Il processo di armonizzazione del sistema previdenziale dovrebbe garantire trattamenti omogenei nell’ambito di settori che presentano caratteristiche comuni per qualità e quantità di lavoro svolto. Ma questo principio, però, non trova oggi rispondenza nell’ambito del Comparto Sicurezza, poiché, per effetto delle norme di riforma che si sono succedute nel tempo, sono venute a determinarsi delle disparità di trattamento che non trovano giustificazione e, soprattutto, hanno provocato situazioni di iniquità nei confronti di personale che ogni giorno e nella stessa situazione di rischio e disagio, è impegnato a garantire la sicurezza dei cittadini e delle Istituzioni. Ci riferiamo in particolare al decreto legislativo 165/1997, emanato in attuazione delle deleghe contenute nelle leggi 8 agosto 1995, n. 335, e 23 dicembre 1996, n. 662, in materia di “armonizzazione del regime previdenzialegenerale dei trattamenti pensionistici del personale delle Forze armate, dell’Arma dei Carabinieri, del Corpo della Guardia di Finanza, delle Forze di polizia ad ordinamento civile e del Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco”.
Nel regolamentare l’istituto “dell’ausiliaria”, il decreto legislativo in questione ha innescato una grave sperequazione di trattamento che penalizza pesantemente il personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile, destinatario del sistema pensionistico cosiddetto “retributivo” e cioé, quei lavoratori che, alla data del 31 dicembre 1995 erano in possesso di un’anzianità contributiva superiore a 18 anni. Infatti, l’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 165/97 prevede, per il solo personale militare che cessa dal servizio per raggiunti limiti di età, la permanenza in ausiliaria per un periodo non superiore a 5 anni.
Si ritiene utile rammentare che in seguito ad un mirato ricorso promosso da un ispettore superiore della Polizia di Stato, per l’annullamento del provvedimento con il quale il ministero dell’Interno aveva respinto la sua richiesta di essere collocato in ausiliaria, il Tar per la Sicilia (Sezione distaccata di Catania), per ben due volte, con atti e motivazioni in parte diversi, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 del decreto legislativo 165/97 avanti citato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, nella parte in cui non prevede la possibilità di collocamento in ausiliaria di tutto il personale indicato nell’art. 1 dello stesso decreto.
La Corte Costituzionale, però, con due distinte ordinanze (n. 387/2002 e n. 122 del 5 aprile 2007), nel dichiarare la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata, ha definitivamente affermato che gli appartenenti alle Forze di polizia ad ordinamento civile, quando cessino dal servizio per raggiunti limiti di età, non possono essere collocati in ausiliaria, essendo tale istituto previsto soltanto per il personale militare e per gli appartenenti alle Forze di polizia ad ordinamento militare.
La Suprema Corte ha motivato tale decisione per il fatto che il giudice di primo grado nel prospettare le presunte violazioni degli invocati parametri costituzionali, ha omesso di tenere presente che il comma 7 del denunciato art. 3 del decreto legislativo n. 165/97 prevede: “per il personale di cui all’art. 1 escluso dall’applicazione dell’istituto dell’ausiliaria che cessa dal servizio per raggiunti limiti di età ... (omissis), un incremento del montante individuale dei contributi pari a cinque volte la base imponibile dell’ultimo anno di servizio moltiplicato per l’aliquota di computo della pensione”. Ha precisato altresì che: “l’incremento del montante individuale, traducendosi in un aumento del trattamento pensionistico effettivamente erogato, assume carattere compensativo, per il personale che ne fruisce, della mancata applicazione dell’istituto dell’ausiliaria, e che, pertanto, la presunta violazione del principio di uguaglianza non esiste”. I giudici della Consulta, però, nel riportare il disposto del comma 7 dell’art. 3 del decreto legislativo 165/97, non hanno menzionato la frase che segue le parole “che cessa dal servizio per limiti di età” e cioè: “il cui trattamento di pensione è liquidato in tutto o in parte con il sistema contributivo di cui alla legge 8 agosto 1995, n. 335”.
E’ risaputo che i pubblici dipendenti, Forze di polizia comprese, destinatari del trattamento pensionistico liquidato “in tutto o in parte con il sistema contributivo”, sono esclusivamente quei lavoratori assunti in servizio in data successiva al 31 dicembre 1995, ovvero che, alla stessa data, avevano maturato un’anzianità contributiva inferiore a 18 anni (art. 1, commi 12,13 della legga 335/95). Quindi è ovvio che le prime cessazioni dal servizio di questi lavoratori per limiti di età (60 anni per tutto il personale del Comparto Sicurezza e Difesa), si avranno non prima del 2020. Pertanto tutto il personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile, che lascerà il servizio per raggiunti limiti di età prima del 2020, poiché sulla base della normativa vigente conserva il diritto al calcolo della pensione con il sistema interamente retributivo, non potrà beneficiare né dell’istituto dell’ausiliaria, né dell’incremento del montante contributivo individuale, pari a cinque volte la base imponibile dell’ultimo anno di servizio, quale beneficio cosiddetto “compensativo”.
L’istituto dell’ausiliaria rappresenta, oggi, un vero e proprio aggancio delle pensioni alla dinamica salariale. Difatti, in aggiunta al trattamento pensionistico, rivalutato annualmente per effetto delle perequazioni, al militare viene attribuita una indennità annua lorda pari all’80% (ridotta ogni anno a partire dall 1° gennaio 1998 di un punto percentuale fino alla concorrenza del 70%, a norma dell’art. 3, comma 6, del decreto legislativo 165/97), della differenza tra il trattamento normale di quiescenza percepito ed il trattamento econoomico onnicomprensivo spettante nel tempo, da attribuire virtualmente ai soli fini pensionistici, al pari grado in servizio e con anzianità di servizio corrispondente a quella posseduta dall’interessato all’atto del collocamento in ausiliaria. Al termine del periodo di permanenza in tale posizione (5 anni a regime a norma dell’art. 3, comma 2, del decreto legislativo 165/97), al militare viene, poi, riliquidata la pensione con il computo dell’indennità di ausiliaria percepita e con l’attribuzione, per il tempo trascorso nella posizione di ausiliaria, di scatti biennali di anzianità del 2,50%, previsti dall’art. 46 della legge 10 maggio 1983, n. 212. Beneficio, quest’ultimo, “congelato” per tutti i pubblici dipendenti a decorrere dal 1° gennaio 1987, fatta eccezione per le qualifiche dirigenziali di cui all’art. 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448.
Al fine di quantificare la differenza economica, sono stati presi in esame due provvedimenti definitivi di pensione, uno del ministero della Difesa e l’altro del ministero dell’Interno, riferiti a due soggetti (un maresciallo maggiore aiutante ed un ispettore capo) entrambi cessati nel mese di maggio 1993 con lo stesso trattamento pensionistico. Fino al 30 giugno 2008 la differenza, a vantaggio del militare, è risultata pari a 69.414,96 euro lordi. Differenza, tra l’altro, destinata ad aumentare nel tempo, visto che il rendimento dei trattamenti pensionistici decresce sempre più, in relazione all’attuazione dei nuovi istituti previdenziali previsti dalle varie riforme.
Infine, occorre precisare che nel caso di due dirigenti superiori, ad esempio, un ufficiale dei Carabinieri e un funzionario della Polizia di Stato, con pari requisiti ed entrambi con trattamento privilegiato, la differenza di cui sopra potrebbe arrivare addirittuta a triplicarsi.
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