C’è un fatto strano, davvero strano, che avrebbe meritato l’onore delle prime pagine, ma di cui poco si parla oggi sui quotidiani nazionali.
Il 4 gennaio scorso, in pieno centro a Verona, una ragazza è stata aggredita da una ventina di skinheads, è stata malmenata, insultata, massacrata. Sono passate due camionette dell’Esercito, di quelle destinate ad aiutare la Polizia: i militari sono scesi, hanno assistito senza intervenire, e hanno fatto allontanare gli aggressori senza il benché minimo tentativo di identificarli.
Circa un mese dopo i colleghi della Digos di Verona, senza camionetta e senza conferenze stampa, hanno identificato e tratto in arresto tutti gli aggressori: tra i quali, piccolo particolare, un alpino.
Per pura coincidenza, poco dopo è stato presentato il “pacchetto sicurezza”, stagione 2009-2010; dobbiamo oramai catalogarli per stagione, perché da un po’ di anni i “pacchetti” seguono le mode come i pantaloni di Armani.
Una sola misura appare davvero utile per i poliziotti e per il servizio sicurezza, la reintroduzione del reato di oltraggio a pubblico ufficiale procedibile d’ufficio e non più a querela di parte: misura per la quale negli ultimi anni il Siulp e i sindacati del cartello si erano spesi in ogni sede politico-istituzionale. Tutto il resto appare ascrivibile ad un repertorio che ha a che fare più con la sicurezza immaginaria che non quella reale: se un ex ministro dell’Interno, facente parte della stessa coalizione oggi al governo, ha ritenuto opportuno lanciare un preciso segnale sulle scelte del governo che riguardano la sicurezza, avvertendo che le decisioni in questo campo non possono essere quelle che nascono nelle osterie del nord-est, la situazione si presenta davvero difficile.
Non possiamo pertanto rinunciare alla nostra analisi sul “pacchetto”.
Lo schedario dei clochards, per esempio. Un formidabile coup de théatre, una trovata geniale, quanto inutile ai fini della sicurezza. Nella cronaca antica e recente troviamo episodi di stupro, omicidio, di rapine in abitazioni private, ma difficilmente gli autori rientravano nella categoria dei “barboni”; sarebbe stato molto più utile uno strumento per l’identificazione degli immigrati clandestini. Ma siccome il fine non è mai l’utilità ma la ricerca del riflettore, ci dobbiamo accontentare di questo provvedimento che, ve lo dico prima, sommergerà la nostra attività quotidiana di ulteriori gravose incombenze.
La possibilità per i medici di denunciare l’immigrato clandestino: a volte, in qualche osteria del nord-est, si esagera. Davvero pochi poliziotti riusciranno ad intravedere in questa misura uno strumento utile per la propria attività quotidiana: non se ne capisce il bisogno, non se ne capisce il fine. Un medico ha già l’obbligo di denuncia dei fatti che ritiene essere reato: caricarlo di una ulteriore difficilissima incombenza appare un appesantimento burocratico del tutto insensato.
E che dire poi della tassa per il permesso di soggiorno? Rispondere ad un’esigenza di sicurezza o di finanza?
Qualcuno crede davvero che gli immigrati clandestini, una volta saliti sul barcone, a metà della traversata del canale di Tunisi, e già in vista delle coste di Lampedusa, appresa la notizia di una tassa di circa 100 euro sul permesso di soggiorno, facciano retromarcia e se ne tornino in Africa? Straordinaria poi l’invenzione del “permesso a punti”: se l’immigrato fa il bravo gli vengono attribuiti punti premio. Se fa il cattivo gli vengono tolti. Unico problema: a dover vigilare sull’appassionante vicenda, moltiplicata per centinaia di migliaia di casi umani, saranno, senza possibilità d’equivoco, i colleghi degli Uffici Immigrazione, i quali sono già sull’orlo del collasso per l’insostenibile carico di lavoro.
Chicca finale: a mezzanotte va la ronda del quartiere, e nell’oscurità ognuno... Quella della ronda è un’autentica mania: tutti sanno che non solo è inutile, ma che soprattutto esporrà a gravi rischi l’incolumità di innocenti cittadini, convinti che basta la lezione serale di kung-fu per far fronte alle mille insidie di una notte metropolitana.
Il perno centrale di questo pacchetto è la convinzione che la sicurezza non sia il risultato di un’attività che richiede grandi doti di equilibrio, di preparazione e di professionalità. Bensì una cosa che tutti bene o male riescono a fare; per cui se lo Stato non ce la fa, ogni cittadino può tranquillamente farvi fronte con un po’ di buona volontà e magari uno spry al peperoncino in tasca.
Nel frattempo tace il fronte su quello che davvero si dovrebbe fare: rimpinguare gli organici di Polizia e Carabinieri, coordinare le Forze di Polizia, investire risorse sulle retribuzioni dei poliziotti e sugli strumenti operativi, rinnovare la rete informatica delle Forze di polizia.
Razionalizzare al meglio le risorse, porre per esempio il problema che 5mila e passa Stazioni dei Carabinieri sul territorio nazionale, buona parte delle quali con organico di due o tre unità, forse rappresentano, di fronte all’odierna emergenza sicurezza, una struttura difficile da sostenere e da mantenere. Razionalizzare gli interventi sul territorio, non solo chiudendo gli uffici di Polizia che non servono (ammesso che ve ne siano) ma facendo anche in modo che non si apra poi un ufficio dei Carabinieri o della Finanza dove la Polizia ha chiuso: perché diventa oggi davvero difficilmente sostenibile la competizione presenzialista tra i vari Corpi, e molto più difficile da ignorare la competizione tra Corpi di Polizia e, di recente, quella tra questi e le Forze armate.
Se insomma gli interventi del governo sul terreno della sicurezza si riducono ad una massiccia presenza di militari sul territorio che, in mancanza di apposite regole di ingaggio, non possono neanche salvare una ragazza dall’aggressione di dieci teppisti, uno spry al peperoncino, un archivio dei barboni e una tassa sull’immigrazione, siamo destinati a perdere del tempo prezioso.
Se prima il nostro destino era quello di vivere cento giorni da pecora, costretti a sopportare oltre ogni limite le minacce di una criminalità, privi dell’autorevolezza e degli strumenti necessari per farvi fronte, oggi ci tocca far la parte del leone: si ruggisce, per un solo giorno, mostrando il bicipide gonfio sotto le mostrine della Folgore, e poi si va tutti a casa perché le regole di ingaggio ci impediscono di agire nel momento in cui il criminale colpisce. La mensa sta per chiudere, e nella vita militare gli orari vanno rispettati.
Noi siamo convinti che avesse ragione Massimo Troisi: tra un giorno da leone e cento da pecora, preferiamo cinquanta giorni da orsacchiotto. Quei cinquanta giorni, o poco meno, che hanno permesso ai colleghi della Digos di Verona di rendere giustizia a quella povera ragazza, quei cinquanta giorni, o poco meno, che hanno permesso ai colleghi di Caserta di rendere giustizia ai parenti di quegli immigrati uccisi come animali in una sala da biliardo.
Quei cinquanta giorni fatti di lavoro serio, rigoroso, professionale, che hanno sempre caratterizzato la nostra cultura e la nostra storia di poliziotti che, anche in mancanza di regole di ingaggio, sanno come agire e quando agire per la sicurezza dei nostri cittadini.
Né pecore né leoni: noi preferiamo gli orsacchiotti.
[Tratto da: Collegamento Siulp Flash]
|