Roma, ore 8.56 di una mattina dei primi giorni di settembre 2008. Da lunghi mesi sono privato, da mia moglie - madre e donna rivelatasi tardivamente persona senza il minimo di caratteristiche ‘umane’ - del diritto naturale e legittimo di vedere mio figlio; sono un padre separato che vive questa penosa, a tratti disperante e dolorosa, situazione che è comune, purtroppo, a molti padri. Padre separato con tutti i problemi e le sofferenze della ‘categoria’ che mai avrebbe pensato di ricevere un rifiuto da una Istituzione come l’Arma dei Carabinieri.
Il Tribunale di Roma, con un provvedimento esecutivo d’urgenza emesso nei primi giorni di agosto, ancora prima di decidere i termini della separazione, mi ha assegnato un calendario di visite e rapporti con mio figlio, che ha meno di 5 anni. Nonostante il provvedimento, con il quale mi sentivo garantito e per il quale avrei potuto ritornare, almeno in parte, ad essere padre e genitore, la situazione è peggiorata ulteriormente, sto lottando per attuare un atto del Tribunale sul quale, dopo la pagina nella quale si legge un elenco di date e periodi di frequenza padre-figlio, nell’ultima delle 4 pagine si legge: “Repubblica Italiana - in nome della Legge. Comandiamo a tutti gli Uffici Giudiziari che ne siano richiesti ed a chiunque spetti, di mettere in esecuzione il presente titolo, al Pubblico Ministero di darvi assistenza ed a tutti gli Uffici della Forza Pubblica di concorrervi quando ne siano legalmente richiesti”.
Roma, ore 8.56 di una mattina dei primi giorni di settembre... Chiamo il 112, come fatto altre volte negli ultimi giorni, dico i miei estremi ed il numero di cellulare, illustro la situazione, il tempo di attesa dei Carabinieri era, in media nei precedenti interventi, di 30 minuti, ma dopo che è passata un’ora e 15 minuti dalla prima chiamata al 112 ho pensato di richiamare.
Visto il ritardo e l’assenza di intervento senza nemmeno essere richiamato, mi ero preparato: mi aspettavo una risposta logica del tipo “Scusi, ci sono altre cose più urgenti, la preghiamo di attendere”, oppure “Le mandiamo un carabiniere di quartiere, rimanga in attesa”. Invece la telefonata è stata la seguente: “Scusate, ho chiamato un’ora e 15 minuti fa per un intervento ed ancora non vedo nessuno, né sono stato chiamato”, l’operatore del 112 sorpreso da questo lasso di tempo senza che sia avvenuto l’intervento, addirittura mi dice: “E’ sicuro che ha chiamato i Carabinieri? Mica ha chiamato la Polizia...?”, lo rassicuro sulla chiamata dandogli l’orario esatto della prima telefonata e mi mette in attesa. Sicuramente dialoga con il maresciallo della Stazione dei Carabinieri che avrebbe dovuto fare l’intervento (zona centrale di Roma) come nei giorni precedenti e quando rientra in linea mi dice: “Lei è quel padre che non riesce a vedere il figlio? Ma cosa vuole ancora? Lei ha la lettera di un avvocato!”
Personalmente ritengo ‘atipico’ che l’operatore del 112 entri nel merito del caso senza conoscerlo, che dica cose totalmente infondate comincia a stupirmi. Allora gli dico: “Ma quale lettera dell’avvocato! Io ho un provvedimento esecutivo del Tribunale come detto al suo collega nella chiamata di un’ora e 15 minuti fa, lei sta dicendo cose non vere e chi le ha riferito ciò le ha detto una cosa inesistente e comunque non attinente a quanto accade!”
Ritorno in attesa e, probabilmente, l’operatore approfondisce ancora e si informa con il maresciallo della Stazione dei Carabinieri che conosce bene il provvedimento esecutivo del Tribunale, altro che lettera dell’avvocato! Già il tono che l’operatore del 112 aveva usato prima era tra l’infastidito ed il nervoso, sicuramente non rispettava i canoni che caratterizzano l’Arma dei Carabinieri - impegnata da sempre con grande umanità e professionalità, sia negli interventi più gravi e rischiosi sia in quelli considerati di routine, probabilmente ‘caricato’ a dovere dal maresciallo che si doveva occupare del caso, l’operatore rientrava in linea e con toni molto bruschi mi diceva: “Non facciamo l’intervento!”.
Amareggiato, stupito, sorpreso, non sapevo come sentirmi, era stato chiarissimo e molto duro nel dirlo, ma ho ritenuto di farmi confermare quanto aveva appena detto: “Scusi, lei mi sta dicendo che non effettuate l’intervento? Mi conferma che ho capito bene?” La risposta era ovvia e si ripeteva il secco “No, non interveniamo”. Non è una nota di colore, ma il tono che confermava il rifiuto dell’intervento mi appariva quello proprio delle frasi in cui alla fine si potrebbe anche aggiungere un ‘non mi rompa i c...’ o ‘vada a quel paese lei e il suo problema!’
Vivendo l’esperienza di padre separato al quale viene negato il diritto di vedere il figlio, di vivere con lui parte del suo tempo, di contribuire alla sua crescita ed educazione, di dare il massimo dell’affetto e di godere dei suoi sorrisi, mai avrei immaginato che, oltre a combattere come molti altri padri che, periodicamente, sono anche protagonisti di gesti clamorosi dettati soltanto dai legittimi diritti negati e dal naturale desiderio di condividere con i propri figli la loro esperienza, una Istituzione come l’Arma dei Carabinieri mi scaricasse come un caso di routine, rifiutandosi di intervenire nonostante il provvedimento esecutivo del Tribunale.
Quanto accaduto era totalmente inaspettato, un ostacolo non previsto che ho ritenuto di affrontare anche rendendolo pubblico con questo scritto, e con l’unico auspicio che situazioni simili vengano affrontate con modalità diverse da quelle a me capitate. Come un disco rotto continuavo ad ascoltare nella mia mente la frase dell’operatore del 112: “No, non interveniamo!”
Nella mia carriera ho conosciuto moltissimi carabinieri, di molti ho apprezzato le loro doti umane prima di quelle professionali, negli ultimi mesi, visto la battaglia sacrosanta che mi tocca sostenere, ne ho incontrati a causa della mia situazione, in alcuni di loro ho trovato condivisione e disponibilità non solo perché si trovavano nelle mie stesse condizioni di padre separato. Anche per questo il ‘portone istituzionale’ che mi era appena stato sbattuto in faccia mi amareggiava particolarmente.
Dopo una riflessione che mi proponevo di riprendere in seguito, ho deciso di reagire anche a questo episodio negativo e mi sono recato al commissariato di zona (Esquilino) della Polizia di Stato per avviare opportune azioni a tutela dei miei diritti, denunciando in modo dettagliato quanto accaduto dopo il provvedimento del Tribunale.
Non lo scrivo per polemica ma solo per onore della verità, dalla Polizia di Stato ho ricevuto diverso trattamento, apprezzando molto la sensibilità ed il trattamento ‘umano’ di coloro che mi hanno ascoltato come persona e non solo come una pratica da svolgere, magari addirittura da rifiutare, e ricevuto il mio esposto che seguirà le vie previste da casi simili.
Principalmente come cittadino e come militare mi sono sentito nel diritto/dovere di avere un chiarimento sul rifiuto di intervenire da parte dei Carabinieri, dopo essermi recato al commissariato di zona per fare quanto detto, mi sono recato presso il comando Compagnia Carabinieri di zona, che ha competenze sulla Stazione che ha ritenuto di non intervenire dopo la mia chiamata, chiedendo di parlare con il Comandante di Compagnia.
La cosa ha suscitato grandissima attenzione da parte dei carabinieri del Comando Compagnia di competenza, si percepiva negli sguardi e nell’armosfera che si era creata con la mia richiesta, che non era certo usuale o frequente, e nel primo pomeriggio sono riuscito a parlare con il Comandante. Lo stesso si è dimostrato una persona molto professionale, cordiale e disponibile, ed è arrivato, logicamente e comprensibilmente, all’incontro con me informato su quanto mi era accaduto. Non mi sembra opportuno entrare nei contenuti del colloquio con il Comandante di Compagnia che comunque si concludeva con la frase: “La prossima volta chiami pure senza problemi chi ritiene di far intervenire”!
Le problematiche dei padri separati, che il legislatore ha inteso tutelare maggiormente con il testo sull’affido condiviso, si arricchiscono purtroppo di un episodio (quello raccontato in questo articolo) secondo me grave e significativo, che dimostra come vicende di separazione, soprattutto nell’interesse dei minori coinvolti loro malgrado, non trovano soluzioni in tempi ragionevoli, venendo a mancare mezzi, risorse e percorsi rapidi di coordinamento tra Giustizia (civile, penale, minorile) - Forze dell’ordine - Servizi sociali.
Non è stato ancora inventato uno strumento che misuri la sofferenza umana che può essere causata anche dal distacco provocato padre-figlio. Molti padri separati raggiungerebbero il massimo livello di misurazione di questo ipotetico strumento. Sarebbe anche difficile quantificare un risarcimento per tali sofferenze provocate da una sentenza di una persona verso l’altra (madre-padre).
Se un padre separato, con un atto esecutivo in possesso, si deve sentire, oltre a quello dove risiede il suo bambino, anche il rumoroso e grande portone dell’Istituzione Carabinieri sbattuto in faccia, che cosa dovrebbe fare nei giorni o nelle settimane in cui ha diritto di stare con il figlio?
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