Dal connubio tra psicoanalisi
e neuroscienze è nata un’importante
scoperta. Che, nella cura dei disturbi psichici,
l’analisi agisce sulle sinapsi. Proprio come fanno le medicine.
Per molto tempo psicoanalisi e neuroscienze hanno viaggiato su due binari separati. A dirla tutta, tra le due discipline esisteva una vera e propria ostilità: psichisti contro organicisti. Questi, addirittura, consideravano la psicoanalisi “menzognera”, perché secondo loro i disturbi psichici dipenderebbero unicamente dalla biochimica del cervello. Negli ultimi anni, però, il rapporto tra le due scienze si è fatto sempre più fitto e fecondo, anche grazie alle numerose scoperte in ambito neurofisiologico. I progressi ottenuti in tecniche come Tac, Pet, Risonanza magnetica e in tutte le altre metodiche di neuroimaging, hanno permesso, infatti, di “fotografare” funzioni come quella della memoria, decisive per lo studio dell’inconscio. Le neuroscienze hanno dimostrato, ad esempio, che non esiste solamente il sistema della memoria a lungo termine (quella esplicita e cosciente, verbalizzabile e ricordabile, immagazzinata nell’ippocampo e nei lobi temporali), ma anche una memoria sotterranea, implicita, che non affiora nei ricordi e non si riesce a raccontare, custodita nell’amigdala, la parte primordiale del nostro cervello. Ciò permette di ipotizzare che tutte le esperienze infantili non solo dei primi due anni di vita, ma anche della vita neonatale (e addirittura prenatale) siano depositate in questa forma di memoria. Esperienze direttamente connesse al rapporto con il corpo della madre o all’ascolto della sua voce vengono immagazzinate in quello che il neurofisiologo e psicoanalista Mauro Mancia ha definito “inconscio non rimosso”, un contenitore emotivo fondamentale nella nostra vita affettiva. Traumi precoci in questa zona della mente, come la privazione del contatto con la madre, possono avere un’influenza duratura nella vita di un individuo, anche se egli non ne ha memoria. Altro ambito in cui l’apporto delle neuroscienze è stato fondamentale è quello del sogno, per il quale è stato possibile chiarirne il rapporto con le varie fasi del sonno e con le aree cerebrali interessate a questa attività. Grazie al brain-imaging (le tecniche di neuroimmagine in grado di misurare il metabolismo cerebrale) è possibile, inoltre, visualizzare le aree cerebrali che si attivano quando prendiamo una decisione. Numerosi esperimenti hanno dimostrato che le nostre scelte spesso sono frutto delle nostre emozioni più che di procedimenti logici e razionali. Prendiamo il celebre esperimento del carrello: se cinque persone sono immobilizzate su un binario sul quale cammina un carrello impazzito e sono quindi destinate ad essere travolte, ma hanno la possibilità di azionare uno scambio, deviando il carrello su un altro binario dove c’è una sola persona, quasi tutti scelgono di sacrificare quella vita per salvarne cinque. Nessuno sceglierebbe, però, di salvare le cinque persone spingendo un uomo grasso giù da un cavalcavia per frenare la corsa del carrello. In questo secondo esempio, la scelta è dettata da un impulso emotivo, come accade nella quasi totalità delle decisioni che prendiamo. Il premio Nobel Eric Kandel, sulla scia di questi esperimenti, sta lavorando sulla possibilità di utilizzare la tecnica della risonanza per valutare l’efficacia della psicoterapia. L’idea è quella di vedere gli effetti delle sedute sulle aree cerebrali delle emozioni, per poter stabile quale psicoterapia funzioni meglio. E ha dimostrato che l’analisi agisce sulle sinapsi proprio come i farmaci e che, quindi, nella cura del disturbo psichico, le parole non sono meno efficaci delle pillole.
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