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Gennaio/2009 - Articoli e Inchieste
Usa
Referendum: sì all’aborto, no alle nozze gay
di Gianni Verdoliva

I risultati delle consultazioni che nei vari Stati
hanno accompagnato le elezioni presidenziali
danno un quadro della società americana
più complesso, e a volte contraddittorio, di quanto
appare dall’ampiezza dei consensi
per Barack Obama


Lo scorso 4 novembre gli elettori degli Stati Uniti, non hanno votato solo per eleggere il nuovo presidente e varie cariche politiche a livello federale e locale. Si sono espressi anche su ben 153 referendum. Negli Usa la forma di democrazia diretta accompagna tutte le tornate elettorali e, a volte, scalda gli animi quanto, se non di più, le elezioni politiche. In 37 Stati la campagna elettorale ha visto confrontarsi sostenitori ed oppositori delle singole iniziative. Tra gli argomenti sottoposti a votazione le tasse, i casinò, i distretti elettorali, l’uso dell’inglese come lingua ufficiale, la caccia e altri ancora. Gli argomenti che hanno generato il più ampio ed acceso dibattito però sono quelli connessi con le tematiche ambientali e sociali. E il risultato uscito dalle urne, contrariamente a quanto accaduto per le elezioni politiche, non sembra indicare una tendenza precisa.
Certamente i fattori da prendere in considerazione per l’analisi del successo o della sconfitta di ogni singola iniziativa referendaria sono molteplici. Ci sono Stati progressisti ed altri conservatori, fronti a favore di questa o quella tematica uniti ed altri litigiosi, comitati carichi di soldi ed altri poveri. Sta di fatto che i risultati sono davvero discordanti. Fatta eccezione per i referendum tesi a limitare l’aborto libero e legale che sono stati tutti sconfitti. L’unico trend che sembra trasparire infatti è che gli elettori continuano a respingere l’idea che lo Stato si intrometta in questioni intime e personali come l’interruzione volontaria della gravidanza. La destra evangelica, sostenuta anche dalla Chiesa cattolica, si era buttata a capofitto in tre iniziative referendarie che andavano tutte nel senso antiabortista. Nel nome della vita e dei non-nati gli zelanti gruppi cristiani, spalleggiati spesso da una parte importante del partito repubblicano, si sono mobilitati in Colorado, California e in Nord Dakota, malgrado, in questi ultimi due Stati, due anni prima, due referendum molto simili erano già stati respinti dagli elettori nel 2006.
Anche stavolta il fronte antiabortista ha subito un contraccolpo. Specialmente in Colorado, dove l’Amendment 48 avrebbe stabilito che la definizione di persona sarebbe stata applicata fin dal momento del concepimento. Con il risultato auspicato di rendere l’aborto completamente illegale. Le possibili ramificazioni di una tale proposta dura e radicale, ha giocato a sfavore del comitato antiabortista, uscito sconfitto dalle urne. Il 73% dei votanti ha respinto l’iniziativa promossa dal Colorado for Equal Rights nome teso, se non altro, a confondere le idee. Un altro campo di battaglia sui diritti riproduttivi è stato il Sud Dakota, Stato poco popoloso, in gran parte rurale e abitato in prevalenza da bianchi con diverse comunità sparse di nativi americani.
Le Chiese evangeliche dello Stato non hanno mai fatto mistero di essere contrarie alla legalizzazione dell’interruzione volontaria della gravidanza e si sono sempre adoperate per rendere la procedura medica nuovamente illegale o irrealizzabile. Nel 2006 i legislatori locali avevano approvato una legge che rendeva l’aborto illegale tranne che in caso di rischio per la salute della madre. Le femministe ed il fronte pro-choice erano riusciti a bloccare la legge con un’azione legale per poi raccogliere delle firme tese a porre la questione al giudizio degli elettori. La South Dakota Campaign for Healthy Families, grazie anche al sostegno della comunità medica, ostile a simili iniziative, era poi riuscita a bloccare la legge, respinta dagli elettori con il 56% dei voti. Due anni dopo l’argomento è tornato alla ribalta, stavolta grazie ai gruppi antiabortisti che hanno ampliato la possibilità di eccezioni possibili all’illegalità dell’aborto proposta. Oltre alla salute della madre, l’aborto sarebbe rimasto legale anche nel caso di incesto o stupro. Questo nella speranza di mostrarsi abbastanza aperti e compassionevoli agli occhi degli elettori che però, anche stavolta, hanno reiterato il loro appoggio al concetto di libertà di scelta della donna. Il referendum è stato respinto con oltre il 55% dei voti.
Decisamente meno aggressivo il quesito sottoposto agli elettori della California. La Proposition 4 aveva come obbiettivo di imporre un periodo di attesa di 48 ore alle ragazze minori che facevano richiesta di abortire, durante le quali un pubblico ufficiale avrebbe poi informato i genitori o un tutore legale sulla scelta della ragazza. L’obbiettivo, solo in apparenza limitato, è una tecnica del movimento antiabortista che, conscio di non poter rendere l’aborto illegale dall’oggi all’indomani, si adopera per porre ostacoli di ogni sorta alle donne e alle ragazze che decidano di abortire. Anche in questo caso si trattava di un déjà vu. Sempre nel 2006 in California un referendum simile era stato respinto con circa il 54% dei voti. E anche stavolta i californiani hanno mantenuto la stessa posizione respingendo il quesito riproposto con il 52%.
Sul fronte della questione aborto la tornata elettorale del 2008 è stata particolarmente negativa per la destra cristiana, che però ha avuto le sue vittorie su altri fronti. Ben quattro Stati, Arizona, Arkansas, California e Florida hanno visto i conservatori trionfanti su questioni inerenti i diritti dei gay. Oltre la metà degli Stati hanno già negli scorsi anni votato emendamenti costituzionali tesi a riconoscere come matrimonio solo ed esclusivamente l’unione tra un uomo e una donna, escludendo così le coppie dello stesso sesso. Quest’anno è stata anche la volta della Florida e dell’Arizona.
In Arizona gli elettori hanno approvato la Proposition 102 tesa a rendere illegale il matrimonio gay con il 56% dei voti. Sempre due anni prima, nel 2006, una proposta simile era stata respinta anche se, secondo la stampa locale, all’epoca ad essere prese di mira erano state anche le unioni civili. E questo, molto probabilmente, è il motivo del passato insuccesso dell’iniziativa referendaria. Riproposta in maniera mirata. Con slogan inneggianti i valori della famiglia tradizionale la destra conservatrice ha stavolta ottenuto il successo. Come è accaduto in Florida. Dove il Florida Marriage Amendment è passato con il 62% dei consensi.
Una vittoria sopra ogni limite. I gruppi gay e i loro sostenitori avevano sperato fino all’ultimo che, dato che per essere considerato valido l’emendamento necessitava almeno del 60% dei voti, il risultato sarebbe stato almeno una sorta di sconfitta/vittoria. Sconfitta perché avrebbe riconosciuto l’orientamento antigay degli elettori, ma vittoria perché, con meno del 60% l’emendamento non sarebbe passato.
Anche sul fronte dell’adozione da parte delle coppie gay il fronte conservatore ha avuto la meglio. L’Arkansas Unmarried Couple Adoption Ban è stato approvato dagli elettori con il 57% dei voti. La misura è estremamente draconiana in quanto non solo impedisce a coppie gay e lesbiche l’adozione di bambini ma anche a coppie eterosessuali conviventi. Malgrado l’opposizione degli assistenti sociali, dei pediatri e degli psicologi, la Family Council, un’organizzazione legata alla destra cristiana, è riuscita nel suo intento. La battaglia più combattuta si è giocata però in California. Già nel 2000 il 61% degli elettori aveva votato a favore dell’illegalità del matrimonio gay. Successivamente nel 2004, Gavin Newson, astro nascente del locale Partito democratico e sindaco della progressista San Francisco, aveva celebrato dei matrimoni tra persone dello stesso sesso. Un atto di sfida che ha dato origine ad una lunga trafila di azioni giudiziarie che si è terminata lo scorso maggio quando la Corte Suprema della California, con un margine di 4 a 3, ha decretato la validità del matrimonio civile tra persone dello stesso sesso. Una decisione salutata con grande entusiasmo dai gay californiani, tra cui alcuni celebri che non hanno esitato a convolare a nozze. Come ha fatto Gorge Takei, famoso per aver interpretato Sulu in Star Trek e le attrici Ellen DeGeneres e Portia De Rossi, finite in copertina sulla rivista People.
La gioia dei neo-sposi è stata di breve durata. Accusando la Corte di imporre al popolo delle decisioni non condivise, la destra religiosa ha montato una campagna senza precedenti. Dal punto di vista finanziario in primis. Oltre 70 milioni di dollari sono stati raccolti da oppositori e sostenitori del matrimonio gay. La Chiesa mormone ha raccolto oltre un terzo dei finanziamenti del fronte antigay, mentre i sostenitori della validità del matrimonio tra coppie dello stesso sesso hanno avuto dalla loro parte diverse star di Hollywood, tra cui Brad Pitt e Steven Spielberg che hanno donato generosi assegni alla causa. Pur non essendo direttamente parte in causa. Anche stavolta il risultato uscito dalle urne è stato favorevole ai conservatori che hanno avuto dalla loro oltre il 52% degli elettori. La sconfitta da un lato ha galvanizzato la destra religiosa e dall’altro ha gettato nello sconforto i gay californiani che si sono sentiti esclusi e attaccati.
Nei giorni successivi ai risultati diverse manifestazioni di protesta spontanee hanno visto migliaia di gay e lesbiche scendere nelle strade di varie città californiane. Tra loro anche la popolare comica nera Wanda Sykes, dichiaratasi con l’occasione gay. Un modo di gettare un ponte verso la comunità afroamericana che fra tutti i gruppi etnici, era stata quella che aveva votato più decisamente in maniera antigay.
La questione della razza è stata invece centrale per i referendum sulle azioni affermative. O meglio a favore della proibizione delle stesse. Nate per rimediare a discriminazioni storiche nei confronti delle minoranze etniche e delle donne, le azioni affermative garantiscono una sorta di corsia preferenziale a donne e neri ad esempio nelle gare per gli appalti per lavori pubblici, dove in genere le aziende guidate da uomini bianchi con ben rodati contatti a livello politico fanno man bassa. Un accanito sostenitore della illegalità delle azioni affermative è Ward Connelly, fortunato uomo d’affari afromaricano, diventato ragazzo poster dei gruppi conservatori. In quasi ogni tornata elettorale Connelly ed i suoi sostenitori hanno lanciato iniziative anti-azioni affermative con vari risultati. Anche nel 2008 dalle urne non è uscito un segnale chiaro in materia. In Arizona, Missouri e Oklahoma l’iniziativa referendaria non è neanche arrivata alle urne grazie anche al fatto che diverse firme erano state contraffatte o che alcuni firmatari avevano ritenuto di sostenere iniziative antirazziste. La sigla “diritti civili” è presente pressoché ovunque come titolo del referendum e ha lo scopo di confondere ed ingannare il votante. Non è stato così nel Colorado dove il 51% degli elettori ha respinto l’iniziativa anti-azioni affermative. Secondo Associated Press Ward, pur non rinunciando alla sua battaglia, ha dichiarato di avere ora come priorità la riforma delle prigioni. In Nebraska invece, grazie anche al sostegno del locale Partito repubblicano, i sostenitori di Connelly hanno ottenuto il 58% dei consensi.
Anche sul fronte delle tematiche ambientali non appare emergere una chiara tendenza dalle urne. In California la Proposition 7 che avrebbe richiesto ai vari fornitori di energia di usare almeno il 50% di fonti rinnovabili nel 2025, è uscita sonoramente sconfitta dalle urne. Il 65% degli elettori ha espresso posizione avversa. Nella California verde, tanto attenta alle tematiche ambientali, un simile rovescio appare strano. Tra gli oppositori sia il partito repubblicano che quello democratico ed finanche il Green Party, oltre a diverse organizzazioni ambientaliste. In quella che appare essere stata una guerra intestina in cui sono stati agitati lo spettro dell’aumento delle tasse e la presunta inadeguatezza legislativa della proposta, la corsa verso la liberazione dalla schiavitù del petrolio ha subito un duro contraccolpo. Da notare come la stragrande maggioranza dei media californiani e i grandi gruppi di produzione e distribuzione di energia si siano ferocemente opposti all’iniziativa. Stessa sorte è toccata alla Proposition 10 che, sempre in California, avrebbe dato fondi alle municipalità per sviluppare progetti locali di sviluppo di energie rinnovabili e aiutato i consumatori ad avere incentivi fiscali per l’acquisto di macchine ibride. In tempi odierni, gravi di problemi ambientali legati all’inquinamento e alla dipendenza dal petrolio i cui proventi aiutano a finanziare la jihad islamica, ci si sarebbe aspettati un risultato positivo. E invece, anche in questo caso, dalle urne è uscita un’altra batosta. Con quasi il 60% dei voti contrari l’iniziativa è stata bloccata.
Anche in questo caso accuse e contraccuse hanno accompagnato una campagna avvelenata in cui, anche stavolta, lo spettro dell’innalzamento possibile delle tasse, si è rivelato un’arma vincente. Ben diversamente è andata alla Proposition 2 che aveva come oggetto il trattamento degli animali da allevamento. La proposta intendeva, tra l’altro, rendere illegali le gabbie in cui vengono rinchiusi i polli da allevamento. La campagna guidata dalla Californians for Humane Farms, ha avuto la meglio. Ottenendo oltre il 63% dei consensi. A nulla sono valse le campagne delle grandi aziende di allevamento ed il fatto che la maggioranza della stampa locale avesse dichiarato la propria contrarietà all’iniziativa, paventando i soliti rischi economici. In questo caso i californiani sono stati determinatissimi. E hanno eliminato una pratica crudele di allevamento intensivo. Per quanto questo risultato sia positivo sembra che la sorte degli animali a volte faccia più breccia di iniziative tese a preservare le persone.
Per le tematiche delle energie rinnovabili è andata meglio paradossalmente nel Missouri, Stato piccolo e conservatore, dove la Clean Energy Iniziative, tesa a far arrivare gradualmente al 15% di produzione di energia da fonti rinnovabili nello Stato è stata accolta favorevolmente dal 66% dei votanti. In questo caso la scarsa ampiezza del cambiamento proposto, peraltro in maniera timida, deve aver giocato a favore dei sostenitori dell’iniziativa, che non hanno così spaventato gli elettori propugnando cambiamenti radicali. La politica dei piccoli passi è stata adottata anche dalla National Association of Working Women che a Milwaukee ha guidato con successo una campagna locale che ha garantito nove giorni di malattia pagati e cinque nel caso di aziende con meno di dieci dipendenti. Una piccola grande rivoluzione, sostenuta dal 68% dei votanti. Milwaukee diventa così la seconda città degli Usa dopo San Francisco, a garantire per legge la retribuzione dei lavoratori e delle lavoratrici per malattia.
Il quadro che emerge è comunque confuso. Essere contrari al matrimonio civile per coppie dello stesso sesso è una cosa, farne una battaglia di proporzioni epiche è davvero qualcosa di sproporzionato. Lamentarsi per la dipendenza del petrolio dagli sceicchi arabi e non fare nulla per venirne fuori è davvero contraddittorio. Come lo è il preoccuparsi del diritto alla vita e non pensare alle mamme lavoratrici con figli ammalati a casa. Se le priorità della destra religiosa sono chiare, le risposte dei votanti non lo sono affatto. Rimane da vedere se e come la nuova presidenza Obama modificherà le priorità e le risposte dei cittadini Usa.

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