L'esecuzione delle misure di sicurezza dipende
dal giudizio di pericolosità e dai criteri utilizzati
per il suo accertamento. La giurisprudenza
non fornisce strumenti certi
per l'individuazione dei limiti del concetto
di pericolosità sociale, e il giudizio resta
in gran parte affidato all'intuizione
Agli effetti della legge penale è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, che ha commesso un reato quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati (art. 203 C. p.). La pericolosità sociale viene considerata alla stregua di un modo di essere del soggetto, non legata alle circostanze esterne, ma correlata ad una sua predisposizione psicologica, da cui si deduce la probabilità che egli commetta nuovi reati.
Secondo i giuristi si parla anche di “capacità a delinquere”, tuttavia circa il rapporto che intercorre fra capacità a delinquere e pericolosità sociale, la prevalente dottrina ritiene che la capacità a delinquere si concreti in un giudizio sulla possibilità che l'individuo commetta in avvenire fatti delittuosi, mentre la pericolosità sociale andrebbe intesa come una forma intensa di capacità a delinquere, ossia come una rilevante attitudine di una persona a commettere un reato.
La pericolosità sociale, dunque, starebbe alla capacità a delinquere come la probabilità sta alla possibilità. La pericolosità sociale prescinde e si distingue inoltre anche dalla tipologia del reato commesso, perché mentre quest'ultimo costituisce un accadimento storicamente circoscritto, la pericolosità sociale implica invece una situazione soggettiva, psicologica, durevole. Il reato costituisce comunque il necessario presupposto del giudizio di pericolosità sociale.
Il giudizio sulla pericolosità consta dell'accertamento delle qualità indizianti, da cui si desume la probabile commissione di nuovi reati, e della cosiddetta “prognosi criminale”, quale giudizio sul futuro della condotta criminale del soggetto, fondato su tali qualità. Il Codice disciplina quattro forme specifiche di pericolosità sociale: la recidiva, l'abitualità criminosa, la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere.
L'accertamento giudiziale della pericolosità sociale, effettuato attraverso un accertamento tecnico, detto perizia psichiatrica, si articola in due momenti: quello dell'analisi della personalità dell'individuo, con accertamento delle qualità indizianti, da cui dedurre la probabile commissione di nuovi reati e quello della prognosi criminale, cioè il giudizio sul futuro della condotta criminale del soggetto, effettuato sulla base di tali qualità. Il Codice non dice quali siano le qualità soggettive da cui deve dedursi la pericolosità: l'art. 203 C. p. si limita a un mero rinvio secondo cui "la qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate nell'art. 133", da cui discende che il giudizio di pericolosità va effettuato con riferimento alla gravità oggettiva e soggettiva del reato commesso ed agli elementi da cui si desume la capacità a delinquere, i quali, visti in chiave prognostica, possono presentare un significato diverso da quello che assumono in funzione della responsabilità, in quanto vanno apprezzati come sintomo di probabile futura recidiva.
Si tratta comunque di un giudizio sulla personalità del soggetto nel suo complesso ed ha per oggetto l'accertamento della pericolosità non tanto al momento della precedente commissione del fatto, ma piuttosto in quello successivo in cui il giudice deve decidere se disporre o meno la misura di sicurezza.
Il problema fondamentale in materia è quello dell'individuazione di criteri certi ed univoci per la delimitazione del concetto di pericolosità: questa infatti è concepita come il risultato di una prognosi sui comportamenti futuri, secondo un giudizio di probabilità, non di certezza. Ne deriva quindi che "la certezza deve essere nelle premesse e nelle garanzie di univocità di un giudizio finalisticamente orientato a collegare il presente al futuro, nell'ambito di un'evoluzione criminologicamente rilevante".
Circa la pericolosità accertata, come in generale per l'esame della personalità del delinquente, si lamenta che il giudizio resta in gran parte affidato all'intuizione, quando non anche all'ideologia del giudice. Ciò sia, anzitutto, per la genericità degli elementi dell'art. 133 C. p.
Si sono avuti in dottrina tentativi di individuare, a partire da tali elementi, qualità soggettive indizianti di pericolosità: in base agli elementi previsti dall' art. 133, comma 1 (da cui si desume la gravità del reato) il giudice potrà valutare se trattasi di un delinquente crudele o di normale sensibilità, se si tratti di un delinquente che cede facilmente al delitto o se vi cede solo spinto da grandi prospettive, se si tratti di un delinquente passionale o di un delinquente freddo. Tuttavia ai fini della prognosi criminale sono di maggiore importanza gli elementi di cui al comma 2, (da cui si desume la capacità a delinquere), per cui sono considerate qualità indizianti di pericolosità sociale, ad esempio, riguardo ai motivi del delinquere, l'attitudine a seguire impulsi sproporzionati rispetto al mezzo criminoso usato e al di fuori di particolari situazioni ambientali determinanti.
Per quanto riguarda il carattere del reo, deve essere considerata l’attitudine a superare le normali inibizioni sociali per aggressività o per incapacità a resistere alle suggestioni esterne. Per quanto riguarda inoltre le condizioni di vita, va analizzata e riscontrata l'incapacità psichica a svincolarsi da un ambiente criminogeno. Circa i precedenti penali infine, va analizzata e valutata l'attitudine radicata a commettere reati della stessa indole o aventi motivazioni analoghe.
In generale il giudizio di pericolosità sarà tanto più negativo quanto più il reato commesso appaia come fenomeno isolato nel complesso di una vita in contrasto con esso, così come quando la condotta contemporanea e susseguente al reato ne contraddica i motivi e sia in antitesi con essi.
La giurisprudenza a sua volta non ha fornito strumenti certi per l'individuazione dei limiti del concetto di pericolosità sociale. La stessa Corte di Cassazione ha in passato affermato che essa può essere "desunta da situazioni che giustificano sospetti o presunzioni, purché gli uni e le altre appaiano fondate su elementi obiettivi e su fatti specifici ed accertati", per esempio la compagnia di pregiudicati, l'omertà, la mancanza di uno stabile lavoro, denunzie penali indipendentemente dall' esito, ecc. (Cassaz. 9/4/68, 26/1/77, 9/3/77, 7/10/77).
A questi fattori da ricercare e valutare nella perizia psichiatrica, si aggiunge il perdurante divieto di perizia criminologica posto dall'art. 314 del vecchio Codice di procedura penale e ribadito dall'art. 220 del nuovo, che ammette solo perizie di tipo psichiatrico, mentre vieta in fase di cognizione le perizie volte a stabilire l'abitualità, la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche. Tale divieto del Codice di procedura penale persegue delle finalità garantistiche nei confronti dell'imputato, e sussiste anche a riprova della perdurante sfiducia nei giudizi predittivi delle scienze criminologiche.
Un giudizio con conseguenze così profonde sulla libertà personale non può essere lasciato al metodo intuitivo che sembra dominare nella prassi, né d'altro canto sembra rintracciabile alcun metodo di accertamento che possa garantire una esecuzione almeno uniforme delle prognosi di pericolosità: non il cosiddetto 'metodo statistico' della valutazione per tabelle, per l'incompletezza della base prognostica che necessariamente esclude variabili personali che nel caso concreto possono essere decisive. E nemmeno il cosiddetto 'metodo clinico', che attraverso l'intervento del perito individualizza maggiormente il giudizio, ma si traduce spesso in difficoltà di collaborazione costruttiva tra giudice e periti e in soggettivismi derivanti dalla non omogeneità delle premesse teoriche a cui questi ultimi si rifanno.
Di fronte all'incontestabile inadeguatezza del criterio intuitivo ed alla necessità di una cooperazione tra diritto penale e scienze criminologiche ai fini dell'accertamento della pericolosità, è via preferibile, tra gli opposti estremismi delle presunzioni legali e dell'accertamento caso per caso, la tipizzazione di "fattispecie legali di pericolosità criminologicamente fondate" o di indici di pericolosità individuati dalla legge in base alle conoscenze acquisite dai criminologi in materia di comportamento recidivante che guidino il giudice nel giudizio prognostico sulla pericolosità, rendendo inoltre "più rigorosi i presupposti di accertamento fondati innanzitutto sulla gravità dei precedenti reati del soggetto e del reato commesso".
Tale soluzione ha il vantaggio di offrire parametri comuni e preventivamente determinati e fonda il giudizio sulla pericolosità su 'giudizi individualizzati' caso per caso e non in maniera correlata a parametri generici e standardizzati.
(cannavicci@iol.it)
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Criminalità e disturbi psichiatrici:
studi effettuati negli Usa
Vari fattori di carattere giuridico, politico e sociale, hanno portato negli ultimi quaranta anni a una vera e propria epidemia di disturbi psichiatrici nel sistema carcerario americano. Anche se numerose indagini riportano elevati tassi di disturbi psichiatrici tra i detenuti rispetto alla popolazione generale, non è ancora chiaro se la malattia mentale sia di per se un fattore di rischio di comportamenti criminosi.
Un recente studio americano ha analizzato i dati sui disturbi psichiatrici, sulle caratteristiche demografiche e sulla storia carceraria dei precedenti sei anni di 79.211 detenuti. Dallo studio risulta che i detenuti con i principali disturbi psichiatrici (disturbo depressivo maggiore, disturbi bipolari, schizofrenia e disturbi psicotici) hanno notevolmente aumentato il rischio di subire più incarcerazioni durante il periodo analizzato. In particolare, i pazienti bipolari e quelli schizofrenici hanno un aumentato rischio di comportamenti criminali. In un altro recente studio, i ricercatori si sono prefissi di descrivere le possibili differenze psicopatologiche tra i pazienti con e senza una storia criminale antecedente al primo episodio psicotico. Lo studio multicentrico ha coinvolto 16 centri di trattamento psichiatrico, e valutato 477 pazienti con primo episodio di psicosi e incrociato i dati psichiatrici con quelli relativi alla materia penale. Dallo studio non sono emersi indizi utilizzabili per l'individuazione precoce di criminali prima del primo episodio psicotico. Tuttavia, quando i dati sono stati corretti per sesso, età, abusi, condizioni di vita, stato civile, stato di occupazione e istruzione, si è potuto associare la sintomatologia psicotica produttiva (dissociativa o delirante) in primo luogo, alla carriera criminale. I livelli di premobidità e quello di diversi parametri funzionali, sono stati associati in maniera significativa ai precedenti penali evidenziando differenze importanti nello spettro psicopatologico schizofrenico tra i pazienti con e senza una carriera criminale antecedente il primo episodio di psicosi.
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Dentro il cervello schizofrenico
Nella sua presentazione dal titolo ‘The neurobiology of schizophrenia’ la professoressa Abi-Dargham, nel corso del 9th International Psychiatry Forum ha riesaminato le attuali conoscenze sulla schizofrenia relative in particolare alla disregolazione di un neurotrasmettitore noto con il nome di dopamina. Un eccesso di dopamina in un centro nervoso, detto nucleo striato, posto alla base del cervello, si collega direttamente ai sintomi positivi della schizofrenia mentre una riduzione dei livelli di dopamina nella corteccia prefrontale si pensa possa contribuire allo sviluppo dei sintomi negativi della malattia e dei deficit cognitivi correlati ad essa. Entrambi potrebbero rappresentare il risultato finale di un alterato funzionamento del sistema di un altro neurotrasmettitore, impicato nella regolazione delle emozioni, noto come glutammato.
Gli studi oggi si avvalgono delle preziose immagini della neuroimaging e tramite esse si possono individuare i recettori neurologici implicati nei vari disturbi, la loro concentrazione, assenza e funzionalità. La cattiva regolazione del funzionamento della dopamina nel cervello del paziente schizofrenico rappresenta la base neurologica su cui vengono a prodursi i vari sintomi psicologici, comportamentali e sociali. Ed è su tale base neurologica che vengono somministrati con efficacia i vari farmaci antipsicotici, ad azione contraria alla dopamina.
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Il delitto ed il castigo nel cervello
Alcuni recenti studi hanno evidenziato quali siano le aree cerebrali in cui affondano le radici del senso della giustizia nel cervello. Aree che potremmo definire del 'Delitto e Castigo' e che trovano sede in due aree neurali differenti: una che decide sulla colpevolezza dell'individuo, mentre l'altra decide sulla punizione da infliggergli.
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Neuron un'area del cervello, razionale, nota ai neurologi con il nome di corteccia dorsolaterale prefrontale, collocata nel lobo emisferico di destra, si occupa di 'decidere' sulla colpevolezza o innocenza di una persona, mentre altre aree e centri nervosi, correlati alle emozioni e al districarsi nei rapporti sociali, noti con il nome di amigdala e corteccia cingolata, decidono invece sulla pena. Lo studio è stato diretto su un gruppo di volontari da neuroscienziati del Department of Psychology della Vanderbilt University a Nashville, Tennessee. La terza parte neurologica, quella imparziale, cioé il giudice, è usata per stabilire la responsabilità e determinare una pena appropriata. Tuttavia ancora non ci sono sufficienti conoscenze sulle origini e sui meccanismi neurali sottostanti la capacità di prendere decisioni legali imparziali.
Questi studi cominciano a muovere i primi passi nello svelare dove nasce il senso della giustizia e la capacità di amministrarla. Gli esperti a questo proposito hanno proposto a dei volontari una serie di scenari di crimini e chiesto loro di stabilire colpevolezza o innocenza e di determinare una pena congrua. Quando si tratta di decidere sulla colpevolezza, la corteccia dorsolaterale prefrontale destra si attiva e lo fa tanto più intensamente quanto maggiore é la certezza che l’imputato sia colpevole. Quando si tratta invece di stabilire una pena si accendono aree molto meno razionali legate alle emozioni, segno che nella decisione della pena si tiene conto anche di attenuanti e si entra nei panni del reo per capire cosa lo ha portato a commettere il crimine.
La scoperta mostra quindi che il funzionamento dei sistemi giudiziari e la loro organizzazione e differenziazione, affondano le loro radici nello stesso modo di funzionare del cervello.
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