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Gennaio/2009 - Lettere
Le vostre lettere
di

Un tirocinio opportuno

Gentile Direttore,
sono d’accordo che il tirocinio per agenti e ispettori della Polizia di Stato sia necessario.
In Irlanda, come in molti Paesi del nord Europa, gli allievi agenti di Polizia, dopo un corso di formazione base che solitamente dura dai sei ai dieci mesi, vengono assegnati in Reparti operativi per 24 settimane, al termine del quale il manager didattico, o il tutor che li assiste, redige un rapporto circa l’idoneità dell’agente di svolgere la professione di poliziotto. Oltre alle materie tradizionali - diritto costituzionale, penale, procedura penale - vengono impartite nozioni di medicina legale, scienze sociali, psichiatria; argomenti di grande discussione sono il suicidio, le liti in famiglia, le malattie mentali. Al termine del tirocinio è previsto un corso di perfezionamento della durata di tre mesi, nella scuola di provenienza.
Cordiali saluti
Vincenzo Di Maria
della Polizia di Stato
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E la Polizia?

Gentile Direttore,
le scrivo per una questione che mi sta a cuore e spero che lei possa sposare la mia causa, che è quella di molti altri colleghi che si trovano nelle mie stesse condizioni.
Sono un funzionario di Polizia, tra qualche mese, mio malgrado, dovrò andare in quiescenza per raggiunti limiti di età. Ho notato che nel decreto Brunetta non è stata presa in considerazione la mia categoria per quanto riguarda la possibilità di andare in pensione, dietro istanza volontaria, oltre i 60 anni di età. Questa opzione è stata prevista per i presidi di qualsiasi istituto, per i magistrati e per altre categorie di funzionari statali che possono prolungare il servizio fino a 67-69 anni.
Mi domando, pertanto, se sia possibile estendere tale agevolazione anche alla Polizia, magari avere la possibilità di raggiungere i 63 anni in servizio, dato che si prevede che nel 2009 l’organico sarà costituito da 15.000 unità in meno (in proposito si legga l’intervista al segretario del sindacato di Polizia Silp per la Cgil Claudio Giardullo, apparsa su Polizia e Democrazia, nel numero di agosto-settembre 2008). Come ultima ipotesi si potrebbe avere la facoltà di lasciare il servizio con l’anno solare e non allo scadere del sessantesimo anno di età.
Essendo particolarmente attaccato al mio lavoro non riesco a pensare di allontanarmene, così pure moltissimi altri colleghi che sottoscriverebbero subito l’istanza per rimanere in servizio altri anni, al fine di mettere a disposizione degli altri la propria esperienza, utilissima per questo lavoro delicato ma entusiasmante.
Mentre sto scrivendo, apprendo che l’on. Filippo Ascierto ha presentato una proposta per il riordino delle carriere che oltre a prevedere l’immissione degli ispettori con qualifica apicale nel ruolo direttivo, e dei sovrintendenti con qualifica di capo nel ruolo degli ispettori, l’età verrebbe innalzata a 65 anni.
Mi piacerebbe in proposito sentire il parere dei sindacati e dell’on. Ascierto che ha buone possibilità di portare in porto questo sospirato riordino delle carriere.
Cordiali saluti
Enzo De Maris - Roma
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La pena non è vendetta

Egregio Direttore,
c’è un principio sancito dalla Costituzione secondo il quale un imputato può essere dichiarato colpevole solo al termine dei tre gradi di giudizio. Ma un recente rapporto dell’Istituto per gli Studi sulla Pubblica opinione (Ispo) ha indicato un dato molto significativo del clima che si respira oggi in Italia: il 60% degli intervistati è favorevole a tenere un innocente in galera piuttosto che rischiare che un presunto colpevole resti in libertà.
A questo dato sconcertante se ne deve aggiungere un altro che interessa tutti, cioè anche voi cittadini liberi, che è quello relativo alle persone detenute in custodia cautelare: il 55% delle persone detenute nelle carceri italiane è in attesa di giudizio. Un vecchio film di Alberto Sordi, “Detenuto in attesa di giudizio”, potrebbe essere utile a capire cosa succede a una persona innocente che finisce in galera. Circa la metà di questi detenuti in attesa di giudizio, al processo risulterà innocente!
Quando una persona è incarcerata, con lei vengono risucchiati in un vortice di paura, ansia, dolore i suoi famigliari. Anche se poi vieni riconosciuto innocente, anche se ti liquidano un danno materiale per l’ingiusta detenzione, tu e la tua famiglia non siete più quelli di prima, gli onesti con la fedina penale pulita.
Nel nostro sistema penale, l’accusa deve provare la colpevolezza dell’imputato oltre ogni ragionevole dubbio. Nei fatti non è così. L’imputato è già colpevole sui giornali o sui telegiornali, poi si vedrà al processo. Cito un fatto recente: il papà dei fratellini di Gravina di Puglia, morti per la caduta in un pozzo, incarcerato come la belva che ha barbaramente trucidato i figli, messo alla gogna mediatica con la sua famiglia. Chiediamoci tutti cosa hanno provato lui e i suoi cari.
Quale devastazione dell’anima, ma anche del corpo incarcerato. Siamo veramente sicuri che è meglio un innocente in galera che un presunto colpevole in libertà? Chi ha scritto la nostra Costituzione, basata sul rispetto della libertà, era veramente così buono e ottuso o ha pensato di garantire i diritti inviolabili di tutti i cittadini onesti? Un innocente in carcere l’ho incontrato più di una volta, e credo che prima di mettere una persona in galera, con facilità, oggi in Italia tutti devono pensare: se quella persona fossi io? Mio padre? Mio fratello? Pensateci con calma, migliaia di presunti innocenti sovraffollano le carceri italiane in condizioni precarie, ha senso aggiungerne altri? Aggiungere qualche nostro famigliare? Io penso di no, bastano già i colpevoli, che non sempre espiano una pena giusta. Una pena che non dovrebbe essere una vendetta della società sull’individuo che ha sbagliato, ma un percorso di responsabilizzazione e di umanità per poter divenire persone migliori.
Daniele D. - Detenuto
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Non mi sento un rottame

Gentile Direttore,
preliminarmente mi devo congratulare con lei per lo spazio che concede alla “voce dei futuri pensionati”. In ossequio all’art. 2 della Costituione, che al 1° comma recita: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità...” le scrivo: “Non mi sento un rottame”.
Bankitalia, nella persona di Ignazio Visco, ha ribadito che nell’attuale contesto bisognerebbe allungare l’età pensionabile. Tra poco compio 60 anni e 40 di contributi: ho tanta esperienza e voglia di fare, ma sarò “rottamato” dalla mia Amministrazione.
Alla mita età si può essere considerati anziani e incapaci?
Io penso che la Pubblica amministrazione in senso lato possa dare il buon esempio, dando la possibilità di estendere un bonus fino a 65 anni, su base volontaria, senza contributi e un gran risparmio per lo Stato ai fini pensionistici. Tra l’altro si garantirebbe l’autosufficienza e l’aiuto ai figli in cerca di lavoro, ci solleverebbe dall’angoscia di sentirci inutili e preoccupati dalla crisi attuale e ci aiuterebbe, dandoci una operosa tregua e un pizzico di dignità.
Mentre sto scrivendo, apprendo che nella conversione del d. l. 112 del decreto Brunetta, artt. 71 e 72, il personale interessato su base volontaria può richiedere alla propria Amministrazione di restare altri due anni, ovviamente a discrezione dell’Amministrazione, la domanda doveva essere presentata entro il 27 dicembre 2008. Cordiali saluti.
Antonio Menna - Milano

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