L’iniziativa sembra adatta
solo alle controversie civili
o a quelle che prevedono
un risarcimento. Ma per
le cause penali? Il problema
della formazione e capacità
degli avvocati “su strada”
Dopo Milano, anche a Roma nasce lo “studio legale su strada”: nessun appuntamento, poca anticamera e prezzi ridotti. Come vedi, dal punto di vista professionale, queste iniziative?
Queste nuove forme di studi legali su strada in realtà hanno poco a che fare con uno studio legale vero e proprio che si occupa un po’ di tutte le vicende. Pensiamo ad uno studio che si occupa solo di penale: non credo sia possibile che si presenti in quegli studi su strada uno dei parenti di un accusato di omicidio efferato, o i parenti della vittima.
Mi sembra che questi studi abbiano più un valore come consulenza a portata del consumatore, un’utilità per il cittadino che paga poco, perché sono studi su strada, tipo negozio, che puntano ad avere un numero di clienti notevole.
Credo che ci sia necessità di questo “nuovo” servizio legale. Sono più di venti anni che curo rubriche in radio e tv. Ad esempio ora, su Rai2, il sabato e la domenica, ho una rubrica dal titolo “L’avvocato risponde”, e sono sommerso da centinaia e centinaia di lettere a cui, ovviamente, rispondo gratuitamente svolgendo una funzione di servizio pubblico nell’interesse del cittadino.
In cosa differiscono, rispetto alla mia trasmissione, questi studi legali su strada? Che si farebbero pagare un minimo. Quindi potrebbe essere un vantaggio per certe piccole vicende, per tutte quelle piccole cose più noiose, come ad esempio quelle che riguardano i condomini, problemi che apparentemente sono minori, di cui però il cittadino ha bisogno di tutela, soprattutto quando pensa di aver subito un torto.
Il Consiglio nazionale Forense, all’inizio, ha cercato di frenare queste novità ma poi ha preferito cedere. Dal punto di vista deontologico queste iniziative possono presentare dei rischi?
Dal punto di vista dell’avvocato mi pare che l’intervento del Consiglio nazionale Forense sia stato quello di dare una indicazione (prima era molto restio) ricordando di tenere alta la dignità e il senso del decoro della professione. L’unico problema che si pone è la qualità dell’avvocato, e dei suoi consigli.
Non vorrei che questi tipi di piccoli studi alla portata di tutti, diventassero uno strumento per acquisire clienti da trattare, per i casi più seri e più gravi, in un altro studio, magari uno studio legale che ha un “nome”.
Questi studi “su strada”, tra l’altro, offrono gratuitamente la prima consulenza e i compensi – in taluni casi – sono patteggiati con i clienti sulla base del risarcimento. Trovi accettabile questo principio?
C’è il timore che si nasconda un interesse diverso, un modo di agganciare un cittadino che ha un piccolo problema, magari quello di scrivere una lettera. Oppure per spingere alla causidicità: si pensi alle questioni di condominio dove in genere i condomini sono accaniti, un avvocato potrebbe fargli capire che “farà a pezzi” l’antagonista portandoli su una strada che non è realmente utile. Se poi li seguono in una vicenda giudiziaria, (mi sembra di capire che questi non sono studi solo per consulenze) dove le cause durano anni, allora il discorso è diverso: si riservano di prelevare, a risarcimento ottenuto, la parcella, violando una norma che ora è stata abolita, ma prima esisteva.
In sostanza: loro applicano tariffe minime, però poi, se la causa dura tre anni, come fanno a quantificare il minimo? A me sembra un esperimento scaturito da quando è venuta fuori la legge Bersani, che ha un po’ scavalcato quelli che erano i principi. In realtà l’unica indicazione che ha dato la legge Bersani era quella di rivedere tutto il sistema dei Consigli dell’Ordine.
Concludendo io non vedo questa iniziativa degli studi “su strada” come una concorrenza reale agli studi legali veri e propri, anzi credo sia una esperienza che non avrà sviluppo.
Credo che questi studi si limitano a dare pareri a prezzi ragionevoli, aiutano il cittadino, sono in loro difesa, però chi garantisce la professionalità di questi avvocati?
E’ questo il punto. Il fatto che uno abbia superato l’esame di avvocato, non è una garanzia per il cittadino. Si pone il problema di una necessità di riforma del Consiglio dell’Ordine il quale deve badare alla qualità degli avvocati, e deve aiutare quelli meno abbienti, che vogliono intraprendere questa professione ma non hanno un sostegno economico, e inserirli.
I promotori di queste iniziative sostengono che, offrendo risposte immediate e gratuite, molti saranno portati a superare il timore reverenziale nei confronti del mondo forense. Può essere vero?
E’ vero. E lo dimostrano – come ripeto – le migliaia di lettere che ricevo nella mia rubrica in Rai. Quelle lettere in cui mi chiedono pareri su questioni di condominio, di successioni, reversibilità di pensioni, piccoli incidenti stradali o piccoli fatti risarcitori, tutto ciò dimostra che questa gente ha il timore di andare in uno studio di un avvocato. Non è solo un timore reverenziale, ma è anche un timore economico.
Insomma c’è il timore che l’avvocato emetta parcelle notevoli, anche per un parere.
Dunque gli studi “su strada” sarebbero utili se si limitassero a dare pareri ai cittadini che hanno il timore di avvicinarsi ad uno studio legale, magari importante, conosciuto, perché temono l’aspetto economico. Soltanto che queste piccole associazioni “su strada”, lo ribadisco, dovrebbero dare anche garanzia ai cittadini di capacità professionale e di serietà deontologica.
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