L’ex presidente di Greenpeace
dichiara guerra alle insidie dell’industria
alimentare, battendosi per tutelare i consumatori
dalle bugie di etichette e pubblicità
La fiaba di Biancaneve ci ha insegnato che non sempre una mela dal bell’aspetto è una mela genuina. Spesso, sotto una buccia lucida e invitante, si possono nascondere delle vere e proprie insidie per il nostro organismo. Pesticidi e altre sostanze nocive, infatti, non sono riconoscibili dal gusto e possono, per questo, passare tranquillamente inosservati. A mettere in guardia dagli inganni del settore alimentare è Thilo Bode, ex presidente di Greenpeace Germania e di Greenpeace International, dal 2002 a capo dell’organizzazione per la difesa dei consumatori Foodwatch, con sede a Berlino. Pioniere di vere e proprie crociate contro i colossi dell’industria alimentare, Bode si batte da tempo per rompere la cortina di fumo che circonda i prodotti ammassati sugli scaffali dei supermercati. Perché il più delle volte non c’è una vera corrispondenza tra ciò che è scritto sulle etichette e quello che mettiamo nel carrello. In Europa sono ammessi 300 additivi alimentari tra coloranti, conservanti, esaltatori di sapidità e altro, ma gli spot e i messaggi pubblicitari per vendere meglio i cibi non fanno altro che parlare di genuinità e di alta qualità. Ma come fare per sapere cosa c’è realmente in quello che compriamo? Neanche Bode è in grado di dare una risposta, perché finché mancherà la trasparenza non sarà possibile scampare alle truffe del settore alimentare. Persino il suo stile purista in fatto di cibo, che consiste nel comprare sempre gli stessi prodotti di cui ormai conosce con sicurezza contenuti e provenienza, non risulta essere una vera e propria alternativa. E’ difficile, ad esempio, avere un controllo sulla carne avariata in circolazione (nel 2007 sul mercato europeo se ne contavano circa 16 milioni di tonnellate), perché non è un problema che scaturisce dal processo produttivo, ma dall’uso irresponsabile delle rimanenze nei punti vendita. Fino a quando non ci saranno delle leggi precise a tal proposito, i consumatori non avranno nessuna reale garanzia. Anche il principio secondo il quale più si paga un prodotto e maggiore è la sua qualità non ha alcuna attendibilità. Il latte del discount può essere ecologicamente buono tanto quanto quello del market biologico come, d’altro canto, una marmellata molto costosa può lo stesso contenere l’acido citrico, nocivo allo smalto dei denti. La Foodwatch si sta impegnando moltissimo nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica con l’obiettivo di far emanare delle leggi che regolamentino e controllino il mercato alimentare. La sua arma più efficace è internet, attraverso la quale diffonde informazioni sulle truffe e sugli inganni a danno dei consumatori e organizza proteste collettive per difendere il loro diritto alla salute. Purtroppo, queste leggi tardano ad arrivare perché, nel nostro sistema democratico, un problema si fa urgente solo nel momento in cui l’opinione pubblica lo prende a cuore e comincia a fare pressione sul governo. Come è accaduto per l’ambiente, del quale i politici hanno iniziato a interessarsi in seguito alla massiccia mobilitazione degli ultimi anni. Senza il coinvolgimento dei cittadini e, soprattutto, dei mezzi di comunicazione di massa, non cambierà mai nulla. Per questo è necessario portare i problemi sotto i riflettori, smascherare le false promesse di genuinità e di freschezza dietro le quali si nascondono le più svariate sostanze nocive.
Finora le battaglie della Foodwatch hanno ottenuto discreti risultati. Recentemente è riuscita a portare all’attenzione dei politici il sistema di etichettatura a semaforo, in grado di informare istantaneamente il consumatore sui valori energetici del cibo che sta acquistando. In passato Bode e i suoi sono riusciti a smascherare le truffe pubblicitarie di aziende come la Mc Donald’s, costrette a cambiare i contenuti della loro falsa propaganda. Al 2003 risale l’emanazione di una legge che vieta la vendita di alcolpop (bevande a base di succo di frutta e alcol) ai minori di 18 anni. Insomma, qualche traguardo è stato raggiunto, anche se quello più grande rimane quello di contribuire alla formazione di una nuova coscienza collettiva, nella speranza che un giorno si arrivi a una democratizzazione dell’universo alimentare.
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