ancora aperta ed i casi passati “in giudicato” sono troppo pochi e la maggior parte di essi non interessano il nostro Paese - con conseguente differenza di normativa -, e comunque a seguito del rinvenimento della traccia vi è l’apertura di un nuovo filone investigativo volto a verificare le nuove posizioni assunte dagli indagati (ritorno al connubio investigazione di Polizia giudiziaria/indagine tecnica). Il secondo motivo l’ho più volte richiamato nel corso di questo scritto, la traccia forense da sola non dice nulla, la traccia lega solo il soggetto al luogo e non necessariamente al crimine (salvo l’impronta insanguinata sull’arma del delitto, e pure in quel caso si possono trovare delle giustificazioni nelle condizioni emotive di chi accorre sul luogo). La riapertura di “casi freddi” ha seguito la progressione tecnologica intervenuta nelle scienze forensi negli ultimi 20 anni: anni ’80 introduzione del microscopio elettronico a scansione, anni ’90, tecnica Pcr (Poliymerase Chain Peaction) associata al Dna - questo permette una “copia veloce del Dna tale da permettere la creazione di un profilo utile per eventuali confronti -, istituzione del database Afis per le impronte digitali - prima di allora era difficile dare “un volto” a chi aveva depositato il frammento papillare rinvenuto sulla scena del crimine in mancanza di sospettati con cui comparare le impronte - si rimane in attesa della costituzione di un analogo database per il Dna (Codis). Anche le tecniche di sopralluogo sono variate aumentando la professionalità degli operatori grazie allo scambio d’informazioni e tecniche all’interno di gruppi di lavoro internazionali (ad esempio l’Enfsi): si consideri il differente approccio alla scena del crimine negli anni ’90, ad esempio le stragi di Capaci e via D’Amelio, con pessima delimitazione dei luoghi e l’accesso quasi incontrollato agli stessi, confrontandola con quella dei delitti “attuali”, ad esempio la strage di Erba, dove il personale accede protetto dai dispositivi individuali (tuta, copricalzari e mascherina) allo scopo non solo di preservare la scena da eventuali contaminazioni ma anche la propria incolumità. Come già detto in precedenza la progressione scientifica può scagionare un innocente: il “Washington Post” ed il programma “60 Minutes” della Cbs hanno condotto un’inchiesta giornalistica sui presunti errori commessi dall’Fbi nelle sue valutazioni su alcuni reperti balistici, il risultato è stato la revisione di prove presentate nei Tribunali Usa negli ultimi 40 anni, la National Academy of Sciences nel 2004 diceva: “i metodi utilizzati sono affidabili e potenzialmente ingannevoli”; secondo Ernest Poger Peele, agente Fbi in pensione, è possibile che nelle carceri statunitensi siano presenti degli innocenti, o comunque gente incolpata sulla base di report fuorvianti dell’Agenzia federale. Quello appena descritto (uno stralcio è presente sul sito quotidiano.net sezione esteri del 19/11/2007) è un esempio di ricerca scientifica innovativa che “scalza” pratiche oramai desuete e devianti, sembra quasi rivedere il trapasso dal “bertillonage” alla dattiloscopia.
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