L’approvazione del ddl 733, il cosiddetto “pacchetto sicurezza”, da parte del Senato della Repubblica, completa il progetto del governo di intervento legislativo sulla sicurezza, preannunciato fin dalla campagna elettorale dai partiti della maggioranza, che hanno utilizzato la sicurezza per strumentalizzare e far crescere l’allarme sociale percepito dei cittadini ed hanno individuato di volta in volta, un argomento su cui alzare il polverone della propaganda. Alternativamente, il pericolo indicato alla popolazione è stato messo in relazione a fatti di cronaca drammatici e che suscitavano la pubblica emozione, come gli stupri e la violenza sulle donne, ed allora l’obiettivo era indicato nei rom e i romeni, e per estensione agli stranieri, anche quando a commettere i reati erano italiani . Poi si è scelta la prostituzione esercitata in strada, i writers e i senza fissa dimora.
Il governo ha proposto soluzioni mai organiche fra di loro, e che non hanno mai puntato al rafforzamento del controllo del territorio e all’obiettivo del diritto dei cittadini alla sicurezza, da coniugare insieme al diritto degli stranieri ad essere accolti sul nostro territorio.
Si è dimenticato il dovere dello Stato, e delle sue Amministrazioni locali, nella cura dell’aspetto sociale della sicurezza, di dover garantire insieme alla sicurezza anche un vivere civile e protetto a tutti coloro che nascono e vivono nel nostro Paese. Si è invece scelta la politica dell’utilizzazione strumentale della paura del diverso e delle altrui culture, e di conseguenza dell’esclusione, della segregazione e della lotta allo straniero. Questo è accaduto nonostante si siano levate voci, come quelle della Chiesa, che tuttavia non hanno avuto su questo la stessa determinazione e forza usata su altri temi.
Si usa la sicurezza, che va perseguita e curata con ben più intenso e consapevole impegno, per abbassare in maniera surrettizia le condizioni di libertà e del convivere civile nel nostro Paese, si è voluto introdurre un clima di violenza nel rapporto fra le Istituzioni dello Stato, i cittadini e gli immigrati. Contemporaneamente le scelte fatte, prima nella ripartizione delle risorse con un taglio di un miliardo di euro nella legge Finanziaria sul capitolo sicurezza, poi con l’inutile e dispendioso uso dei militari in funzione di polizia e controllo del territorio, con le soluzioni adottate nei decreti e disegni di legge sulla sicurezza, fanno emergere una strategia del governo tesa a diminuire le garanzie democratiche, e mirata ad una pericolosissima privatizzazione della sicurezza.
Anche nelle politiche carcerarie, già di nuovo in crisi, dopo l’inutile indulto a cui la Cgil si oppose fermamente, attraverso i provvedimenti annunciati dal Ministro della Giustizia, si propone di affidare ai privati la costruzione e la gestione delle carceri nuove, col sistema del project financing. Ugualmente si propongono ditte private per la costruzione di una cancelleria informatica, centralizzata presso il ministero della Giustizia che possa controllare e conoscere tutti i provvedimenti giudiziari in corso, destando grave preoccupazione circa la riservatezza dei provvedimenti giudiziari decisi dalle singole Procure.
Insomma, si tagliano le risorse, si usano i militari, mentre si sa che essi sono un presidio temporaneo, e pertanto quando vanno via, lasciano il vuoto, senza presidi di Polizia definitivi, ed oggi, chiudendo il cerchio, e per pura accondiscendenza verso la Lega, si introducono nel nostro ordinamento le “ronde” che, anche se autorizzate dai sindaci, sono una scelta contraria al nostro ordinamento costituzionale. “Le ronde” introducono infatti un principio stravolgente rispetto al concetto costituzionale che il monopolio del controllo del territorio e dei mezzi di prevenzione e repressione verso il crimine e chi turba l’ordine pubblico deve essere nelle mani esclusive dello Stato. “Le ronde” non avranno alcuna utilità, ma semmai intralceranno il lavoro delle Forze di polizia, con cui dovrebbero teoricamente collaborare, per la loro impreparazione tecnica ed emotiva ad esercitare qualsivoglia controllo degno di questo nome. Si intraprende una china pericolosissima dando ai sindaci il potere di autorizzare “le ronde”, seppur su parere del Comitato provinciale per l’ordine pubblico, per cui si avranno associazione di “tendenza” che organizzano il controllo del territorio, e si può immaginare cosa potrebbe accadere rispetto a tendenze xenofobe largamente presenti, o in Comuni collocati in aree a forte presenza della criminalità organizzata e magari prima che possa intervenire una decisione di scioglimento per infiltrazione mafiosa.
Emerge quindi un quadro illogico, lacunoso e parziale, inefficace nella promozione della sicurezza e pericoloso per la coesione sociale ed istituzionale. Se si mettono insieme i provvedimenti del decreto 92 e del ddl 733, sembra che l’obiettivo centrale per una maggiore sicurezza del nostro Paese sia colpire la presenza straniera extracomunitaria. Basti pensare all’aggravante della clandestinità nel commettere i reati previsti dal decreto 92 e il reato previsto nel ddl 733 di ingresso e permanenza illegale nel territorio nazionale, entrambi punibili con il carcere e il secondo con la permanenza fino a sessanta giorni nei “centri di identificazione ed espulsione”.
E se si considerano le altre scelte inaudite ed inaccettabili, in tema di sanità e obblighi polizieschi dei medici e di nuovi costi per i documenti di soggiorno per gli extracomunitari, è chiaro che si individua l’immigrazione come problema principe e che l’unico obiettivo individuato dal governo e dal Ministro dell’Interno sia demonizzare il problema, anche a costo di emanare provvedimenti dal sapore xenofobo e razzista. Naturalmente niente di più falso. Se si legge uno studio pubblicato da “La Voce”, si vede che non vi è alcun legame fra la presenza straniera e l’andamento dei reati nei vari territori, infatti al Sud dove l’immigrazione è bassa, crescono gli omicidi e i reati di più grave allarme sociale. Al Nord si mantiene alta e in aumento l’immigrazione e stabile la presenza di reati contro il patrimonio e questi due fenomeni sono ovviamente da legare più alla ricchezza dell’area che induce questi reati, che alla presenza straniera.
Ugualmente se si prende in esame l’attività dei sindaci, cioè di coloro che sono più vicini alle esigenze dei cittadini; rispetto ad ordinanze concernenti la sicurezza urbana si vede che, al di là del giudizio di merito sulle singole ordinanze, molte delle quali sono state criticate dalla Cgil e dalle sue strutture territoriali, su 152 Comuni presi in esame sono state deliberate 315 ordinanze di cui: 52 sul divieto di vendita di alcolici in contenitori di vetro in ore notturne, 43 con tema il divieto della prostituzione in luogo pubblico per svariati motivi, dal decoro urbano alla sosta delle auto, 15 contro l’accattonaggio e l’uso di minori, 14 contro i writers . Si vede che i sindaci, stante la finzione dell’aumento dei loro poteri fortemente propagandato dal Ministro dell’Interno, a fronte della reale limitatezza dei poteri particolari a loro conferiti - tanto è vero che l’argomento è stato precisato con un Dm del 5 agosto 2008 - si sono limitati a provvedimenti che nulla hanno a che fare con una vera e propria politica per la sicurezza, ma se mai hanno agito sulla sicurezza percepita, sul convivere civile e sul decoro urbano.
Oggi con il ddl 733, tutto si chiarisce e cambia molto anche rispetto ai poteri dei sindaci, con l’introduzione delle “ronde”, che vengono usate per la sicurezza. Nel ddl approvato dal Senato vi è una nuova, e a nostro giudizio positiva, attenzione per la lotta alla criminalità organizzata, ma essa ha luci e ombre. Da un lato vi è l’inasprimento dell’art. 41-bis del Codice penale, con il chiaro obiettivo di impedire la prosecuzione del comando dei boss dall’interno del carcere. Si vedrà successivamente come si coniugherà questo inasprimento con la legge sulle intercettazioni, in discussione presso la Commissione Giustizia della Camera, che rischia di abolire di fatto questo importante strumento di indagine, che ha condotto in carcere tanti boss mafiosi, in nome di un malinteso diritto alla privacy e invece a un concreto e sostanziale divieto di cronaca e di impossibilità materiale di utilizzo di questo importante strumento di indagine. L’obiettivo sembra così essere l’ala militare della criminalità, mentre si impediscono ampie indagini sulla corruzione e l’area grigia e i colletti bianchi che fiancheggiano le mafie. Vi sono poi nuove norme sullo scioglimento degli Enti locali per infiltrazioni criminali e sulla confisca dei beni ai mafiosi, con norme più chiare sugli amministratori giudiziari dei beni di aziende mafiose, ma non si fa il passo fino in fondo con la costituzione dell’Agenzia per la gestione dei beni, per una velocizzazione ed efficienza delle assegnazioni a fini sociali dei beni confiscati, ma si lascia ancora tutto in mano al Demanio dello Stato, che fino ad oggi ha dimostrato gravi lacune e ritardi.
Insomma, non emerge una politica organica per la sicurezza, ma si confermano luci ed ombre, con le ombre che si allargano in maniera preoccupante. La Cgil invece rivendica una politica per la sicurezza e la legalità che si fondi su alcuni principi chiari ed ineludibili, che abbiano come obiettivo la lotta all’illegalità e alla criminalità diffusa, organizzata e finanziaria, insieme alla cura del diritto alla sicurezza di tutti i cittadini e di tutti coloro che vivono e sono presenti sul nostro territorio.
Per coniugare compiutamente fra di loro questi principi bisogna partire dalla consapevolezza che la sicurezza e la legalità e tutti gli strumenti per conseguirle costano. Perciò nella programmazione della spesa dello Stato per Sicurezza e Giustizia, si devono trovare risorse sufficienti e ben più ampie di quelle che i governi che si sono succeduti negli ultimi anni hanno stanziato. Le politiche per la legalità e la sicurezza sono certamente e necessariamente fondate sulla repressione e contrasto del crimine, ma per i cittadini sono anche aiuto e opportunità per i più deboli e per il disagio e la devianza sociale, che devono avere attenzione e offerte di opportunità di fuoriuscita da condizioni border line, da parte dello Stato e degli Enti locali e Regioni. Questo è per le Amministrazioni decentrate dello Stato il campo primario di attività per la sicurezza e la legalità. Bisogna riprendere con coraggio il cammino che porta ad una vera politica per la legalità e la sicurezza e ad una politica di prossimità, cioè di vicinanza ai cittadini. La prima scelta da fare è una maggiore e visibile unità e coordinamento fra le molteplici Forze di polizia militare e civile. Va prevista la fine del costoso uso dei militari in funzioni improprie di sicurezza interna, funzioni a cui, secondo dichiarazioni pubbliche di generali di CdA in servizio effettivo, non sono assolutamente addestrati, e pertanto sono costretti a servizi inutili di check point sul territorio nazionale. Come dimostrano delitti feroci compiuti con armi da fuoco o vere e proprie stragi, tutti avvenuti a pochi metri da quei presidi militari.
Bisogna fornire alle Forze di polizia, unificate nei compiti ed interconnesse fra loro, i mezzi elementari di controllo del territorio, insieme a nuovi mezzi tecnologicamente avanzati. Va pensata una nuova legge, su cui stavamo lavorando nella precedente legislatura, sulla Polizia locale ed urbana, con funzioni amministrative chiare e definite, nella vigilanza del territorio e della sanità e decoro delle città. Va iniziato un nuovo addestramento e preparazione, a cominciare dai vertici delle Forze di polizia, per introdurre il concetto di sicurezza di prossimità da costruire insieme agli Enti locali, dando un nuovo protagonismo ai sindaci, che possono studiare politiche per i giovani e l’infanzia, di nuova accoglienza e protezione per i senza dimora, e l’utilizzazione delle risorse e del territorio per i cittadini e la necessaria integrazione con gli immigrati, la cui presenza va vissuta come occasione positiva e opportunità per instaurare relazioni sociali forti fra culture diverse, e non come nemici da scacciare e combattere con paura e cattiveria.
La sicurezza e la Polizia di prossimità hanno bisogno di operatori che abbiano la conoscenza del tessuto sociale e delle presenze e la loro articolazione, sociale ed economica, sul territorio e nei quartieri delle piccole e delle grandi città nel centro e nelle periferie, in modo da adattare le politiche sociali di prevenzione e le opportunità che si offrono alla complessità delle varie situazioni. L’esperienza dei patti per la sicurezza spesso ha lasciato le cose come stavano, quando l’iniziativa è stata di vertice ed isolata, ma in alcuni casi, dove si sono coinvolte le forze sociali e l’associazionismo, si è riusciti a battere le devianze, le insicurezze, alcuni aspetti del crimine e ad assicurare più sicurezza e legalità, a partire dalla sicurezza domiciliare per anziani e persone sole.
Il punto centrale del nostro impegno è il binomio sicurezza e legalità che non va mai disgiunto, altrimenti si rischia di parlare solo di ciò che ciascuno percepisce come pericolo per sé e non della realtà. Essa è fatta di scelte di governo e amministrative, ma anche di comportamenti individuali e collettivi. Proprio su questo tema si può espandere e dispiegare la nostra azione con rinnovata energia. Si deve aprire una stagione di lotta contro scelte apertamente reazionarie e oscurantiste sulla sicurezza, come quelle che vengono proposte oggi sugli immigrati e “le ronde”, e dare inizio a una battaglia positiva, fondata sulle nostre proposte per la legalità e la sicurezza, e di inclusione e concertazione territoriale con le Regioni e gli Enti locali, condotta dai Regionali, dallo Spi, dalle Categorie e dalle Camere del Lavoro, insieme al Silp per la Cgil e ad Associazioni presenti sul territorio, per richiedere scelte e programmi di sicurezza e legalità alle Istituzioni locali, su tutti i temi della sicurezza dei singoli e della collettività, nei confronti della criminalità diffusa e maggiormente di quella organizzata ed economica.
Su questo ultimo punto, particolare attenzione vi deve essere, alla proposta e applicazione, insieme agli edili di protocolli di legalità di nuova generazione e di applicazione di alcune norme del Ddl 733 sugli appalti e per la trasparenza, elementi fondamentali per la legalità. Si deve espandere insieme alle associazioni di volontariato un’azione per conoscere, monitorare e ottenere la gestione per associazioni e cooperative di giovani, a fini sociali, di beni confiscati alle mafie. Su questi temi si può creare una mobilitazione sul territorio, insieme ad associazioni e movimenti, che crei una rete per la legalità e contro le scelte del governo che fanno fare passi indietro alla nostra democrazia costituzionale. Riteniamo che in coincidenza con l’esame del Ddl 733 alla Camera sarà necessaria un’iniziativa nazionale per chiedere la modifica di molte delle odiose norme approvate dal Senato, in difesa dei diritti costituzionali della persona, del diritto alla legalità e sicurezza e del diritto di accoglienza per gli stranieri che vengono a vivere e lavorare nel nostro Paese.
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