Phyllis Chesler, figura di spicco del femminismo
degli anni ’60, racconta le conquiste della lotta
per i diritti delle donne, denunciando che oggi
molte femministe credono che sia “razzista”
condannare l’oppressione delle donne musulmane
Può essere considerata l’anima critica e magari scomoda del femminismo. Malgrado abbia dedicato la vita con impegno ed abnegazione al movimento femminista. Phyllis Chesler, cittadina statunitense, appassionata di opera, docente emerita di psicologia e studi delle donne, ebrea orgogliosa ed altrettanto orgogliosa sionista, femminista impenitente. Autrice di tredici libri, alcuni dei quali tradotti anche in italiano, la Chesler è stata ed è tuttora, seppur in termini diversi, una colonna portante ed un nome di spicco del femminismo della seconda ondata. Nome con cui solitamente si designa il movimento per i diritti delle donne nato alla fine degli anni ’60 e che ha portato le donne, tra l’altro, ad avere accesso a professioni a loro prima precluse, alla legalizzazione dell’aborto, ad una concezione del matrimonio più paritaria, al riconoscimento della piaga sociale della violenza domestica.
Anni tumultuosi di cui si conservano ricordi di donne con le gonne a fiori e gli occhialoni tipici dell’epoca. Anni pieni di entusiasmo e di voglia di cambiare il mondo. Tra queste donne appassionate c’era anche Phyllis. Anche lei era una strega, come venivano chiamate le femministe. Eppure Phyllis è stata tra coloro che non ha mai odiato gli uomini in quanto tali. Anzi. Malgrado due matrimoni disastrosi con uomini che l’hanno maltrattata quanto meno psicologicamente, Morris il mostro, solo in apparenza un bravo marito ebreo, e Ali, il marito afgano che da uomo intellettuale ed affettuoso si è trasformato, con la complicità della famiglia, in un carceriere una volta arrivato a Kabul con Phyllis.
Da queste esperienze, raccontate nei suoi libri, la Chesler è uscita rafforzata dalla convinzione che nel mondo qualcosa per le donne non quadrava e che doveva fare qualcosa in merito. Modificare la legge, la cultura, la società per rendere il mondo più amichevole e giusto per le donne. Con l’aiuto anche dei maschi. A volte alleati preziosi. Come Ariel, il figlio. A cui l’autrice ha dedicato l’ultima appassionata lettera del suo “Letters to a young feminist”; una sorta di passaggio di consegne carico di affetto. “Non dimenticarti di mandarmi cartoline dal futuro” gli ricorda alla fine.
Donna religiosa e praticante, non ha mai però voluto sottomettersi silenziosamente ad una fede religiosa maschilista. Anzi. Proprio sentendo la fede nel profondo ha aiutato molte altre donne a lottare affinché le pratiche sessiste dell’ebraismo ortodosso venissero eliminate o almeno ridotte. E l’attaccamento alla fede e all’identità ebraica non le ha impedito di lottare a favore delle agunah, le donne “incatenate” a cui i mariti recalcitranti negano il divorzio e, con esso, il rispetto della comunità e una nuova vita autonoma. O di appoggiare i cambiamenti che hanno aperto nuove opportunità per le donne ebree ortodosse.
Ma non è certo dall’ebraismo che arriva per la Chesler il pericolo più grande per le donne. E nemmeno dagli integralisti cristiani e dalle loro battaglie antiabortiste. La minaccia più micidiale e tremenda per la condizione femminile arriva dall’Islam. E dalle pratiche violentemente misogine quali poligamia, mutilazioni genitali, veli integrali, lapidazione, che la Chesler descrive come apartheid islamici di genere. Certo si potrebbe discettare quanto è il peso della religione islamica e dell’interpretazione integralista della stessa in tutto ciò, e quanto il peso di tradizioni tribali e di una più generale arretratezza culturale che regna nei Paesi islamici. Ma il semplice fatto di aver denunciato la condizione femminile nei Paesi islamici ha messo la Chesler in rotta di collisione con gran parte delle sue vecchie sorelle.
Non che questo sia l’unico argomento di divisione. Anzi. Probabilmente il suo sostegno appassionato ad Israele deve essere risultato impossibile da digerire a molte femministe, specie tra le accademiche universitarie, che hanno sposato ciecamente la versione filo-palestinese del conflitto mediorientale. Arrivando a volte a scusare, giustificare e minimizzare il terrorismo palestinese o il terrorismo di matrice islamica tout court. E’ quanto denuncia la Chesler nel suo ultimo libro “The death of feminism”. Un titolo forte e provocatorio ed al contempo un cri de coeur di una veterana femminista che non riconosce più le sue vecchie alleate. E non si spiega come mai non denuncino più come un tempo le violazioni dei diritti umani delle donne. Un j’accuse quindi. Lanciato al movimento femminista reo di essere diventato muto o quasi di fronte alla barbarie di violazioni estreme dei diritti umani in diversi Paesi islamici. E la Chesler ci fornisce anche la spiegazione di questo improvviso ed assordante silenzio. Il multiculturalismo. Quello che la britannica Maryam Namazie, profuga iraniana, laica e femminista ha definito “il fascismo della nostra era”. Ogni cultura ha la sua validità ed è ingiusto criticare le altre culture. Da questo assioma di base, astratto quanto assurdo, deriva la forma mentis che, anche di fronte a situazioni di annientamento per la condizione femminile, fa volgere la testa da un’altra parte anche a coloro che hanno a cuore la causa delle donne in altri contesti.
Pur conservando la stima e l’amicizia di diverse compagne di lotta, la Chesler si è trovata praticamente messa al bando. Di recente sono diventati inesistenti, o quasi, i suoi interventi nei media femministi. Paradossale per un’autrice che, anni addietro, aveva avuto l’idea di cimentarsi nello scrivere un libro dal titolo quasi epico: The Feminist State. Uno stato femminista, un’utopia per le donne di cui la Chesler intendeva tracciare le linee guida. Traendo spunto da un’altra visione di stato, prima abbozzata teoricamente e poi realizzata nel concreto. Quella di Israele e del movimento che ne ha ideato e permesso la nascita: il sionismo. Progetto di scrittura poi abbandonato. Altri argomenti erano più pressanti: l’indipendenza economica delle donne, la battaglia giudiziaria per la custodia dei figli, il contributo del femminismo alla psicologia ed alla psicoterapia o ancora il ruolo che gioca la società con le aspettative e le pressioni sulla salute mentale delle donne di cui la Chesler ha trattato brillantemente in “Le donne e la pazzia”. Altri ancora oggi sono gli argomenti che hanno la precedenza: il ruolo delle donne nell’ebraismo, il nuovo antisemitismo, la condizione femminile nel mondo islamico.
Prima di contattare la Chesler per intervistarla ho letto quattro dei suoi libri. Apprezzandoli tutti, pur se in maniera diseguale. Riconosco che come uomo ho provato un senso di rivalsa leggendo “Donna contro donna”. Un testo dalla prosa scorrevole e ricco di note dettagliate e con un’ampia bibliografia, in cui l’autrice smonta il luogo comune che vede gli uomini tout court come oppositori alla lotta per l’emancipazione femminile. Non che non lo siano ma, più spesso di quanto non si pensi invece, sono proprio le donne le prime ad ostacolare le proprie simili con l’invidia, la meschineria, la cattiveria e la maldicenza. E tutto questo a discapito non solo della condizione di ogni singola donna ma dello status delle donne in generale.
Con “Letters to a young feminist” l’autrice ripercorre la sua vita ed il suo impegno, pratico e teorico a favore della parità dei sessi e si appella ai giovani, uomini e donne, affinché continuino la battaglia. In “Le donne e la pazzia”, pur non negando certo l’esistenza della malattia mentale, la Chesler denuncia, oltre ai soprusi ai danni delle malate di mente nelle varie cliniche ed alle violenze psicologiche da parte di molti terapeuti, l’atteggiamento duplice che l’establishment della psichiatria aveva ed in parte ancora ha, con gli uomini e le donne.
Le denuncie di “The death of feminism” sono convincenti ed appassionate. Meno lo è la comunanza, in tempi recenti, con la destra cristiana che ha offerto all’autrice una tribuna che le femministe le avevano tolto. Non che la Chesler abbia rinnegato nulla del suo passato. Infatti si considera una femminista impenitente. Ma allearsi con gruppi che, pur con alcune eccezioni, contrastano pesantemente con i diritti delle donne, in particolare ma non solo per quanto riguarda la sfera delle libertà in materia di salute riproduttiva, peraltro sempre cara all’autrice, rischia di alienare possibili simpatie. Anche se non è certo facile giudicare. Anche Hirsi Ali, estromessa e zittita dai progressisti, che, almeno in teoria, avrebbero dovuto essere i suoi più accaniti sostenitori, ha trovato rifugio presso una fondazione conservatrice. Pur chiarendo di non voler rinnegare le sue idee.
Al momento la Chesler continua a far sentire la sua voce dal suo blog personale “Chesler Chronicles”e sui media ebraici. Rimane da sperare che le femministe si liberino una volta per tutte della chiusura mentale del multiculturalismo e che tendano di nuovo una mano a Phyllis. Non credo lei rifiuterebbe. Potrebbero scoprire di avere più cose in comune di quanto non pensino.
Da New York, dove vive e lavora, la Chesler ha risposto alle mie domande.
E’ contenta del risultato delle recenti elezioni negli Stati Uniti? Ha una lista di desideri urgenti per le donne americane?
Nessuno dei due candidati alla presidenza mi aveva entusiasmato oltremisura anche se ovviamente Obama mi ha colpito per essere un uomo carismatico, elegante e finemente intellettuale. Quello che mi inquietava erano i suoi seguaci che sembravano aver bisogno di un Messia e che hanno creato un culto sul suo personaggio, e sulla sua mancanza di esperienza. Ad ogni modo, sembra si stia muovendo in maniera decisamente chiara ed acuta nel mettere insieme il suo team. Ovviamente le donne e le minoranze etniche fanno parte della sua squadra. Ma il “cambiamento” a cui Obama si riferiva sembra, al momento, essere un “cambiamento” di ritorno all’era Clinton. Obama sta nominando in maniera netta molte figure dell’era Clinton.
Riguardo ai miei desideri per le donne: non ne ho. Ed ecco perché. In un momento di profonda crisi economica le donne subiranno le conseguenze in maniera differente e più pesante rispetto agli uomini. Lo stress (la disoccupazione, la perdita della casa e della speranza nel futuro) spesso significano che le donne hanno più alte probabilità di essere picchiate e maltrattate. Abbiamo troppi pochi centri per le donne maltrattate. Gli stupri e gli incesti sono diffusissimi, immagini quanta protezione dalla Polizia in meno e quanta giustizia in meno le donne riceveranno se ci sono tagli di budget. Le donne ricevono pochissimi servizi di sostegno all’infanzia quando l’economia va bene, immagini cosa avranno in tempi di crisi. Nominare alcune donne a posti chiave del governo o come giudici, per quanto lodevole, non necessariamente produce un effetto che si ripercuote positivamente per la protezione di donne e bambini dalla violenza domestica.
In “The death of feminism” lei ha denunciato il quasi assoluto silenzio da parte del movimento femminista nei confronti del fondamentalismo islamico. Ha notato dei cambiamenti da allora? Ci sono dei gruppi che sono più disponibili a denunciare il fondamentalismo islamico ora?
Le organizzazioni femministe nazionali come la National Organization for Women, o la Feminist Majority, e molte studiose e giornaliste femministe non hanno ancora osato descrivere l’Islam in maniera corretta per non essere accusate di “razzismo”. Certamente si occupano della condizione delle donne musulmane ma tendono ad addossare alla politica estera degli Stati Uniti la colpa di questa condizione e non chiaramente ai Talebani, ai Principi dell’Arabia Saudita, ai mullah dell’Iran, alla Fratellanza Musulmana in Egitto, ecc.
Più in generale proprio di recente i media americani si sono prostrati all’indietro quando non hanno descritto che il massacro dei terroristi musulmani a Mumbai è dovuto all’ideologia dell’Islam fondamentalista. Infatti gli articoli hanno puntualizzato, correttamente, che anche gli induisiti sono stati violenti. Eppure se quanto accaduto a Mumbai fosse stato ispirato dal problema pakistano-indiano, allora perché gli jihadisti si sono accaniti contro gli ebrei, gli americani ed i britannici?
La storica elezione di Obama indica che le disparità razziali sono quasi completamente sparite. Questo però non è vero per le disparità di genere. La vittoria di Obama è stata celebrata in tutto il mondo, pensa che sarebbe successo lo stesso se fosse stata una donna, di qualunque razza, ad essere stata eletta Presidente?
L’elezione di Obama non significa che le disparità razziali siano scomparse. Obama non è un afro-americano. E’ un uomo bi-razziale e multiculturale che ha vissuto una vita privilegiata sia dal punto di vista dell’istruzione che da quello economico. Mentre l’orgoglio di razza per gli afro-americani può essersi elevato e, alcuni sperano, il profilo degli Stati Uniti come nazione non-razzista sarà anche elevato, e magari anche che ora la Francia ci ami, molte persone di colore in America che vivono ancora in quartieri dove il cibo costa di più ed è molto meno sano, dove ci sono problemi enormi legati alla droga e a scuole con classi violente e affollate, dove le abitazioni non sono salubri.
Se avesse vinto una donna? Penso che avrebbe psicologicamente elevato tutte le donne, ma non avrebbe necessariamente significato che tutte le donne avrebbero cessato di essere crudeli ed irrispettose le une con le altre. Una donna presidente non avrebbe significato che l’orrendo traffico sessuale delle donne e dei bambini sarebbe cessato o che la pornografia sarebbe stata abolita.
In “Letters to a young feminist” lei ha dedicato l’ultima lettera ad Ariel, suo figlio. C’è un consenso generale tra le femministe che anche un uomo può considerarsi tale? Può fare alcuni esempi?
Assolutamente. Sia Betty Freidan che Bella Abzug che non erano assolutamente radicali quanto lo ero io un tempo, insistevano sul coinvolgimento degli uomini nel movimento femminista e nel loro poter essere considerati come femministi. Ovviamente solo una minoranza è diventata parte attiva del movimento. Gli attivisti erano in genere i mariti, i fidanzati e i figli delle militanti donne.
Ma ora, anni dopo, è chiaro che molti uomini accettano alcuni punti di vista del femminismo come dati di fatto. Gli uomini sono più coinvolti nella cura dei figli e sono abituati a nominare donne come professori, giudici, avvocati, etc.
Potrebbe aver senso affermare che il movimento femminista non sta confrontando l’estremismo islamico come dovrebbe a causa della stanchezza? Dopo tutto la violenza contro le donne continua a ritmi elevati, le donne acquistano potere politico in modo molto lento e la libertà riproduttiva per le donne è sempre sotto assedio. Con tutti questi fronti aperti magari non c’è abbastanza forza.
No. Anche se è certamente una buona teoria. Noi femministe della seconda ondata stiamo entrando nel quarantaseiesimo anno di attività. Ma ci sono altre femministe più giovani che sono meno stanche. Quando la Seconda Ondata era al suo picco ci siamo concentrate di più sul diritto all’aborto che sul diritto di una donna alla maternità con tutto quello che ne consegue. Ora dopo anni di propaganda nei campus di Edward Said e delle sue grandi bugie alla moda, molte femministe onestamente credono che sia “razzista” condannare o lavorare contro l’oppressione delle donne musulmane e dei dissidenti nelle comunità e nei Paesi islamici.
Credono che sia l’occidente ad aver “causato” alcune delle barbarie e di conseguenza non possono giudicare la lapidazione delle donne in maniera troppo severa… le femministe amano ritenersi pacifiste e di conseguenza sono più a loro agio con una posizione isolazionista nei confronti con i Paesi in via di sviluppo.
Mentre l’estremismo islamico è di gran lunga il più violento, pericoloso, forte ed economicamente potente, esistono altri estremismi religiosi che attaccano I diritti delle donne. Resistere il primo non dovrebbe essere una scusa per ignorare gli altri semplicemente perchè sono meno pericolosi.
Sono d’accordo. Ma molti occidentali, incluse le femministe e le persone di sinistra, si concentrano sugli attacchi ai diritti delle donne da parte della destra cristiana e rifiutano di concentrarsi sul fondamentalismo islamico e sugli attacchi terroristici ai diritti delle donne.
Dal mio punto di vista, se non eliminiamo l’islamismo presto gli islamisti metteranno il velo alle donne in tutta l’America e l’Europa, ci costringeranno a convertirci e ci obbligheranno a matrimoni poligamici. Di conseguenza, non rinuncio a nessun punto della piattaforma femminista, ma a cosa ci serviranno i nostri diritti sulla carta se siamo bombardati indietro nel tempo fino al settimo secolo?
Al momento le religioni, quella islamica in particolare, non solo sono ossessionate dal regolare la sessualità ed il corpo delle donne ma tendono a imporre come, cosa e quando mangiare, pregare, cantare, danzare, come vestirsi, etc. Perché così tante persone, incluse le donne, sono così psicologicamente pronte ad obbedire agli autoproclamati leader maschi che intendono controllare e limitare ogni aspetto della vita quotidiana?
Come gli uomini, anche le donne interiorizzano visioni del mondo sessiste. Ho scritto a lungo di questo nel mio libro “Donna contro donna”. Uno dei pochi modi in cui le donne vengono premiate è quando si mostrano ancora più reazionarie degli uomini.
Al contempo le comunità di fede offrono alle donne speranza, spiritualità, sostegno, approvazione, aiuto quando qualcuno è ammalato o muore, etc. Il mondo laico non fa spesso lo stesso.
Recentemente in Israele si sono registrati alcuni trend preoccupanti che vanno nella direzione della limitazione delle libertà civili per le donne (bus segregati, Polizia religiosa ultraortodossa, ossessione per l’abbigliamento femminile, proibizione dell’educazione femminile nelle comunità ultraortodosse, commenti feroci contro Tzipi Livni, ecc). Cosa sta succedendo? Sembra che alcuni elementi nella comunità ebraica vogliano imitare l’estremismo islamico.
Sono d’accordo al 100% e definisco questo fenomeno “l’islamificazione dell’ebraismo”. Sono stata una leader del gruppo Women of the Wall che per anni ha lottato per il diritto delle donne a pregare al muro di Gerusalemme ad alta voce. Sono stata tra coloro che hanno cominciato un’azione giudiziaria contro lo Stato di Israele in difesa dei diritti religiosi delle donne ebree. Ironico, no?
In tutto il mondo, Israele incluso, le donne sono rabbini nelle congregazioni reform, conservative e reconstruzioniste e guidano i fedeli, maschi e femmine, nelle preghiere. Le donne ortodosse pregano insieme in gruppi femminili e cantano dalla Torah. Di recente le donne ortodosse pregano insieme agli uomini nelle partnership minyanim. Eppure in Isreale, nel posto più sacro per gli ebrei ad oggi è proibito per le donne pregare ad alta voce in gruppo con una Torah.
Dall’esterno sembra che la nostra battaglia sia stata vinta dai fanatici ultraortodossi. Ma abbiamo anche molti sostenitori in varie aree della società israeliana. Vorrei inoltre sottolineare che è stato un uomo liberale, progressista e molto stimato, il Capo della Corte Suprema israeliana Aharon Barak che ha dato il voto decisivo contro la nostra causa. Barak è stato capace di dare giustizia agli arabi israeliani, ma non alle donne ebree.
Lei è sia femminista che sionista pro-Israele e ha denunciato l’odio anti-isrealiano tra le femministe. Cosa può dire del fronte sionista pro-Israele? Sono persone sensibili alla causa delle donne come le piacerebbe che fossero?
I cristiani e gli ebrei conservatori sono, come individui, rispettosi di quanto ho da dire sull’apartheid islamico di genere e religioso. Sostengono una posizione pro-donna quando, da come la vedo, si tratta della sicurezza nazionale. Comunque, come movimenti, con molte eccezioni, tendono ad essere fobici nei confronti del femminismo, degli omosessuali, degli agnostici, dei laici, ecc.
Pensa che si può criticare alcuni aspetti della politica estera isrealiana ed essere considerati amici? Dove pone la linea di demarcazione che divide la legittima critica dalla demonizzazione?
Mi perdoni. Ho scritto un libro dal titolo “The New Antisemitism” e centinaia di articoli a riguardo. Per farla breve: nel 2002/2003 ho deciso che l’antisionismo è l’antisemitismo. Quindi, mentre posso criticare lo Stato di Israele, faccio attenzione a bilanciare la mia critica dell’unica democrazia occidentale nel Medio Oriente rispetto a vere atrocità in termini di diritti umani come quelle del Darfour, Rwanda, Congo, Guatemala e anche nella vecchia Russia e in Cina. Ovviamente, faccio attenzione a mettere a paragone Israele in termini di diritti umani con Gaza, l’Egitto, l’Arabia Saudita, il Pakistan, l’Iran e l’Afghanistan.
In Israel ci sono terroristi palestinesi che sono prigionieri. Dato che prendono il loro odio e l’ideologia dai testi sacri sembra che non ci siano sforzi per allontanarli da questa ideologia di odio. Immagini confiscare i loro libri sacri e, per mesi o anni, far leggere loro fiabe, commedie romantiche, libri di filosofia, facendo ascoltare loro musica new age, ecc. Come psicologa pensa che potrebbe funzionare?
Gli israeliani stanno facendo proprio questo. Gli omicidi seriali per committenza che “si occupano” degli attentatori suicidi sfruttano giovani uomini e donne tristi e senza affetto, spesso senza padre e che non hanno mai avuto un’infanzia.
Qual è, stando alla sua esperienza, la relazione che le donne islamiche e quelle ebree ultraortodosse hanno nei confronti dei rispettivi testi sacri? Vede prospettive diverse o simili?
Ci sono alcune fastidiose aree di sovrapposizione e di influenza tra i musulmani e gli ebrei ultraortodossi, ma non gli ortodossi moderni, in merito al trattamento delle donne. Eppure l’ebraismo come religione si è evoluto mentre l’Islam no. E in questo c’è la fonte del più grande problema del mondo.
Cosa pensa della relazione tra le religioni e lo status delle donne? Personalmente, anche se non ho dati, non rimarrei stupito dall’apprendere che , per esempio, la violenza domestica è decisamente più sviluppata tra le comunità ultraortodosse che non nelle correnti egalitarie dell’ebraismo come i reform, conservative e recostruzionisti.
Gli stessi mali della natura umana esistono ovunque. Nemmeno la pratica religiosa o una visione del mondo religiosa li può cambiare. Gli agnostici, i laici, le persone di fede tutti possono comportarsi in maniera ipocrita, disumana e avida. Uomini di tutti gli orientamenti abusano le donne e i bambini. Anche se alcune volte penso che le persone potrebbero essere addirittura peggiori senza ideali religiosi e/o etici nelle loro vite.
Oggi si parla molto di “dialogo”, “pace” e “integrazione” e in molti casi non è chiaro che cosa le persone intendano con ciò. Potrebbe darmi una definizione di queste parole?
No. Ma posso dire che come molti attivisti contro la Guerra, quelli che chiedono “dialogo” o “pace” spesso vogliono significare esattamente l’opposto di quello che dicono. Di sicuro quando gli ebrei sono di mezzo.
Le donne ebree sono più pronte a lottare per I diritti delle donne delle non-ebree. Molte tra le femministe famose includono donne ebree, come è il suo caso. Si tratta di qualcosa di innato o è il prodotto di un’atmosfera culturale?
L’ebraismo valorizza l’educazione ed il servizio all’umanità. Troverà ebrei in prima linea di ogni battaglia per la giustizia sociale.
Il mercato libero e l’economia globale stanno aiutando le nazioni islamiche ad avere profitti enormi dal petrolio. Non sarebbe ora di cambiare il più in fretta possible verso le energie rinnovabili?
Certo. La nostra dipendenza dal petrolio, specialmente da quello del Medio Oriente e dall’Asia Centrale è folle. Dovremmo guidare auto elettriche o ibride. Se e quando questo accadrà, non ci saranno più soldi per finanziare la jihad e avremo risolto due problemi in un colpo solo.
In passato ha viaggiato in Italia. Quali sono i ricordi che ha della nostra nazione e della sua gente?
Amo l’Italia e spero di poterci ritornare. Nel 1969 sono stata in un appartamento a Piazza Navona e ho visitato il mio vecchio amico Paolo Milano e avevo una vista meravigliosa sulle sette colline.
Sono tornata nella metà degli anni ’70, su invito di Einaudi, che aveva comprato sia Women and Madness che About Men. Mi ricordo di aver passato un pomeriggio molto lungo e languoroso con Dacia Maraini che mi aveva intervistata. Mi ricordo una volta, nel 1990, a Venezia su un battello a vapore e una visita al lago Maggiore. Che bello! E quanto rilassante.
L’ultima volta ero in Italia quando ho insegnato ad un seminario di scrittura ad Assisi ma quello che mi ricordo di più è il Gran Hotel in cui sono stata a Roma vicino Piazza della Repubblica e le lunghe, lente camminate nella vicina via.
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